LICHENI n.1 "CORPO" luglio 2021

Un’eclisse totale del cuore

di Enrico Rossi

1

Tutti ne parlano. I giornali quest’anno sembrano non parlare d’altro che di lei. Quando sorge nel cielo notturno, color arancio e ammalato di luce, mi sembra di riconoscerla sempre meno. Tutti parlano di quando oscurerà il sole. Pensano che sarà qualcosa come una notte di dieci minuti, una cosa banale che serve al massimo a vendere qualche giornale in più, o qualche sciocco souvenir. Non sarà nulla di tutto ciò. Sarà molto meno di quello che si aspettano. La luce diventerà grigia, un vento freddo spazzerà la terra, qualche cane abbaierà. Sarà molto meno di quanto si aspettano. E naturalmente sarà molto di più.

Gala sente la voce, non ci fa più caso. Sa che sono cose da pazzi. La voce dice: ti voglio, sei mia. Lo dice con tante intonazioni e accenti diversi, ma il senso non cambia.

Gala, in cucina, gira il cucchiaino nella tazza piena di caffè, poi la porta ad Alessandro che in camera da letto è impegnato nei suoi assurdi esercizi ginnici. Lo guarda dalla soglia fare le flessioni finché l’espressione del suo volto non diventa una maschera di dolore, e oltre, il suo corpo magro e muscoloso si tende come un cavo d’acciaio tranciato di netto. Non c’è nulla di gradevole in lui, nel suo fisico che ricorda il tronco di un albero nodoso e levigato dall’acqua. Quando si ferma, lei gli porge la tazza e si accende una sigaretta. Si accarezza le braccia bianche piene di tagli. Non si dicono nulla.

Sotto le strade della città scorre un flusso intangibile, fatto di aria nera. Converge sotto la grande chiesa, il suo piazzale costeggiato da colonnati, la cupola enorme, assurda, costruita da uomini che volevano celebrare un dio che non hanno mai conosciuto. Sopra, la luna sorride, si prepara a reclamare ciò che è suo.

“Dopo aver visitato la basilica di San Pietro, scenderemo nella necropoli vaticana che insieme alle cripte collegate si estende sotto alla città…”

Gala indossa un vestito con le maniche lunghe, nero, anche se è piena estate. I turisti non sembrano molto interessati a ciò che dice. Pensano piuttosto a quello che succederà sulle loro teste tra due giorni. Sono fermi sotto il sole di Piazza San Pietro. Passano gruppi di giapponesi e russi, singoli turisti americani e tedeschi, poliziotti, tantissimi poliziotti. E naturalmente preti, ma non tanti quanto ce ne si potrebbe aspettare.

Gala racconta ai turisti tutto quello che devono sapere sulla più grande creazione della fede cristiana, e su ciò che si trova al disotto. Lo fa con voce dolce e sommessa, sentendo su di sé lo sguardo dei turisti come una corrente sensuale di desiderio e odio. I maschi che la concupiscono, scrutano ogni lembo di pelle lasciato libero dal vestito, le donne che la osservano critiche, giudicando con severità la sua magrezza e il suo viso irregolare. Fa caldo sul selciato della piazza enorme, in alto fragili impalcature avvolgono la facciata della basilica. I lavori per il Giubileo del 2000. Fervono, spezzano la città in mille frammenti, bloccano strade e avvolgono i monumenti come bozzoli. Intorno a questi bozzoli, migliaia di formiche lavorano operose.

La città, vista come un enorme nido d’insetti. Non è una similitudine particolarmente originale, ma rende bene l’idea: un brulicare immondo di creature schifose.

Più tardi, a casa. Il caldo non sembra dare tregua, la notte ancora più insopportabile che di giorno. Immobile nel letto, Gala percepisce solo il movimento dei suoi piccoli seni che si abbassano e si sollevano seguendo il respiro. Accanto a lei, Alessandro dorme come morto. Non russa, non parla nel sonno, neanche sillabe sconnesse. Fa troppo caldo per scopare, ma il problema non è il calore. Lei e Alessandro lo hanno fatto una volta sola, poi lui non l’ha più toccata. Ricorda la sensazione sgradevole del suo membro tra le sue mani, poi sulla sua lingua e nella sua bocca, infine nella sua fica. Era consenziente, eppure si sentiva come violentata. La voce gli parlava in continuazione, mentre lui le pompava dentro con una forza mostruosa.

