Musica dal mondo (vol. 2)

Vol. 1. Questa volta è stata la scoperta di alcune raccolte della sempre lodata Sublime Frequencies a fornirmi lo spunto per nuove ricerche che hanno portato alcuni succosi frutti e ancora ne porteranno, ne sono certo:

http://youtu.be/X8eSSybFb8o

e ora la danza:

ritornando verso est:

http://youtu.be/TQDS8tBqSAY

ora musica che richiede attenzione:

gli immancabili film indiano-pakistani (assolute chicche anche le immagini):

infine i musicisti di strada (nella cui ricerca è possibile perdersi innumerevoli volte):

e proprio l’ultimissima cosa in chiusura: suggerisco la ricerca di quest’album: My Friend Rain. Saludos Amigos.

Musica dal mondo (vol.1)

Straordinari blog che raccolgono musica dal mondo, lo sappiamo, ne esistono moltissimi oramai (e meno male). Proprio vagando in alcuni di questi ho scovato alcune chicche; e la voglia di condivisione era tanta che non ho ancora effettuato ricerche specifiche per ogni artista: di molti non conosco l’epoca, lo stile e finanche il paese! So solo che alcuni di questi schiudono mondi ancora per me inesplorati e tanto mi basta per godere. Ve li propongo:

http://youtu.be/4N4OLtDqECo

chiudo con un brano già proposto, ma eccezionale, che merita di essere presente:

L'ultima partita di Miles

miles-davis

Immaginatevi la scena: siamo al tavolo verde, 1° febbraio 1975, si gioca la finale mondiale di bridge. A sfidarsi, per l’ennesima volta, Stati Uniti e Italia, sullo sfondo l’isola di Bermuda. Nell’ultima leggendaria mano Belladonna e Garozzo realizzano un Grande Slam a Fiori contro un Piccolo Slam Senza Atout messo a segno dagli americani. L’Italia si riconferma campione mondiale con la squadra Blue Team, chiudendo proprio con questa vittoria un ventennio di dominio quasi incontrastato.

Nello stesso giorno, a molte miglia e fusi orari di distanza, e precisamente all’Osaka Festival Hall, un altro grande campione del ventennio precedente sta per giocarsi quella che per un bel po’ di tempo sarà la sua ultima carta; sto parlando del re del jazz: Mr. Miles Davis.

Miles+Davis

La squadra davisiana non aveva certo nulla da invidiare al Blue Team in quanto a maestria, sangue freddo e abnegazione; c’erano, oltre a Mr. D alla tromba elettrica e all’organo, Sonny Fortune al flauto e al sax soprano, Pete Cosey alla chitarra elettrica e al sintetizzatore, Reggie Lucas altra chitarra elettrica, Michael Henderson grandioso basso elettrico, Al Foster alla batteria, il fantastico Mtume alle conga e percussioni varie.

E chisà se Mr. D disse alla sua squadra: “ok ragazzi, facciamoci quest’ultima giornata d’orgia sonica e poi ci fermiamo per 5-6 anni; vi voglio più cazzuti del solito, facciamo vedere a sti musi gialli che figli di puttana siamo!”; ma, molto più probabilmente, Miles non ha detto un cazzo a nessuno della sua intenzione di fermarsi, di prendere tempo e di capire dove ancora dirigere la sua Musica, avrà come al solito messo sotto torchio i suoi uomini col suo incommensurabile carisma e genio, chiedendo un’unica cosa: “dobbiamo mischiare tutto quello fatto finora e dobbiamo andare oltre!”. Roba da poco insomma.

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Teniamoci ai fatti: due esibizioni, una pomeridiana e una serale; la decisione presa è suonare quasi tutta roba nuova in lunghissime improvvisazioni mantriche e corroboranti, sudatissime suite hardfusionfunkyjazz. Roba che avrebbe dovuto ipnotizzare le masse nelle intenzioni di Mr. D e invece, ovviamente, non lo fece. Ne uscirono due album doppi! Agharta registrato il pomeriggio e Pangaea la sera, che poca notizia fecero all’epoca, eppure erano qualcosa di unico: immaginatevi giocare insieme allo stesso tavolo Sun Ra, James Brown e Jimi Hendrix e ognuno tirar fuori il proprio Grande Slam a Fiori!

