LICHENI n.1 "CORPO" luglio 2021

Soggetto per un film con l’artista [OMISSIS]

di Mauro Eucaliptus

il cantautore [OMISSIS] spara a un africano dal balcone con un fucile ad aria compressa

abita in uno di quei posti che si vedono nei suoi video, litorale romano

non lo prendono: in quei luoghi le abitazioni sono tutte uguali, tutte palazzine basse e larghe di due o tre piani, la polizia si confonde, addirittura alcuni edifici hanno i sigilli, altri sono occupati da gente violenta, altri ancora inagibili o pericolosi

tutti giallo tuorlo o rosa pallido

non si capisce niente, le vie ortogonali non hanno nome e fa anche un caldo del cazzo. inoltre potrebbe essere stato chiunque, perché è pieno di gente di merda che sparerebbe a un nero per puro sfizio

così vediamo i poliziotti che pattugliano il quartiere come degli indemoniati ma non entrano da nessuna parte, non riescono a comunicare dove si trovino, vengono colpiti da insolazioni, cali di zuccheri

i poliziotti maschi avvertono le palle e i piedi sudare, il sudore evaporare sotto il poliestere della divisa e sublimare in un vapore fetido che rimane intrappolato sulla sua origine; le poliziotte femmine sentono scorrere torrenti dalle ascelle, sotto al petto, e provano pure una strana pressione dietro ai reni

vorrebbero davvero prendere i responsabili, se non per sete di giustizia o per dovere, almeno perché un crimine tale in quel posto dà loro l’occasione di levarsi certe pietre dalla scarpa, rinchiudere gentaglia che sarebbe comunque pericolosa

tuttavia veramente non capiscono, continuano a perdere la via e quando non si perdono qualcuno si sente male; allo stesso tempo non vogliono ricondurre la vittima sul luogo del delitto perché ritengono che essendo visto insieme a loro potrebbe venire ucciso di lì a poco

la vittima, di sua iniziativa, decide di tornare comunque nel posto dove l’hanno colpito. completamente solo, arriva alle sei del mattino per non farsi scoprire dai poliziotti o dai residenti e si mette a guardare i balconi

pure lui accusa il disorientamento, vede balconi tutti uguali e fa l’errore di girare su sé stesso, ma non ha mangiato e c’è afa, quindi al secondo giro ha un cortocircuito mentale accompagnato da un principio di malore: pensa “non distinguo più le cose, sto impazzendo” e si sente prossimo prima a cacarsi sotto, poi a morire senza motivo

lentamente si delinea una possibile causa del gesto del cantautore [OMISSIS]:

[OMISSIS] non si è reso minimamente conto della viltà del suo atto, addirittura non si capisce se sa di averlo commesso. la ripetizione dei gesti, delle camicie, delle simpatiche birre sul litorale romano, delle parole — le parole, sempre le stesse — lo ha portato a non registrare le cose che fa

ripete troppe cose e nell’interminabile serie si è inserita, non capiamo come, la malvagità, malvagità che però ha subito perso il suo carattere eccezionale nonché ogni possibilità di censura ed è diventata una perversione sfinita, brutta

insomma, [OMISSIS] non può stabilire se ha ferito immotivatamente un uomo o no, ma grazie alla (o per colpa della) ripetizione è come se non l’avesse fatto

tutto questo porta lo spettatore a congetture terrificanti: di che altro si è macchiato [OMISSIS]? cosa è capace di fare? nel film lo vediamo sempre solo, ma sentendo le sue canzoni, unica colonna sonora della pellicola, ricordiamo i video in cui appaiono giovani ragazze, o gli accenni alla cosa sessuale nei suoi testi, e inorridiamo

altro inquietante sviluppo: il sordo nuocere di [OMISSIS] si viralizza, si diffonde e attacca chi non dovrebbe attaccare, cioè i poliziotti e la vittima. forse i continui malesseri della polizia erano già effetti del fluido dell’artista [OMISSIS].

ecco che l’ambiente, il litorale romano, comincia a confondere sempre di più i poliziotti. continuano a prendere una casa per un’altra: un giorno credono di assaltare un covo di strozzini e si trovano nell’appartamento vuoto di una famiglia che è fuori in vacanza, il giorno seguente devono fare rilevamenti in una sala slot sigillata ma non ricordano dove si trovi e dopo ore arrivano di fronte ad una palazzina in costruzione, anch’essa sigillata però per fatti tipo abuso edilizio.