Da allora sente quella cosa crescere dentro di lei. Alessandro le è rimasto accanto, ma sembra essere più un guardiano (o un carceriere) che un compagno e un padre. Il giorno dopo che lui l’ha sverginata, si è scoperta una sottile rete di ferite sul corpo, specialmente sulle braccia. Man mano che la gravidanza procede i tagli diventano più visibili. Non sanguinano, ma non si cicatrizzano neppure.

Gala non riesce a dormire per il troppo caldo, e non sopporta la morbosa immobilità di Alessandro. Sul minuscolo balconcino del loro appartamento (veramente del suo, lui si è installato in casa senza quasi chiedere il permesso), nuda, osserva la luna, un pallido spicchio offuscato dall’inquinamento.

E’ giallo-arancio, con grosse vene, come un piccolo feto che nuoti, cieco, nel liquido amniotico delle stelle.

2

Stranamente, man mano che la gravidanza progredisce, il ventre di Gala non si ingrossa. Eppure lei sente nel suo grembo quella presenza confermata dall’altra, silenziosa e vigile, di Alessandro. Gala può continuare il suo lavoro di guida senza difficoltà, anche al nono mese di gravidanza. Domani compirà trent’anni. Domani, dicono i giornali, la luna oscurerà il sole.

Nelle cripte c’è un po’ di fresco e i turisti, così lontano dall’influenza della luna e dal fascino dell’eclisse annunciata, sembrano concentrarsi di più sulle sue parole, e sul suo corpo.

“Gli scavi sotto la basilica di San Pietro,” spiega Gala citando a memoria la guida, “hanno evidenziato la presenza di una vasta necropoli la cui origine può farsi risalire al II secolo dopo Cristo. Tra i mausolei, spicca quello dei Giulii, risalente ai primi decenni del III secolo, con decorazioni ispirate al simbolismo cristiano: su questa parete,” tutti allungano il collo nello spazio angusto del passaggio, “si può riconoscere Giona in mare nella bocca della balena, o Leviatano, mentre sulla volta Cristo è rappresentato come il Sole in corsa sul suo carro…”

Dopo nove mesi, il Leviatano partorisce Giona cacandolo come uno stronzo viscido e ricoperto di altri escrementi. Il dio Apollo sul suo carro lo guarda dall’alto dei cieli, e ride. Cristo, rappresentato come il sole.

L’espressione di Gala muta appena, scaccia la voce dalla sua mente e prosegue: “Le tombe cristiane si trovano nel settore occidentale, intorno a quello che è stato individuato come il sepolcro di San Pietro. Un graffito rinvenuto sul monumento originario confermerebbe questa ipotesi. Vari edifici si susseguirono su questo sito, fino alla costruzione dell’attuale basilica.”

Anno dopo anno, nel corso di innumerevoli secoli, gli uomini si sono recati su questa tomba, portando il loro carico di terrore, desiderio, bramosia, invidia, rancore. Hanno pregato che i barbari non travolgessero l’Urbe Eterna, e poi che le alluvioni non la spazzassero, le carestie non la impoverissero. Ma hanno pregato anche per motivi più egoistici, mentre in cuor loro desideravano la morte di qualcuno, o la donna di qualcuno, o il denaro di qualcuno. Hanno costruito edicole, e cappelle, e basiliche sempre più sfarzose, per nascondere una semplice evidenza. Essi pregavano per se stessi un dio che non esisteva.

La stazione della linea A dista poche decine di metri, in linea d’aria, dalla necropoli. Gala ha come l’impressione di affiorare e reimmergersi in continuazione in un mondo di ombre. La creatura nel suo ventre scalcia e piange, Gala la immagina come una luna di carne attraversata da vene pulsanti, poi rabbrividisce di fronte a quel pensiero e si chiede come possa venirle in mente una cosa del genere.

