LICHENI n.1 "CORPO" luglio 2021

Ricorpi storici

di Mario Trap

È lì che… è lì che siamo nel 20756 dopo Cristo, cosa che tra l’altro non c’è chi ricordi perché si dica così. l’Essere Perfetto, i cui lontani ascendenti furono un tempo banalmente detti Uomini, contempla immoto l’Eternità che scorre tutto intorno a Lui senza muoverLo né intaccarLo.
Oggi è un giorno speciale: festeggia il suo primo millesimo compleanno. Senza che un moto dell’animo turbi la sua assoluta quiete interiore. Ma anche esteriore, perché a circondarLo è il nulla. A Lui non serve niente, nemmeno uno specchio che Gli ricordi quali sono le sue fattezze. Sa di essere, e il sapere è essere, una sfera perfetta. Perfettamente immobile, libera dalle necessità del vivere, del muoversi, del fluire.
Ci fu un tempo – questo la sua memoria lo rammenta, perché sono infiniti miliardi di memorie a ricordarglieLo – ci fu un tempo che non era così, così non andavano le cose. Lui era -e pur nella sua asettica perfezione il ricordo ancora brucia – Lui era miliardi di esseri impropriamente detti umani, in quanto erano nulla più che corpi – e il semplice alitare di queste cinque lettere ancora graffia la superficie della sua anestetica apatia.
Corpi: carne imperfetta, infetta, già minata alla nascita dai germi della putrefazione.
Corpi: un fantasmagorico e caotico assemblaggio di organi grandi e piccoli, tessuti, grovigli di tubi e tubicini, un insieme repellente accatastato e appeso su una esile struttura ossea detta scheletro. Niente di più approssimativo e destinato al fallimento nel breve volgere di pochi decenni, nei casi più fortunati.
Corpi: l’invenzione di un sadico, l’applicazione del mito di Sisifo al moto perpetuo – e si fa per dire, perpetuo. Organismi programmati per procurarsi con fatica sostanze da ingerire finalizzate a mantenerli in vita. Perenne ingerire per continuare a vivere allo scopo di dover ingoiare sostanze per rendere duratura la propria esistenza. Non solo. Organismi imperfetti a tal punto da dover espellere da se stessi parte di quanto ingerivano, non essendo nemmeno in grado di metabolizzarlo nella sua interezza. Agglomerati biologici così imperfetti da generare altre imperfezioni che erano costretti a espellere per non accrescere le proprie manchevolezze.
Una vita da inferno, se pure vita si poteva definire. Una miseranda coazione a ripetere finalizzata unicamente al mantenimento della propria imperfezione. Quanto di più assurdo la Natura potesse generare.
Corpi: fragili, flaccidi, instabili. Costretti ad estroflettere cosiddetti arti per mantenere l’equilibrio, e non solo. Braccia e mani per portare alla bocca il cibo da espellere e per liberarsi dalle lordure così estromesse. Gambe e piedi per reggersi verticali e per spostarsi – SPOSTARSI! Muoversi, dove il movimento è la negazione stessa della perfezione.
Corpi: dotati di fori di ogni genere e dimensione. La bocca introduceva cibo che veniva espulso dall’ano. Le orecchie insufflavano parole che spesso finivano sputate dalla stessa bocca. Le narici inspiravano aria che sempre la bocca estrometteva dopo averla arricchita di ogni genere di sozzure ramazzate al proprio interno. Un continuo andirivieni che otteneva l’unico risultato di degradare il corpo e l’ambiente che lo ospitava.
Corpi: fetide miscellanee di afrori, sudore, puzze, esalazioni, miasmi indegni del concetto stesso di Umanità.
Corpi: costretti a compenetrarsi in orripilanti posture cementate da viscide emanazioni fluide e suggellate da oscene emissioni vocali, il tutto con l’unico fine di riprodursi per perpetrare quelle flaccide carcasse informi, sgraziate, sproporzionate, orribili a vedersi, la negazione stessa della sezione aurea.
Corpi che nemmeno se gettati sui roghi riuscivano a sublimarsi in etereo spirito.
Andò avanti così per molto tempo, troppo tempo, finché la Natura, forse fino a quel giorno distratta, colse nella sua interezza la portata del proprio errore, di quell’aborto che le era sfuggito di mano. E cominciò, come lei sola sa, a porre rimedio.