già questo sarebbe sufficiente a demoralizzare financo i più integerrimi tutori dell’ordine, ma il tremendo fluido di [OMISSIS] non si ferma qui

i poliziotti sanno che tutti nel quartiere li odiano. come già spiegato, non sperano minimamente di ottenere alcuna informazione sulle indagini lunghe e chiatte — figurarsi sul ferimento dell’africano. così il fluido dell’artista [OMISSIS] prende ad agire prima sulla considerazione, poi sui tratti, e infine addirittura sulle identità dei residenti: i poliziotti più giovani ed energici, insieme a quelli più anziani e coriacei, vedono tutti come irrecuperabile e recidiva gentaglia, si scoprono a fantasticare di levare i bambini a genitori che possono solo rovinarli, di incastrare gli adolescenti mettendo loro in tasca coltelli o pezzi di fumo, di provocare gli adulti per indurli a qualche eclatante cazzata ed arrestarli

i poliziotti 35-50 hanno famiglia e più possibilità di venire trasferiti in quartieri migliori; soprattutto, possono contare su altri hobbies e altri giuochi, tra cui la pesca sportiva, il sesso anale con donne che vanno in palestra, le sigarette elettroniche, la ricotta di capra fatta in casa. simili cuscinetti invertono il senso dell’azione del fluido di [OMISSIS], che rimane comunque letale: gli affascinati cominciano a pensare che la gente del luogo non è poi così male, che sono un poco malandrini ma simpatici, che forse tutti gli italiani sono così, che l’africano stava in chissà quali giri e anche se non era proprio colpa sua avrebbe comunque potuto scegliersi meglio le amicizie

dunque il primo gruppo è costantemente in preda a una nevrosi estenuante, con la feroce sete di giustizia in faccia al senso d’impotenza; il secondo gruppo viene avvolto da una coltre di negligenza fiacca che impedisce di distinguere chi sia un malamente e chi no

intanto la vittima continua — non capendo bene come — a capitare davanti alla caserma, e lì viene accostato da certi poliziotti, gli appartenenti al primo gruppo, particolarmente determinati a prendere il feritore. ogni volta che si trova davanti ai poliziotti però quelli sono sempre sfiniti o frustrati dalle infernali combinazioni antidette. questo la vittima non può capirlo — anche perché è disabituato a parlare, fa un lavoro tremendo etc. — e così il fluido dell’artista [OMISSIS] colpisce anche lui

colpendolo, gli fa credere di essere di peso ai poliziotti, gli fa scambiare la loro stanchezza per fastidio, seccatura: il fluido di [OMISSIS] lo fa sentire colpevole, quindi sempre più restio a parlare coi poliziotti

inoltre, il pallino sparato da [OMISSIS] gli provoca dolori ogni volta che alza il braccio, ma non vuole andare in ospedale perché non ha documenti o soldi; un poliziotto gli dà un blister di aspirina, che lenisce sì le sofferenze ma è termogenica e stimola la sudorazione, e la perdita di fluidi lo spossa oltremisura, perché lui, la vittima, raccoglie i carciofi e i poparuoli tanto amati dall’artista [OMISSIS], che è ghiottissimo dei piatti della cucina romana

soprattutto anche la vittima viene colpita dalla confusione, perché la sua vita è una vita di gesti crudi e di imposizioni bestiali che si ripetono giorno dopo giorno, quindi non ricorda se la mattina ha mangiato o no, e se non lo ha fatto vuol dire che comincerà ad essere trafitto dai crampi nel ventre e dovrà interrompere il lavoro forfettando dei soldi. addirittura, man mano che la virulenza del fluido di [OMISSIS] aumenta, dimentica se il giorno prima è andato a lavorare

insomma, sia la vittima sia i poliziotti non solo parlano sempre meno (per la vittima è più facile non parlare) ma credono di avvertire che nessuno rivolge loro la parola: l’unica voce umana che riescono a farsi venire in mente è quella del cantautore [OMISSIS], la voce che viene trasmessa ininterrottamente da tutte le radio locali e nazionali.

poi succede che una macchina di poliziotti è appostata vicino ad un bar in cui sta svolgendosi la festa di compleanno dei figli di alcuni malavitosi

ci sono tutti: i capi e i luogotenenti, gli assi e le figure, gli autovalori della matrice dello strozzo, dello spaccio, dello sfruttamento delle prostitute; malagente irrecuperabile che — si conosce — è anche stupida e non esiterebbe a zompare, quando non a sparare, in direzione della polizia, autorizzando così una risposta veramente letale, veramente risolutiva, la risposta che è la vera pioggia e la potassa dei lavandai e il fuoco dei metallurgi ma che tuttavia rimane fantasia perché, sebbene sul capo di certi pendano già ordini di cattura, vi è il contrordine di non bruciare gli altri, i non-ancora-indagati

e vi sono pure quindici bambini

nella macchina appostata, dicevamo, stanno due poliziotti. uno, sul sedile del passeggero, sta parlando del kefir e delle lenticchie rosse: esprime la sua preoccupazione circa la fermentazione del primo e dice la virtù dell’ammollo per le seconde; l’altro, al volante, sta rimuginando da giorni su una bella ripulitura del quartiere, addirittura sospetta che a sparare all’africano siano stati proprio i figli dei malavitosi che festeggiano lì di fronte

