Dusty Kid – Beyond That Hill

Dusty Kid è un ragazzo sardo, cagliaritano per la precisione. La sua passione per la musica è quasi innata, è stato bocciato più di una volta a scuola, e probabilmente uno dei motivi è stato il suo stretto legame che aveva più con oggetti quali violino e pianoforte che con i libri scolastici. Come dice anche in una delle poche interviste in italiano, si mette a scrivere a cantare in “tenera” età e viene notato da alcuni produttori e dj, era inevitabile che prima o poi salisse sul proscenio della musica elettronica.
Dusty Kid, Paolo Alberto Lodde all’anagrafe, malgrado abbia, oggi,  sicuramente la possibilità di trasferirsi all’estero o in città molto più fiorenti in ambito musicale, è legato parecchio alla sua terra, e non vorrebbe mai spostarsi in maniera definitiva, perchè la trova anche e soprattutto una continua fonte di ispirazione per i suoi lavori. Più conosciuto all’estero che in Italia, è ormai arrivato al punto che può lavorare producendo la sua musica e facendo live in giro per il mondo, passando da un aereo intercontinentale all’altro. Un mestierante quindi? Non direi. Il suo studio è fondamentalmente a casa sua, fa il suo lavoro con passione e dedizione, e sembra non aver mai perso la sua libertà compositiva.
L’album primo che è approdato sul mio computer è stato il precedente A Raver’s Diary, dove già si percepiva tutto il suo stile techno/house con intarsi di strumenti non propriamente convenzionali al genere, poche parti “cantate” e martellamenti melodici techno da piangere a dirotto. Il suo intento è fare musica da rave ma con una “visione romantica” (“Ho preferito fare una cosa che passasse dai momenti in cui un ragazzo arriva al rave e magari sente delle cose pesanti, con un certo impatto, ad altri momenti come quelli del viaggio di ritorno in macchina, magari al tramonto del giorno dopo, quindi con un tono più tranquillo…”)
Alla prima (personale) impressione che questo bambino cresciuto possa essere un fenomeno, il guylumbardoniano qbic mi rispose:
“E’ spettacolare. Techno strappamutande dura e pura che solo a Detroit o Berlino, e invece è sardo. Roba italiana così non se ne sente spesso, peccato averlo scoperto solo ora”.
 

 
Da pochi giorni si trova già in rete il suo ultimo album, Beyond That Hill, (acquistabile a breve su Kompakt o Amazon) dedicato, con molta probabilità, proprio alla Sardegna, terra che, come capita anche per altre regioni d’Italia, sembra essere un mondo a sè. A suggerirci ciò è innanzitutto il video-promo del cd (sopra qui) ed alcuni piccoli dettagli, come il titolo dell’album che rimanda al paesaggio oppure il nome della canzone Argia, che è l’appellativo sardo di un ragno molto velenoso.
L’album è una mazzata lancinante al cuore e al genere musicale duro e puro. Si trovano battiti pesanti, minuti ambient e kosmische, una memorabile traccia con voce e cori, e una lunghissima traccia finale (più di 20 minuti) dove si ascolta perfino il clarinetto. Insomma, qualcosa da avere nel proprio stereo e da rimpiazzare in maniera coatta in tutte le discoteche truzze della vostra città. Due tracce, non rappresentative della totalità, qui sotto.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/10/01-Nora-Nights.mp3]
Dusty Kid – Nora Nights

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/10/05-Beyond-That-Hill.mp3]
Dusty Kid – Beyond That Hill

Da Gonjasufi a S.Maharba

Il nuovo EP di Gonjasufi, autore sempre presente su questo blog annerato, è deliziosamente eclettico. Però di materiale che lo riguarda la rete è piena. Andando a casaccio: Nickels And Dimes, i remixes, e poi ci sarebbe una bellissima canzone intitolata Do Me A Favor che però è scomparsa da ogni piattaforma). Questo sotto è il video estratto dall’ultimo singolo.
 

 
Dopodichè mi accorgo che su YouTube circola anche questo remix “non ufficiale”, che sembra abbastanza stupendo:
 

 
Il bel volto ritratto e perfino il titolo non sembrano suggerirci molto. Però alla fine si comprende che l’autore è un certo S.Maharba che ha voluto intitolare il suo singolo His Sister/My Body. S.Maharba quindi, questo sembra il suo sito ufficiale. E dai pochi ascolti disponibili sembra qualcosa di interessante e da indagare, se non altro per le bellissime immagini di donne e copertine d’altri tempi.
I suoi due album si possono ascoltare liberamente: s/t e She. Ascoltando questa roba si intuisce anche in che modo lo stregone capellone e barbuto Gonjasufi sia un punto di riferimento: i mashup e i beats. E quindi l’ora di togliere un po’ di polvere da alcuni monumenti magnetici dall’ampio diametro, e darci all’ascolto.

 

Scorpion Violente – Uberschleiss


Scorpion Violente – Uberschleiss (2010) – Sono francesi e sono esoterici fino all’evidenza: copertina con tette, mantello e testa di bue, titolo tedesco in caratteri gotici, insomma tutto in regola. Il disco ha atmosfere sintetiche da disco malata e procede diligentemente tra elettronica sporca e minimale e ritmi ossessivi con voce oscura e filtrata, un po’ Suicide, un po’ Cabaret Voltaire e Throbbling Gristle (così li ho detti tutti). Fino alla perla inaspettata, già sentita mesi fa e da allora mai uscita dalla testa, l’ossessivo lamento funebre Cristopher Walken: due minuti e quarantaquattro secondi che valgono tutto il disco. Perché questi sono tempi pagani, ma con divinità moderne. E quindi: Cristopher Walken Cristopher Walken Cristopher Walken Cristopher Walken Cristopher Walken.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/10/07-Christopher-Walken.mp3|titles=07 Christopher Walken]
Scorpion Violente – Cristopher Walken

Chi fosse interessato può rivolgersi all’Avant! Records, dove inoltre è possibile sentire tutto l’album.

