Il Maestro Stephan Micus

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Come promessovi oramai diverso tempo fa (in questo articolo, verso la fine), tenterò ora l’ardua impresa di parlarvi di Stephan Micus. Prima di tutto vi confesso che mi tremano un po le gambe (o meglio le mani) e più sono andato avanti con l’idea di scriverne e ho riascoltato (estasiato come sempre) la sua musica per far germogliare sensazioni, più mi sono reso conto che non sarei, anzi non sono, all’altezza di poterne parlare come si deve. Basta dare un’occhiata a questa pagina e visionare la lista di strumenti suonati da questo incredibile studioso e musicista per farsi un’idea della portata dell’Arte che si sprigiona dalla sua musica. Ed allora sono sceso ad un compromesso con la mia ritrosia e ho deciso di narrarvi soltanto quella che è stata la mia esperienza di “ascoltatore”, e di riportarvi la mia (tutt’altro che completa purtroppo) conoscenza del Nostro.

La scoperta avvenne (come spesso accade) per caso, come rivolo magico del mio “studio” sul krautrock. Scavando nei meandri di quell’incredibile filone rock teutonico dei ’70, seguendo una tangente che dagli Ash Ra Temple più misticheggianti porta tramite i corrieri cosmici a Sergius Golowin e all’album dei tarocchi di Walter Wegmüller, mi ritrovai tra “le mani” (sullo schermo) Implosions, primo (o forse secondo) album del Nostro, che appunto, come gli altri, è tedesco di nascita; in realtà nessun musicista quanto lui può definirsi a tutti gli effetti cittadino del mondo, visto il suo incessante peregrinare. Implosions esce nel 1977, guarda caso lo stesso anno del debutto di Jon Hassell, l’unico artista che in campo ethno-world mi sentirei di associare a Stephan per bellezza musicale e conoscenza tecnica (le sostanziali discrepanze tra i due, che differenziano notevolmente le rispettive proposte, sono il fatto che Micus non ha unito la musica da lui studiata con l’elettronica e lo sperimentalismo occidentale, e che, a differenza di Jon, egli ha registrato tutti i suoi dischi da solo, sovraincidendo tutti gli strumenti!).

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Dicevo di Implosions, la cui As I Crossed A Bridge Of Dreams, traccia di apertura che occupava l’intera prima facciata del vinile, mi stregò fin da subito. Ve ne propongo l’ascolto perché è impossibile poter rendere la bellezza di una musica di così difficile collocazione geografica; un luogo immaginario tra India, Cina, Australia aborigena e Amazzonia.

01. As I Crossed A Bridge Of Dreams

Dello stesso anno è un altro grande album, Koan, che prosegue nel solco del precedente la ricerca sugli strumenti a fiato. Questo, così come i prossimi, è probabilmente da considerarsi come un’unica grande composizione divisa in pezzi (soltanto numerati infatti). Un gracchiante strumento a corda e le percussioni fanno la loro comparsa nella parte IIIA; e addirittura nella V parte troviamo una chitarra spagnoleggiante. Forse di minore impatto emotivo, è da considerarsi comunque un grande esperimento di ricerca sonora.

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Pur mancandomi alcuni tasselli posso supporre che da quest’ultima traccia Stephan abbia iniziato un’assidua ricerca sonora anche sulla 6 corde, che infatti ci accoglie superbamente fin dal primo secondo di Wings Over Water, album del 1981 che personalmente ho legato indelebilmente a visioni dell’isola di Ischia. Tutto è più lussureggiante in questo disco, melodico ma anche mistico, rituale; da foresta incantata e da esplorazioni in canoa tra il Borneo e Bali. Qui a differenza che nei due precedenti le percussioni la fanno quasi da padrone e poi c’è da fare un dovuto accenno anche alla voce del nostro; magnifica anch’essa, calda, gorgheggiante, ipnotica. Ho letto inoltre che anche le lingue da lui conosciute ed usate sono le più disparate.

02 – Part II

06 – Part VI

Del 1986 è Ocean, che si può accostare al sopracitato; tra le novità il suono di quello che pare essere un organo nella parte II e IV e di uno strumento mandolineggiante nella III. Forse il minore tra quelli da me ascoltati, è sicuramente il più distensivo ed ambientale, e dove la voce del Maestro Micus non compare.

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Infine Athos (A Journey To The Holy Mountain) del 1994, che invece è da annoverarsi come un vero e proprio capolavoro. Un disco che unisce mirabilmente la ricerca sonora del Maestro (che pare ora essersi spostata anche in medio-oriente e in nord europa) con l’emozione mistica dei suoi primi dischi. L’apertura è affidata ad un Zither bavarese ma ad impressionare è l’accoglienza della seconda traccia, The First Night, dove 22 voci da coro gregoriano (non mi meraviglierei se fosse soltanto la sua sovrapposta) ci raccontano qualcosa di magico e religioso; diciamo come degli Ulver ancor più folk della loro svolta folk, e molto più istruiti. L’album continua su questa alternanza tra composizioni strumentali e cori di voci fino all’apoteosi finale dove le due linee convergono.

02 Stephan Micus – The First Night (22 Voices)

Qui si ferma il mio racconto, ma il viaggio nei mondi immaginati da questa musica e da questo Artista continueranno a materializzarsi ogni volta che lo desideriamo. Grazie Stephan.