«il kefir, il kefir non é una ricótta di cæpra, è più tipo uno yœugurt, si può anche bære ma io lo uso pure in cucina»

l’altro poliziotto non segue il delirio sul kefir perché sta pensando “il fucile a pallini, il fucile a pallini, chi cazzo glielo regala il fucile a pallini al bambino, sono loro, sti pezzi di merda, il fucile a pallini che regalano al figlio che gli regalano il fucile a pallini e a tredici anni gli insegnano a rubare”

tanto è opprimente il pensiero che alla fine straripa, e il poliziotto si mette a ripetere ad alta voce «il fucile a pallini il fucile a pallini il fucile a pallini porcoddio il fucile a pallini il fucile a pallini so’ stati quelli il fucile a pallini»

ma il collega, trascinato a sua volta dalla spiegazione del kefir, non lo sente neanche e continua a parlare:

«per esempio stasera io contróllo il kefir, pói faccio le llenticchie rosse con póchissima acqua che tanto quelle cuociono veloce, metto tutto nella centrifuga con due ccēeci che mi érano avanzati nel friigo e faccio un UUMUSS, l’UUMUSS come lo fanno in marócco no? e domani a pranzo me lo mangio con le verdure — ammicca e sorride — A PINZIMÓNIO!»

qui comincia a delinearsi la tragedia, l’inevitabile

il poliziotto del kefir si è lentamente convinto di dover tornare a casa per controllare, appunto, il kefir. forse c’è da abbassare la temperatura del frigorifero, forse da alzarla, forse da travasare il kefir, forse il kefir andrebbe proprio tolto dal frigo per accelerare la fermentazione

forse ha altri reconditi motivi per voler partire: mentre spiegava il kefir, infatti, guardava fisso e fitto smanacciava lo smartphone, dirigendo impercettibilmente gli occhi al collega solo al momento di sottolineare “A PINZIMÓNIO”. così sospettiamo che oltre alla fermentazione in corso abbia pure una penetrazione in forse, e non facciamo fatica a immaginarlo bramoso di tornare in caserma, prendere il motorino di proprietà e dirigersi a casa ove, lavatosi, lo sfilerebbe in culo alla fidanzata che sarebbe una sua conterranea, lei sensualmente placida e appena unta sulle caviglie e sui polpacci di non economici unguenti a base vegetale, lui con la circolazione agile e le membra snodate da una dieta di kefir e legumi e melanzane (soprattutto melanzane) e pomodóori, libero da quel peso del mondo che sa invece gravare sul collega oppresso dall’idea del fucile a pallini. né facciamo fatica a immaginarli, dopo la sodomia, mangiare l’elaboratissimo UUMUSS davanti a una replica di chef Cannavacciuolo.

e comunque l’appostamento è morto, dovevano solo controllare chi c’era e chi non c’era, e in specie se quelli cui stavano conclamatamente alle calcagna c’erano: c’erano, punto.

dunque vediamo che c’è un momento in cui sia Kefir sia Fucile-a-pallini smettono improvvisamente di parlare. tacciono, con la radio che trasmette la canzone [OMISSIS] dell’artista [OMISSIS]

finché Kefir non dice tipo “senti, che stiamo a fare ancora qua, quello che dovevamo vedere l’abbiamo visto, io me ne andrei anche a casa, torna anche tu, domani è domenica, la porti tu la macchina in caserma che io vado a piedi, ho il motorino parcheggiato qua vicino”

capiamo subito che la scena, l’intera sequenza, dev’essersi ripetuta tante e tante volte, troppe volte: Kefir (ha quaranta e qualcosa anni) che delira del kefir, Fucile-a-pallini (neanche trent’anni) che lascia il suo cranio venire roso dal disgusto per i residenti balordi, Kefir che se ne torna a casa, Fucile-a-pallini che deve riportare la macchina in caserma da solo, tutto questo col cantautore [OMISSIS] in sottofondo