Aspetta che arrivi il prossimo treno. Ma la stazione è così piccola e priva d’aria. Le ricorda… Le ricorda un mausoleo. I cadaveri disposti ordinatamente ad aspettare la vita eterna promessa dal figlio di Dio. La resurrezione che non arriva, non arriva mai, e intanto il corpo si decompone, le ossa si polverizzano, le orbite vuote dei teschi fissano invano la soglia aspettando che qualcuno entri.

Persefone rapita da Ade mentre gioca con le ancelle in un prato, che torna per sei mesi l’anno da sua madre Demetra. Euridice morsa dalla serpe durante le sue nozze e riportata alla vita da Orfeo. Inanna, la dea babilonese della luce, che scende nel Paese Senza Ritorno per ritrovare l’amante morto. Prima del cristianesimo i miti erano pieni di donne che andavano e venivano dall’inferno. Fino a qualche tempo fa, la resurrezione era appannaggio delle divinità femminili. Poi è arrivato il figlio del sole, e il monopolio è passato di mano.

Nel grembo del serpente sferragliante, Gala conta le fermate affascinata dal loro scorrere ciclico. Lepanto, Flaminio, Spagna, Barberini, Repubblica, Termini. Quasi non si rende conto che deve scendere. E’ la folla dell’ora di punta che la trascina fuori e la spinge su per le scale. E allora lo avverte. Uno sguardo insistente, fisso sulla sua nuca, sull’unica zona di pelle scoperta che i capelli neri e lunghi lascino talvolta intravedere. Volta il capo in tutte le direzioni, ma in quella massa di corpi è difficile capire chi la stia osservando.

Poi, senza soluzione di continuità, Gala si trova a camminare nel corridoio quasi sola. Sembra di nuovo un incubo. Pochi istanti prima la confusione soffocante, ora una solitudine ancora più opprimente. Nel passaggio rimbombano solo i suoi passi e quelli dell’uomo che la segue. Gala adesso lo riconosce. Era uno dei turisti del suo gruppo. In mezzo a tutti quegli sguardi bramosi non lo aveva notato, ma ne è certa. Ha due occhi di un azzurro chiarissimo e capelli biondo cenere. La sua carnagione è troppo pallida per questa stagione dell’anno. C’è qualcosa di straniero in lui, ma quest’impressione non ha nulla a che vedere con la nazionalità. Si tratta di un’estraneità assoluta, come se lo sconosciuto fosse di… Gala si blocca, rifiutando quel pensiero. Di un altro mondo, anzi di un altro luogo, che non ha nulla a che fare con la dimensione terrena. Una parola affiora alle labbra di Gala che lotta per non pronunciarla, ma un senso di costrizione simile a quello che ha provato facendo l’amore con Alessandro la costringe lo stesso a dirla.

“Satana.”

Ora tutti soffriranno.

Non è possibile che il tunnel che collega la linea A alla B sia così lungo. L’uomo la segue senza fretta, ma per quanto lei allunghi il passo è sempre un po’ più vicino.

“Non è un sogno,” pensa Gala, anche se tutti i dettagli sembrano quelli di un incubo.

Compreso quello della mano di lui che si posa sul suo braccio, all’improvviso, come se avesse annullato in un istante ogni distanza.

“Maria…” Sussurra l’uomo, e Gala ha un moto di ribellione, sentendo quel nome.

“Il mio nome è Gala, brutto porco. E lasciami…”

Lui non risponde, la spinge contro la parete della galleria e inizia a sfiorare con la mano sinistra i rilievi delle strane stimmate che le attraversano la pelle del collo. Poi, mentre Gala lotta con tutte le sue forze per liberarsi, le scopre le braccia tirando su le maniche poco a poco, e accarezza anche le ferite su di esse, un po’ più profonde.

Le parole che pronuncia dopo la fanno irrigidire, simili a una sconcia presa in giro.