L’intelligenza artificiale; il perfezionamento degli assistenti vocali; la delega alle macchine di ogni forma di lavoro manuale con il progredire dei secoli ridusse via via, in modo del tutto indolore e impercettibile, l’utilizzo e la necessità stessa degli arti superiori, che si andarono rattrappendo e ritirando senza che nessuno avesse a rimpiangerli. Fino al giorno in cui sparirono del tutto, e ne restò traccia soltanto in vecchie, patetiche illustrazioni.
Poi fu la volta delle gambe e dei piedi: a che potevano servire dal momento che non era più necessario in alcun modo spostarsi? Bastava chiedere alla macchina di turno e lei ti portava ciò di cui avevi necessità. E quando, per motivi peraltro sempre meno frequenti, decidevi di volerti spostare bastava tu dessi un ordine, e una gentile e delicata apparecchiatura provvedeva a sollevarti e con ogni premura ti posizionava all’interno del mezzo di trasporto che più era consono al tuo desiderio.
È noto fin dai tempi dell’antichità che la vita sedentaria imbolsisce e trasforma in sgradevoli e pericolose masse di lardo, perché si continua a introdurre cibo che anziché consumato viene metabolizzato e assimilato. Fu necessario un periodo non breve e non indolore per conseguire la padronanza assoluta prima della fame e poi dei bisogni di nutrienti. Il corpo umano dovette, per l’appunto, metabolizzare il principio che se non mangi non ingrassi e non hai nemmeno necessità di espellere i fastidiosi resti del cibo, con l’ulteriore aggravio del ricorso alle macchine-wc-bidet.
Non fu semplice, né, si ripete, indolore: l’organismo Uomo necessitò di secoli prima di riuscire a liberarsi dalla schiavitù dei bisogni fisiologici. Ma alla fine la Mente prese il sopravvento, e li dominò, eliminandoli definitivamente. Svanì con essi anche la bocca, ormai inutile: la respirazione poteva comodamente avvenire attraverso le narici. In quanto al parlare, non ve n’era più alcun bisogno. La trasmissione del pensiero da tempo era una realtà consolidata. Parrebbe pleonastico aggiungere che si autosoppresse anche l’orifizio posto diagonalmente rispetto all’organo bocca
La progressiva liberazione dalla dipendenza da bisogni materiali e istintuali portò necessariamente con sé la soppressione della sessualità e del suo principale, se non unico, motivo di esistere: la riproduzione. L’Uomo si andò sempre più evolvendo e raffinando, trasformandosi in androgino ermafrodita, in grado di riprodursi senza bisogno di alcun apporto esterno. Quando avvertiva l’approssimarsi della decadenza ogni singolo individuo, non più maschio né femmina, si estingueva, ritraendosi in un bozzolo dal quale sbocciava dopo poco tempo rigenerato e in grado di sopravvivere molto molto a lungo. Gli organi genitali, tanto interni quanto esterni, poco per volta si atrofizzarono fino a svanire.
Via via che trascorrevano i secoli, i millenni, e le funzioni si riducevano sempre di più cominciarono a perdere di senso anche la circolazione sanguigna, il sistema nervoso, i polmoni, mentre tutto l’apparato digestivo in senso lato già da tempo non trovava più spazio nel corpo umano.
Sparirono gli occhi, il naso, le orecchie. La testa si fuse con il tronco, e passo dopo passo ne prese possesso.
Il corpo dell’uomo era ormai ridotto a un solido sempre più simile a una sfera. E si capì presto che questo era il fine cui tendeva la Natura, fino al giorno in cui la Terra si ritrovò tutta popolata da perfette sfere del diametro di circa un metro, costituite da una pellicola vellutata che avvolgeva un enorme cervello. Ogni sfera trascorreva il tempo perfettamente immota, senza comunicare in alcun modo con le sue simili.