Fucile-a-pallini risponde «…[OMISSIS] è una [OMISSIS]» (che è una frase della canzone [OMISSIS] dell’artista [OMISSIS])

Kefir, di rimando, ride e, senza guardarlo, apre la portiera ripetendo «…[OMISSIS] è una [OMISSIS, cogli accenti che si devono a Kefir]», poi si incammina con le spalle rivolte al muso della macchina

nella stessa inquadratura, un secondo prima che Kefir esca dal campo, Fucile-a-pallini esce dalla macchina con la pistola in mano, scarrella l’arma, la tende davanti a sé e marcia verso il bar dove c’è la festa di compleanno coi venti malviventi e i quindici figli di malviventi.

la vittima, abbiamo detto, raccoglie i carciofi dalle cinque del mattino alle sei del pomeriggio, i carciofi che vengono fritti e mangiati dall’artista [OMISSIS]

capisce che l’aspirina lo aiuta coi dolori ma non ha chiaro che dovrebbe bere di più, e soprattutto mangiare. nel campo dei carciofi c’è solo l’acqua sporca o quella avvelenata che serve a immunizzare le piante, i lavoranti bevono due volte al giorno quando il caporale fa passare delle taniche tipo ammoniaca o acqua del ferro da stiro riempite ad una fontana; la vittima è pure uno degli ultimi arrivati e gli tocca bere per ultimo, quindi non a sufficienza e senza neanche l’anestesia che recherebbe un liquido freddo. proprio mentre Kefir e Fucile-a-pallini adempivano l’appostamento, l’organismo gli dà chiari segnali di malotempo e piscia una roba tipo english breakfast e accende il mal di schiena e strottola la capa. quindi l’amico si risolve a un azzardo: andare nella baracca del caporale e dissetarsi con quello che trova — mossa, questa, rischiosa perché in alcune scene precedenti si sarebbero visti altri lavoranti del campo di carciofi crollare a terra stremati dalla fatica o sotto le immotivate percosse del caporale

insomma, se il nostro uomo venisse sorpreso, il caporale lo ucciderebbe come niente e nessuno se ne accorgerebbe

fortunatamente però il caporale non lo sgama: la vittima entra nella baracca e vede una bottiglia, che afferra e sugge avidamente

cosa c’è nella bottiglia? no, non è kefir, il kefir lo salverebbe; la bottiglia è di Vecchia Romagna o financo di Stock 84

tu, data la tua buona educazione, non conoscerai detti spiriti e non puoi quindi capire quando ti dico che l’amico, l’africano, la vittima, se ne scende tre grosse sorsate prima di rendersi conto che si tratta di alcol. la Vecchia Romagna e lo Stock 84 sono lievi, scendono facilmente in virtù non della dolcezza, distaccandosi così dal vino amabile e dalle specialità zuccherate, ma di una certa ineffabilità in ispiritu. infatti il brandy leggero, quello che è previsto anche dai marchi di supermercato, è l’ultimo rifugio nonché una delle ultime tappe dell’alcolista: riesci a berne tanto — proprio come ne sta bevendo la vittima — e sortisce l’effetto desiderato, nell’immediato non pesa sull’alito né sul fisico, puoi nasconderlo tra le cose di cucina e addirittura rifondere bottiglie vuote di aceto di mele, aceto di malto per camuffarlo. noi che abbiamo rubato l’alcol di cucina e che abbiamo comprato il brandy della grande distribuzione organizzata tremiamo guardando [OMISSIS] che beve il mojito e le Peroni, perché capiamo (1) che noi siamo angeli e lui è il diavolo; (2) che ci sfotte, tutti ci sfottono, sfottono inter alia me nel farsesco ufficio, gli uomini-soffione piegati dai reni nelle aziende, nei ristopub e nei tubi lacerati; (3) che noi non abbiamo cominciato così e che devono quindi esistere traiettorie, meccanismi diversi, ma non è giusto, non è giusto che io che non ho mai fatto male a nessuno debba sentirmi male ogni benedetta mattina mentre il cantautore [OMISSIS] che ha sparato a un africano senza motivo possa bere il mojito e la birra Peroni senza temere, almeno temere, un’esiziale risoluzione delle sue vicende

e alla vittima non è concessa neanche la dolce differita delle conseguenze: il liquore reca subito il suo nocumento che è una serie di fischi nelle recchie, di acuti trapani nelle giunture, di otite debole trasferita all’interno del cranio, di sentimento astratto del cacare.