“Il figlio del Sole osserva dall’alto la balena mentre sputa Giona, Maria.”

Gala si rende conto di quanto sia assurdo, a quel punto, ma il fatto che lui la chiami in quel modo è la cosa che la ferisce di più.

“Gala,” protesta con voce spezzata dal pianto, “mi chiamo Gala.”

Senza dar segno di sentirla, l’uomo le infila la mano sinistra sotto il vestito, mentre la destra le si stringe intorno al collo e le impedisce di muoversi. Le dita si insinuano una a una oltre la fragile barriera degli slip, frugando nella sua ferita più intima. Lei non prova piacere, ma stranamente neppure dolore.

Poi un’ombra silenziosa si avvicina alle spalle dello sconosciuto e Gala si lascia andare come se tutto quello che sta succedendo non la riguardasse più. Non perché sia indifferente a quell’oltraggio, ma perché ora sa che l’uomo non ha nessuna possibilità di riuscire a stuprarla.

Alessandro lo afferra con la forza dei suoi muscoli conquistati a prezzo di dure sofferenze e, con un volo assurdamente aggraziato, lo manda a schiantarsi contro la parete opposta. Si sente qualche scricchiolio quando le ossa sbattono contro il cemento, ma l’uomo non emette neppure un lamento. Quando si rialza, però, cammina come una marionetta dalle giunture disarticolate. Si avvicina ad Alessandro e sembra appena sfiorarlo con il taglio di una mano, ma sulla sua guancia si apre una larga ferita, quasi una seconda bocca. Lo schizzo di sangue colpisce il muro dietro Gala, che tuttavia non viene sfiorata da una sola goccia. Alessandro avanza e sferra un pugno alla base della mascella dell’avversario. Questa volta si sente un sonoro –CRAC– e la sua testa si inclina a un angolo impossibile. L’uomo rovina al suolo, poi, nonostante le terribili ferite, cerca ancora di voltarsi a guardare Gala. L’espressione del suo viso fa credere che stia per mettersi a ridere. Alla fine desiste e proferisce un’ultima frase. La sua voce ora suona ultraterrena, cristallina, perfetta come potrebbe esserlo il canto di un angelo:

“Maria… lui… è… Satana.”

Il suo corpo sembra sgonfiarsi insieme al suo ultimo fiato, e la creatura (perché adesso Gala è sicura che non si tratta di un semplice essere umano) giace finalmente immobile.

Dopo, sulla metro, Alessandro preme un fazzoletto sulla guancia mentre lucenti gocce di sangue cadono sul pavimento del vagone. Gli altri passeggeri lo guardano ma non hanno il coraggio di avvicinarsi. Stranamente, nessuno li ferma neanche quando escono dal treno e si ritrovano per strada. Non dicono nulla finché non arrivano a casa.

3

Gala si sveglia pensando che non vorrebbe andare al lavoro questa mattina. Vorrebbe solo che Alessandro la baciasse e le augurasse buon compleanno. Ma lui è indifferente come sempre, non le dà nessun appiglio per tirarsi indietro. Eppure lo sente anche lui, deve sentirlo anche lui. Questa giornata non sarà come tutte le altre: è l’undici agosto 1999. Il giorno in cui la luna eclisserà il sole. Il giorno in cui Gala compie trent’anni.

Non ha il coraggio di tornare in metropolitana da sola, così deve prendere il bus per arrivare al Vaticano. Per strada tutti stanno col naso per aria, anche se mancano ancora diverse ore all’eclisse. Da qualche parte, molto più a nord, è già cominciata, e traccia il suo sentiero scuro sulla faccia della terra, avvicinandosi a Roma. Gala non può fare a meno di pensarci, come tutti. Ma quello che ha dentro di sé, nel suo utero, non ce l’hanno tutti. E anche nella sua testa c’è qualcosa che striscia e bisbiglia, qualcosa che oggi sembra restarsene stranamente quieto. Di una tranquillità che ricorda la calma nell’occhio di un ciclone.