Fu a quel punto che il Sommo Architetto tracciò la strada che avrebbe portato l’Umanità all’ultimo stadio della Perfezione: i Singoli Individui Sferici cominciarono con infinita lentezza a rotolare gli uni verso gli altri per appiccicarsi inglobarsi fondersi amalgamarsi impastarsi in una unica, incommensurabile sfera, dal diametro pari quasi a quello del globo terrestre. Inamovibile. Impermeabile anche solo all’idea di sensi, sentimenti, emozioni. Assolutamente liberata dalla schiavitù dei bisogni e perfettamente inutile, non sopravvivendo più nessun altro e niente altro oltre a lei. Padrona assoluta del nulla. Finalmente l’Umanità vittoriosa sulla Natura.
Il prossimo passo sarebbe stato la dissoluzione dell’involucro e poi, con regolarità da metronomi, del contenuto. Fino al sopravvivere del Puro Pensiero. L’Uomo finalmente fatto Dio, perché Dio, qualsiasi Dio, è incorporeo.

Già le prime screpolature iniziano a solcare la superficie della Sfera-Uomo; il Pensiero preme per espandersi, come un pulcino che incrina il guscio dell’uovo. Quand’ecco dallo spazio si materializza un’astronave aliena, così inestimabilmente esorbitante da oscurare il Sole. Ha l’insolita forma di una gamba nuda culminante in un piede. È priva di scritte, bandiere, stemmi. Non sbarca sulla Terra, ma si posizione in verticale parallelamente alla Sfera-Pensiero. Ruota lentamente sporgendo il calcagno all’indietro, fino a un’angolazione di 45°. Poi di botto, senza preavviso, lascia partire un calcio stratosferico che colpisce al centro con inaudita violenza la ciclopica palla-umana, scagliandola dalle parti dell’infinito.
Tutto è compiuto.
Tutto è compiuto?
L’astronave si riporta in posizione verticale, e lentamente atterra. Smisuratamente alta e massiccia, come non lo fu mai una costruzione umana fin dai tempi in cui gli uomini masticavano i primi geroglifici. Spettacolo fine a se stesso, senza spettatori, paganti o meno: intorno al mostro spaziale regna il Nulla, e il Nulla non si lascia affascinare tanto facilmente.
Nella parte superiore del tallone si apre, senza che il silenzio abbia a soffrirne, una vasta, regolare, fenditura, dalla quale uno scivolo inizia lentamente a calare verso terra. Toccatala, sulla sua sommità prendono ad apparire coppie di animali di ogni genere e specie, dall’infinitamente piccolo al mastodontico. A mano a mano si presentano iniziano a scendere verso il suolo, quasi danzando. Sono formiche, cicale, lombrichi, lucertole… topi… pipistrelli… gatti… cani… aquile… serpenti… albatros… cavalli… tigri… coccodrilli… ippopotami… elefanti… squali… balene. A due a due, quasi mano nella mano, toccano terra, la baciano, quindi ogni coppia si dirige alla volta del proprio elemento naturale. Ultimi smontano due enormi testicoli, alti all’incirca come un uomo di statura media. Osservano, un sorriso beffardo che gli spunta da sotto i baffi, le altre bestie che sciamano per ogni dove, cercando di sottrarsi alle mire di chi già vorrebbe pranzare. Si dannino pure a sopravvivere tutti quegli esseri non senzienti: chi saranno i loro veri dominatori sta già scritto nelle stelle, per chi le sa ascoltare e non perde una puntata di Paolo Fox. Limonano anch’essi con il pavimento della loro nuova casa; poi, lisciandosi la barba, vanno a farsi due birrette.
Spariti alla vista i due maroni in scala 1:1, iniziano la discesa, senza che il nesso balzi all’occhio, nuove coppie, questa volta però a quattro ruote e dotate non di un corpo ma di una carrozzeria. I loro nomi: Cavallino rampante, Cayman, Due cavalli, Dune baggy, Jaguar, Kangoo, Leoncino OM, Maggiolino, Mustang, Panda, Puma, Squalo, Topolino…
Lo scivolo risale; la fenditura torna a chiudersi; la gamba riparte alla volta del buco nero dal quale ha preso avvio la sua missione. Lungo tutta la fiancata, appena sopra la pianta del piede, campeggia a lettere di fuoco la scritta BISARCA DI NOÈ.
Sulla Terra, intanto, la vita ha ripreso corpo, e in giro già si cominciano a trovare cacche di cani e carte di caramelle. Poco probabile che i due testicoli pervengano un giorno a trovare il punto di fusione.