in breve, la vittima si porta ad agonizzare sul limitare del campo di carciofi: si accovaccia e si ferma, il mazzo parallelo al suolo, in questa posizione innaturale

pensiamo che stia per spirare ma viene salvato da Kefir in motorino. Kefir, che come sappiamo pregusta l’UUMUSS e la chiavata, è inebetito dalla felicità, ride e parla da solo, praticamente sragiona

infatti riconosce la vittima senza capire bene chi sia, magari lo scambia per un delinquente comune, uno di quei mariuoli a cui piace parlare con la polizia, o semplicemente per un venditore di accendini. gli fa segno di montare sul mezzo e gli dice “maro’ che ti è succeésso, vieni con me che mi fermo a prendere una grrattachéecca e ti offro anche a te una grrattachéecca”; non capisce che l’amico sta per morire

e la vittima, che pure ormai non connette, sale quasi automaticamente e si fanno due chilometri così, con Kefir folle di dio conclamato che continua a sproloquiare sopra il motore e l’altro a mo’ di sacco vuoto che riesce miracolosamente a tenersi sul sellino

però poi prendono la grattachecca ed effettivamente la grattachecca salva la vittima, è acqua e zucchero, lo rimette su

e per la prima volta dall’inizio del film la vittima, a onta della tenebra che lo reclama e a onta di Kefir che non ha mai smesso di parlare, trova un poco di pace, addirittura si sente bene. infatti lo vediamo che fa una faccia beata, quelle facce modellate dai sensi profondi che sembrano a un tempo sapute e animalesche

Kefir scambia questa faccia di sollievo per un guardo d’intesa circa uno dei suoi deliri, e di rimando esaspera il proprio rictus

allora qualcosa si muove negli spettatori del film

che si erano già rotti i coglioni per troppe cose: le inconsistenze nella trama, la stereotipizzazione dell’africano, la mezza riverenza per la polizia, pure l’immotivato accanimento sull’artista [OMISSIS]… qualcosa scatta: scattano schifo e odio per l’africano e per i poliziotti, vedere la vittima e Kefir contenti è troppo, troppo

a poco a poco, simpatizzano per [OMISSIS]

[OMISSIS], pensano, vuole solo lavorare e chiavare, e queste sono cose che vogliamo fare tutti, cose fondamentali, necessarie. è pacifico anche che non vogliamo avere a che fare con la polizia, la polizia violenta (Fucile-a-pallini) quando non disutile (Kefir)

infatti è per questo che gli spettatori, come [OMISSIS], guardano i documentari sugli abusi di potere e si rivolgono agli studi dei commercialisti: per mettere la dovuta distanza tra loro e la forza pubblica. l’arronzata, inconcludente descrizione della polizia che fa il film delude pure l’egualmente presente fame di procedura poliziesca, di sigle e di lingua della polizia, di abitazioni fittate dalla polizia, di figli della polizia, di ricerche della polizia sui computer della polizia, di problemi di soldi della polizia, di polizia e territorio, di polizia che letica con altri tipi di polizia: dei cazzi, insomma, della polizia

poi si sorprendono a sgranare lo schifo per la vittima: perché non è andato a farsi curare? non lo sa che pure senza soldi e senza documenti i medici sono tenuti a curarlo? perché non parla mai, non dice mai un cazzo, non si ribella, non cerca l’aiuto di una ONLUS che cerca volenterosamente di sottrarre il Lazio al razzismo? gli spettatori di regola non hanno pietà per i goffi, i depressi, gli inadatti; più ripassano le opere dell’africano, più dimenticano che il cantautore [OMISSIS] gli ha sparato

e in questa bella atmosfera, il film si chiuderebbe con un flashback di pochi minuti prima

mentre Kefir e la vittima si allontanavano in motorino dal campo di carciofi, duecento metri dietro di loro c’era [OMISSIS], a piedi in mezzo alla strada, che teneva di nuovo in mano un fucile

fucile che sembrava più grosso, più pesante di quello con cui aveva ferito l’africano: si dà a intendere che questa volta era un’arma vera

ma il vero colpo di scena è che il cantautore [OMISSIS] non è pazzo, avevamo tutti capito male, era un trucco del film

[OMISSIS] sembra indeciso su chi colpire per primo: si passa sto fucile da spalla a spalla, i muscoli tesi, il collo tirato in avanti e una faccia che smentisce la precedente ipotesi di una pazzia cagionata dalla ripetizione dei gesti

perché è una faccia attenta ed esasperata, una faccia di furia lucida.

e il film si chiude con gli spettatori che ormai comprendono benissimo l’artista [OMISSIS], e quasi gli mormorano “spara, spara, ma adesso spara bene”