E’ assorta in quei pensieri quando la prima falena colpisce i vetri dell’autobus. Rimbalza con uno schiocco molle e spiacevole. Poi altre la seguono, sembrerebbe uno sciame, se le farfalle notturne volassero in sciame. Se le farfalle notturne volassero di giorno. Sono enormi, qualcuno all’inizio le scambia per piccoli pipistrelli. Gala freme di terrore, la sua repulsione istintiva per gli insetti la incolla al seggiolino. Le prime si spiaccicano sul parabrezza del mezzo, poi altre trovano la loro strada attraverso i finestrini spalancati per il caldo e vanno a morire ai piedi dei passeggeri sbigottiti. Agitano sempre più debolmente le ali decorate con colori funebri, emettendo un sibilo innaturale e schifoso. Ogni particolare della loro morte è raccapricciante. Gala chiude gli occhi e piange per la loro fine. Spinge con forza il pulsante della fermata, finché le nocche non diventano bianche e doloranti. Quando il pullman finalmente si arresta e lei scende, gli insetti sono ormai una poltiglia scura sotto le scarpe dei passeggeri che fuggono disordinatamente da quell’orrore.

Il suo gruppo oggi sembra diverso da tutti quelli che ha accompagnato sinora. Mentre li porta attorno alla piazza e poi nella basilica fresca e sconfinata la guardano con orbite d’insetto, prive della solita bramosia. Gala si è calmata e si è ripulita alla meglio gli occhi ancora gonfi di lacrime, ma non può fare a meno di paragonare gli sguardi dei turisti con quelli alieni delle falene morenti.

Nell’antichità, le farfalle notturne erano messaggere degli dei.

“Merda!” sbotta Gala quando torna la voce nella sua testa, e subito dopo si guarda intorno, sperando che nessuno abbia sentito quell’ingiuria pronunciata proprio nel bel mezzo della basilica di San Pietro. I membri della sua piccola comitiva non sembrano essersene accorti. Li osserva nuovamente: le donne sono placide come vacche pronte a essere sacrificate sull’altare di qualche divinità, gli uomini hanno un aspetto porcino, sudano abbondantemente anche nel ventre buio e fresco della chiesa. Ricordano un quadro caricaturale e grottesco.

Prega che la tua vita sia solo un sogno.

Questa volta è preparata, ignora la voce come fa di solito. Si sforza di continuare a parlare.

“Da questo passaggio si accede alla necropoli…”

La seguono come una mandria di animali da macello. Lei non avverte quasi più la loro presenza. Una nuova consapevolezza le dice che sono già come morti. Scendono tra le tombe senza far attenzione alle decorazioni a stucco, alle pitture e ai mosaici, al Cristo assimilato al Sole in corsa sul suo carro. Poco più a nord-ovest di lì, il cono di buio avanza a velocità spaventosa, fagocita uomini e case, li trasforma senza che loro se ne accorgano.

La luce delle lampadine vacilla, torna, poi svanisce definitivamente. Una zaffata dolciastra e torbida, come di sangue appena versato, colpisce le narici di Gala. E’ un odore sgradevole che tuttavia ha qualcosa di sensuale, le ricorda quello che ha provato la prima, e unica, volta che ha fatto l’amore

che ti hanno scopata

in vita sua. Anche gli altri lo sentono, ed è come se quel segnale olfattivo dicesse loro che tutto è permesso, perché non c’è più nulla da perdere. Nell’oscurità, Gala sente mani che la sfiorano senza mai toccarla e gemiti che potrebbero essere di piacere. Anche lei avverte l’impulso di lasciarsi andare, ma questa è una festa in suo onore, una festa a cui paradossalmente proprio lei non può partecipare.

Adesso l’atmosfera è permeata di umori e sudore, satura di sospiri strozzati e del suono di carne su altra carne. Gala rimane immobile mentre a poco a poco le grida e la furia di quegli accoppiamenti al buio crescono di intensità. Una voce di donna urla ripetutamente un nome, di colpo smette. Qualcuno piange, a lungo, poi anche quel rumore si spegne. Mentre la gente muore intorno a lei, sente il feto che porta in grembo diventare sempre più grosso. Il ventre, rimasto piatto e magro in tutti questi mesi, si gonfia all’improvviso.