Prendiamo il Prelude di Agharta e analizziamo lo schema di gioco: la prima mossa spetta a Henderson, Lucas e Mtume, che iniziano funkeggiando in libertà ma tenendo bene in mente la visione fuomosa del Godfather of Soul che campeggia sulla copertina di The Payback, uscito pochi mesi prima: poi il sintetizzatore spaziale di Cosey ci introduce Mastro Davis e la sua tromba pungente, intanto la sezione ritmica non si ferma un secondo, va e va incessante fino ad un microstop nel quale si inserisce furtivo un immenso Sonny Fortune al sax; quando questi si acquieta ritornano insieme Cosey e Lucas e qui davvero sembra di vedere Sun Ra e Jimi che facendosi occhiolino calano insieme la carta vincente. Da qui in poi la vittoria è assicurata, non resta che gestire la partita e infatti verso il minuto 17 ci si diverte anche con un riffettino funky, tappeto ideale per il ritorno dell’elettrica tromba di M.D. che si sposa alla meraviglia prima con il lavoro di Mtume e poi con quello di Lucas/Cosey. C’è ancora spazio per far divertire Henderson manco fosse Bootsy Collins e poi via di jam fino alla fine dei 32 minuti di questo Preludio! Le successive mani di gioco riprendono questo schema e lo scompongono e ricompongono a piacimento.

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E’ così nell’ultima partita giocata negli anni ’70, questo squadrone mischia tutto ciò che lo stesso Miles Davis aveva contribuito pesantemente a generare, cioè la fusion, il funkyjazz e il prog, con altra roba ancora, la psichedelia, il funk duro e puro del padrino e ne tira fuori una musica che in un sol colpo scavalca i Parliament/Funkadelic e tutto il P-Funk ma anche gente come Bill Laswell, Praxis e compagnia, puntando dritto nello spazio. Diciamo una stazione orbitante dove si balla e ci si diverte; molto corpo e molta mente.

Un’ultima partita coi controcoglioni.

Il Maestro Stephan Micus

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Come promessovi oramai diverso tempo fa (in questo articolo, verso la fine), tenterò ora l’ardua impresa di parlarvi di Stephan Micus. Prima di tutto vi confesso che mi tremano un po le gambe (o meglio le mani) e più sono andato avanti con l’idea di scriverne e ho riascoltato (estasiato come sempre) la sua musica per far germogliare sensazioni, più mi sono reso conto che non sarei, anzi non sono, all’altezza di poterne parlare come si deve. Basta dare un’occhiata a questa pagina e visionare la lista di strumenti suonati da questo incredibile studioso e musicista per farsi un’idea della portata dell’Arte che si sprigiona dalla sua musica. Ed allora sono sceso ad un compromesso con la mia ritrosia e ho deciso di narrarvi soltanto quella che è stata la mia esperienza di “ascoltatore”, e di riportarvi la mia (tutt’altro che completa purtroppo) conoscenza del Nostro.

La scoperta avvenne (come spesso accade) per caso, come rivolo magico del mio “studio” sul krautrock. Scavando nei meandri di quell’incredibile filone rock teutonico dei ’70, seguendo una tangente che dagli Ash Ra Temple più misticheggianti porta tramite i corrieri cosmici a Sergius Golowin e all’album dei tarocchi di Walter Wegmüller, mi ritrovai tra “le mani” (sullo schermo) Implosions, primo (o forse secondo) album del Nostro, che appunto, come gli altri, è tedesco di nascita; in realtà nessun musicista quanto lui può definirsi a tutti gli effetti cittadino del mondo, visto il suo incessante peregrinare. Implosions esce nel 1977, guarda caso lo stesso anno del debutto di Jon Hassell, l’unico artista che in campo ethno-world mi sentirei di associare a Stephan per bellezza musicale e conoscenza tecnica (le sostanziali discrepanze tra i due, che differenziano notevolmente le rispettive proposte, sono il fatto che Micus non ha unito la musica da lui studiata con l’elettronica e lo sperimentalismo occidentale, e che, a differenza di Jon, egli ha registrato tutti i suoi dischi da solo, sovraincidendo tutti gli strumenti!).

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Dicevo di Implosions, la cui As I Crossed A Bridge Of Dreams, traccia di apertura che occupava l’intera prima facciata del vinile, mi stregò fin da subito. Ve ne propongo l’ascolto perché è impossibile poter rendere la bellezza di una musica di così difficile collocazione geografica; un luogo immaginario tra India, Cina, Australia aborigena e Amazzonia.

01. As I Crossed A Bridge Of Dreams

Dello stesso anno è un altro grande album, Koan, che prosegue nel solco del precedente la ricerca sugli strumenti a fiato. Questo, così come i prossimi, è probabilmente da considerarsi come un’unica grande composizione divisa in pezzi (soltanto numerati infatti). Un gracchiante strumento a corda e le percussioni fanno la loro comparsa nella parte IIIA; e addirittura nella V parte troviamo una chitarra spagnoleggiante. Forse di minore impatto emotivo, è da considerarsi comunque un grande esperimento di ricerca sonora.

