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visita medica nella periferia nordovest – una zona veramente strana, è remota ma rimane urbana, ci arrivo cambiando due linee e scendo a una fermata che pure non è vicina…questa seconda linea non sembra neanche metropolitana, molti dei posti in cui ferma non li ho mai sentiti, il treno corre in superficie, è un regionale apparato a foggia di metrò. nelle finestre dei vagoni, nei finestrini del taxi e dopo nei vetri di questo ospedale (che sebbene sia molto grosso manco è un ospedale, è un centro medico ad uso di coloni, fuorisede, sfatti messi aziendali & simile umana schiuma espatriata) vedo la mia faccia ed è la faccia di un malato – o come alcuni dissero, una faccia da teschio –, ricorda quelle descrizioni che si facevano nei romanzi di due secoli fa, i problemi al fegato riflessi nel volto…c’è pure il prosaico termine inglese, liverspotted, ma io non ho macchie, solo un pallore grigio che fa impressione per quanto sembra nuovo, fresco intonacato. vediamo che trovano quando mi cavano il sangue.

di quella parte di città si parla da qualche anno, vogliono costruirci poli industriali di informatica, in effetti passando per questi stradoni (sono più larghi di quelli che stanno dove abito io, ma forse è solo la luce, forse è che non c’è nessuno) vedo vasti edifici bassi in vari toni di grigio, nuovissimi. recano nomi giganti che nell’enormità della superficie e nella sobrietà dei font colle grazie che usano i cinesi appaiono come scarde di rivelazioni, voci di uno che urla in questo ex-deserto, formule misteriose: in capo al nome di un padiglione fieristico hanno messo l’articolo “the” e la cosa mi colpisce molto, un’altra costruzione che sembra uno stadio chiuso di vetro opaco si chiama VALLE DELLE NUVOLE, la traduzione inglese è leggermente diversa da quello che è scritto in cinese. questi posti sarebbero agibili, i lavori sembrano essere conclusi ma non vedo nessuno sebbene sia già mattino inoltrato di lunedì. già all’andata mi ero sentito male accorgendomi di quanto mi sono dovuto istupidire per prestare attenzione a e restare financo impressionato dai font, i cazzo di caratteri, come un cretino di internet; sulla via del ritorno la scelta tipografica continuava a interessarmi e, rendendomene di nuovo conto, io continuavo a disgustarmi di me stesso. questa vergogna arriva al culmine quando noto che l’insegna stradale sopra il ponte eponimo è scritta in caratteri diversi da quelli usati nel resto della città, sono più piccoli e più spaziati, come quelli in cui è scritto pericolo di morte sui pali della ferrovia.

spingendosi più verso ovest, le costruzioni sono sempre più vaste e sempre più isolate. nessun’isola d’asfalto, tra le strade c’è solo terra spianata con qualche gru o betoniera o ruspa, talvolta qualche scheletro di cemento. in specie, c’è anche un parco di antenne paraboliche, cinto da un muro basso… pure qui l’insegna è ermetica e, nonostante l’usuale strato di deposito grigio, rifulge ancora e scandisce EARTH STATION.