Le grida e i pianti salgono di tono fino a un livello insopportabile, poi si azzittiscono all’unisono. Come se n’era andata, la luce riappare. Gala, ora, sembra davvero una donna incinta di nove mesi. I turisti giacciono nelle pose più oscene, figure fulminate dalla furia divina nel mezzo di un’orgia. Lei cerca di non guardarli mentre risale verso la superficie, singhiozzando e incespicando. Lacrime nere rigano le sue guance. Le ferite sul suo corpo ora si sono concentrate sulla schiena, strisciando come insetti sotto la sua pelle. Formano un fitto reticolo, e il disegno che tracciano è mostruoso. Sono ali: le ali di una gigantesca falena.

Per quanto il suo aspetto sia grottesco, quando esce nessuno fa caso a lei, alle sue ali d’insetto e alle sue lacrime d’inchiostro. Sono tutti immobili con lo sguardo rivolto verso l’alto, persino gli operai sulle impalcature hanno smesso di lavorare e scrutano il cielo come sentinelle. Il sole ha una piccola imperfezione sul bordo sinistro, nulla di troppo appariscente, se non fosse che l’imperfezione, lentamente, continua a espandersi.

Un cancro che si alimenta della sua stessa energia.

Un vento freddo soffia sull’immane sagrato e sulle sue colonne, ma sembra una forza ben misera di fronte a quel monumento maestoso. Eppure quella brezza insignificante ha già spazzato via il calore dell’estate che sembrava invincibile, e ora anche le colonne sembrano vacillare. Anzi, tutta la facciata della chiesa oscilla come un miraggio, diventa diafana nella luce grigia dell’eclisse che avanza.

Ti innalzerò come l’angelo più amabile, ti schiaccerò al suolo come una puttana.

Il disco solare è ormai nascosto per metà dal cancro nero che lo sta divorando. San Pietro è quasi trasparente, ora.

Adesso puoi vedere il vero volto delle cose. Duemila anni fa qualcuno disse che il figlio di un dio era sceso tra gli uomini per salvarli. Tutto quello che gli uomini credono diventa realtà. E ciò vale soprattutto per i loro incubi. Anche la materia più concreta, anche questa facciata di duro marmo, non è più tangibile di un sogno, se nessuno crede in ciò che rappresenta.

Gala sente una fitta violentissima e si piega in due sulla scalinata della basilica. C’è un grumo duro come acciaio e pieno di spigoli taglienti dentro di lei. Ha la forma di una mezzaluna, e l’unica cosa che lo fa rassomigliare a un feto sono i piccoli arti che si protendono dal corpo centrale.

“Dio!” urla.

Adesso lo invochi? Come tutti, sei come tutti gli altri. Ti ricordi di lui solo quando ti interessa. Un tempo non era così, sai? Le persone morivano per Lui, non chiedevano a Lui di morire per loro.

Gala si chiede come sia possibile che nessuno si accorga di lei, delle mostruose ali che porta sulla schiena, delle sue grida.

E ora è finita. Inizia un nuovo ciclo.

“Non voglio,” urla con tutto il fiato che ha in corpo, “voglio essere come tutti gli altri, voglio essere amata, voglio amare mia figlia…” Il fiato le si spezza in gola, inizia a piangere. “Perché avete fatto questo proprio a me?”

A te o a un’altra, che differenza avrebbe fatto? Credi che ci sia qualcun altro più fortunato di te? Credi che esista davvero una cosa chiamata amore? E’ finito il tempo dell’ipocrisia. Tua figlia non è venuta per portare l’amore agli uomini, come blaterava il figlio di Dio. Credi che ci sia un solo essere umano, su questa terra, che si senta veramente amato?

Gala sente la creatura che inizia a muoversi e spingere. Quando si rompono le acque, un liquido nero come inchiostro

come l’oscurità della notte che sta arrivando

scende lungo le sue cosce.