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Pur mancandomi alcuni tasselli posso supporre che da quest’ultima traccia Stephan abbia iniziato un’assidua ricerca sonora anche sulla 6 corde, che infatti ci accoglie superbamente fin dal primo secondo di Wings Over Water, album del 1981 che personalmente ho legato indelebilmente a visioni dell’isola di Ischia. Tutto è più lussureggiante in questo disco, melodico ma anche mistico, rituale; da foresta incantata e da esplorazioni in canoa tra il Borneo e Bali. Qui a differenza che nei due precedenti le percussioni la fanno quasi da padrone e poi c’è da fare un dovuto accenno anche alla voce del nostro; magnifica anch’essa, calda, gorgheggiante, ipnotica. Ho letto inoltre che anche le lingue da lui conosciute ed usate sono le più disparate.

02 – Part II

06 – Part VI

Del 1986 è Ocean, che si può accostare al sopracitato; tra le novità il suono di quello che pare essere un organo nella parte II e IV e di uno strumento mandolineggiante nella III. Forse il minore tra quelli da me ascoltati, è sicuramente il più distensivo ed ambientale, e dove la voce del Maestro Micus non compare.

Stephan+Micus+micus2

Infine Athos (A Journey To The Holy Mountain) del 1994, che invece è da annoverarsi come un vero e proprio capolavoro. Un disco che unisce mirabilmente la ricerca sonora del Maestro (che pare ora essersi spostata anche in medio-oriente e in nord europa) con l’emozione mistica dei suoi primi dischi. L’apertura è affidata ad un Zither bavarese ma ad impressionare è l’accoglienza della seconda traccia, The First Night, dove 22 voci da coro gregoriano (non mi meraviglierei se fosse soltanto la sua sovrapposta) ci raccontano qualcosa di magico e religioso; diciamo come degli Ulver ancor più folk della loro svolta folk, e molto più istruiti. L’album continua su questa alternanza tra composizioni strumentali e cori di voci fino all’apoteosi finale dove le due linee convergono.

02 Stephan Micus – The First Night (22 Voices)

Qui si ferma il mio racconto, ma il viaggio nei mondi immaginati da questa musica e da questo Artista continueranno a materializzarsi ogni volta che lo desideriamo. Grazie Stephan.

Unoverdoselungaseiore

tutti vi ricordate dell’ulisse di joyce vero quel memorabile testo scritto senza punti e virgole che doveva rappresentare un intero flusso di coscienza dell’autore e probabilmente vi starete già rendono conto che citandolo sto anche provando ad adottarne lo stile e certamente vi state chiedendo il perché il perché è semplice credo di aver trovato un degno parallelismo tra quell’opera novecentesca e quest’altra duemilesca che ho ascoltato di recente un flusso di coscienza in musica musica non qualsiasi ovviamente ma un vero mostro catalizzatore un rigurgito bavoso e ultracomprensivo di quarant’anni di musica psichedelica la treccani del trastullorock qualcosa che potremmo definire il trip definitivo ma saremmo ancora troppo lontani dalla realtà dei fatti una bombazza che mi ha sconquassato le cervella che mi ha fatto vomitare di gioia e canticchiare per la pena di chi mi era vicino il mantra i found a star on the ground uno sconquasso di sei ore sei che mi ha ricordato quando ancora avevo coscienza di me tutto il krautrock che ho amato alla follia tutti i grateful dead live della storia ma anche gli animal collective un concerto grandioso degli akron family dove mi ruppi la testa e mille altri rivoli orgiastici metteteci che il packaging di questo mostro è assolutamente all’altezza del contenuto con un giochino popart per flasharsi durante l’ascolto che durante le sei ore vengono letti dal gruppo ah già non ho detto che sto parlando dei flaming lips tutti i nomi di coloro che hanno comprato sto gioiello da collezione dannato me che non lo sapevo tipo centinai di nomi letti e metteteci anche che oltre a questo satanasso sonoro ci sono anche altre due canzoncine psichedeliche tutt’altro che riempitivi e potete capire perché sto a tentare di dirvi di fare sta megafollia che ho testato sulla mia psiche benedico ogni singolo neurone morto vaffanculo

Alta fedeltà

Classico: ti compri delle cuffie buone, circumaurali, cavo spiralato, connettore dorato, scritta “professional” che fa figo, e improvvisamente ti rendi conto della totale inadeguatezza del formato di compressione mp3. E va bene, sì, ci sono i flac, però allora per usare le cuffie come si deve ci vogliono proprio i cd, e di conseguenza un impianto adeguato, e allora entri in una spirale perversa di consumismo al termine della quale ti ritrovi senza soldi: un barbone hi-fi, che prende i maglioni nero a collo alto e i vecchi numeri di The Wire allo spaccio della Caritas. E il bello è che a me piace che i suoni si sentano male.

[audio: http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/09-Improvisation-Vocal.mp3]
Gavino Murgia – Improvisation (vocal)