E poi, scusate ma non resisto, c’è un video dove Cristopher Walken canta (e balla) Delilah di Tom Jones, mia fedele compagna di molte notti matte e disperate. Ma vi avverto: dopo aver visto questo video molti si interrogheranno sulle ragioni del culto di Cristopher Walken, mentre altri non vedranno l’ora di aderire.

Robert Crumb disegna il blues (e manda a fanculo tutto il resto)


Se a casa mia scoppiasse un incendio non avrei dubbi su quali cose mettere in salvo e in quale ordine: il portatile, l’hard-disk esterno, due o tre libri introvabili. Il gatto no perché chiunque conosca il gatto sa bene che, durante un incendio, non solo non ha nessun bisogno di  essere salvato, ma probabilmente sarebbe lui stesso il responsabile dell’incendio. Se poi avessi qualche secondo in più un’altra cosa che metterei in salvo è un libro di fumetti: Robert Crumb disegna il blues.

Dico subito che io non sono un fanatico del blues, anche se mi piacerebbe molto esserlo e non è escluso che in futuro, quando finalmente i miei capelli inizieranno a diradarsi e ingrigirsi, mi metterò a studiare per diventarlo. Ma anche con tutti i capelli al loro posto è impossibile resistere al fascino passatista di questo mondo lontano fatto di fruscii, vagabondi, voodoo, povertà, alcol, disperazione, musica bellissima.

Robert Crumb, cioè uno dei più grandi fumettisti di sempre, oltre che fanatico oltranzista della vecchia musica americana, blues, country, jazz e hillbilly, descrive alla perfezione questo mondo e questa passione. Lui è uno di quei collezionisti che conoscono a memoria ogni chitarra ogni banjo e ogni fruscio di rare e costose registrazioni anni 30 e odiano tutta – TUTTA – la musica moderna. Di conseguenza, essendo Robert Crumb un vecchio stronzo – lo dice lui, non è una cosa negativa – in questo volume non parla solo del suo amore per il blues e per la vecchia musica in generale, ma anche e soprattutto del suo ODIO per tutto il resto.

Alcune delle tavole più spassose sono proprio quelle dove il suo orgoglio passatista diventa anzianissimo e violento livore contro la musica moderna, contro le persone che ballano, contro la musica amplificata e in definitiva contro tutti i giovani (va specificato che si tratta di tavole disegnate negli anni 80 e immagino che quelli, per un fanatico dei vecchi tempi come lui, non devono essere stati anni facili). Alla facile critica “Ma anche tu da giovane ascoltavi il rock rumoroso e psichedelico che piaceva a noi giovani” (e infatti c’è anche una bellissima tavola su Purple Haze) Crumb risponde che sì, è vero, ma all’epoca mi facevo di LSD: ero rincoglionito, quindi non conta. E comunque andate a fanculo.

Nel volume – che io possiedo nell’edizione italiana I grandi libri di Comix del 1993, bella perché gigante – ci sono le storie degli eroi di quel piccolo-grande mondo antico dell’età dell’oro del blues, come Charley Patton e Jelly Roll Morton (a questi eroi, uomini e donne, Crumb aveva dedicato anche la serie di serigrafie Heroes of the Blues, e un altro volume con tanto di cd allegato) ma anche alcune vecchie canzoni con testi ingenui, a volte un po’ surreali, che Crumb traduce in immagini nella serie, molto divertente, “The old songs are the best songs”.

In più, per farvi capire la sincerità della sua passione, aggiungo che Crumb ha una sua band: R. Crumb & His Cheap Suit Serenaders, di cui, se siete curiosi, potete sentire diversi pezzi su Youtube: c’è addirittura un live dove canta Oh Susanna.

Perché tutto questo mi è venuto in mente oggi? E’ stata una casuale concatenazione di pensieri domenicali: ho visto un servizio in tv sui pericoli domestici – GLI INCENDI! – e ho scoperto che esiste un intero concerto di Skip James (e altri) su Youtube, quindi ho un po’ unito il tutto ed eccoci qua. Oltretutto ho scoperto che “Robert Crumb disegna il blues” è venduto a pochi, pochissimi euro… quindi. Non dico altro.

I fumetti di Crumb, in inglese, si possono comprare direttamente dal suo sito, altrimenti, se siete sfigati come me e ancora vi ostinate a leggere in italiano, si trovano un po’ ovunque nei soliti siti e suppongo anche nelle librerie.

Concludo il post con questa bella scena tratta dal film Ghost World dove mi pare sia ben rappresentata la capacità di questa musica proveniente da un mondo e da un tempo lontano di stregare e incantare chi l’ascolta. La protagonista, Thora Birch, ha comprato il disco per caso nel mercatino di un collezionista nerd e fanatico interpretato da Steve Buscemi. Sempre per caso mette su il disco e inizia a sentire sempre lo stesso pezzo in loop, l’incredibile Devil Got My Woman (1931) del sopraccitato Skip James. Il film è a sua volta tratto da un fumetto (di Daniel Clowes) e la regia è di Terry Zwigoff, regista anche del film biografico Crumb, dedicato indovinate a chi. Il cerchio si chiude, buon ascolto.