Distesa sugli scalini, guarda il disco nero circondato da una sottile aura di fuoco. Il sole è completamente oscurato, ora. Alessandro le solleva la testa e bisbiglia:

“Spingi, fai uscire la tua creatura.” Nella sua voce non c’è calore.

Ora tutti soffriranno.

Gala guarda Alessandro senza stupirsi che sia comparso così all’improvviso.

“Ti prenderai tu cura di lei?”

“Sì, Gala, non preoccuparti.”

Non le importa di morire, non le importa neppure della figlia che sta partorendo. L’unica cosa che colpisce la sua curiosità è il fatto che nessuno si accorga di lei. La luce grigia dell’eclisse è più che sufficiente perché tutti vedano quello che le sta succedendo, eppure se ne stanno a naso all’aria come se lei non esistesse. Ansima e spinge, poi lancia un grido simile a una bestemmia, mentre con un ultimo disperato sussulto espelle la creatura che dilania la sua carne uscendo. Alessandro si china tra le sue gambe e solleva qualcosa che Gala non riesce a distinguere bene. Il dolore le offusca ancora la vista.

Nel momento in cui nasci, cominci a morire.

Pare che la luna sia sospesa davanti al sole da un’eternità. Ora Alessandro tiene tra le braccia il piccolo fardello. Tra le cosce di Gala cola un rivolo di sangue che va a formare una pozza scarlatta alla base della scalinata. Gala vorrebbe chiedere ad Alessandro di farle vedere la bambina ma ha troppa paura. Una paura più profonda di tutto quello che ha provato fino a ora. Più profonda ancora del timore della morte. Prima che lei possa distogliere lo sguardo, Alessandro protende le braccia, e ciò che Gala crede di scorgere le sconvolge definitivamente la ragione: un povero grumo di carne e vene pulsanti a forma di mezzaluna da cui sporgono gli arti, braccia e gambe che si divincolano cieche nell’aria nera.

La debolezza che deriva dal dissanguamento è quasi una benedizione. La morte adesso sembra così dolce. Sta per abbandonarsi al suo abbraccio, quando la luna ricomincia a muoversi e un raggio di sole cade finalmente sulla neonata. Ha una testolina rotonda e sorridente, con i pochi capelli più scuri del normale, un corpicino indifeso ma perfettamente sano, così dolce che Gala all’ultimo momento allunga le braccia per cercare di stringerla. E il tempo, repentinamente come quando si è arrestato, ricomincia a scorrere. La luce si fa accecante e una marea di suoni contrastanti si scatena intorno a lei. Voci che urlano, passi affrettati, ombre che si muovono ai limiti della sua visuale. Gala è troppo debole per parlare, ma riesce ancora a sentire le parole di Alessandro. Chiama aiuto, dice qualcosa a proposito di un parto precoce. Chissà chi è che ha partorito in anticipo, pensa Gala. Lei è stata perfettamente puntuale. Nove mesi esatti dal concepimento.

È così bello fluttuare nel vuoto, anche la voce l’ha lasciata in pace ora. Vede ancora qualcosa intorno a sé, movimenti e suoni come al fondo di una galleria molto lunga, ma non ha più importanza. Le dispiace solo di non essere riuscita ad accarezzare almeno una volta la sua bambina.

“Proprio il giorno del mio compleanno,” pensa ancora, poi gli occhi si chiudono e la stanchezza prende il sopravvento.

Sopra di lei, il sole cocente è tornato a spazzare con i suoi raggi violenti la piazza, ma nessuno sembra accoglierlo volentieri. Il marmo delle facciate, la pietra del selciato, l’asfalto già reso freddo dal vento dell’eclisse, sembrano rigettare quell’abbraccio che un tempo ritenevano amorevole.

In piedi accanto al corpo esangue di Gala, Alessandro porge il piccolo fagotto che tiene in mano a un paramedico, sul suo volto impassibile appare appena l’ombra di un sorriso. Le membra della bambina appena nate sono perfette, mentre lei si accoccola tra le braccia del soccorritore, rannicchiandosi come una piccola luna dai capelli scuri.