Gatto Silvestro, la morfina e le melanzane fritte


Prima di partire vado a trovare mia nonna. La chiamo e le dico “Se arrivo tra 5 minuti sei in casa?” e lei, secca e sbrigativa, con voce cupa, mi risponde “Sì… come vuoi”. Forse è offesa con me? Forse non mi sono fatto vedere abbastanza mentre ero qui e questa visita al volo poco prima di partire puzza di senso di colpa? Appena entro in casa però capisco che l’odore è un altro. E’ odore di fritto. Nonna sta friggendo, ed ecco perché era così trafelata al telefono. Ha il grembiule. Andiamo subito in cucina e vedo la padella sul fuoco con l’olio bollente, e vicino decine di melanzane, patate, pomodori, fettine di carne e di pane pronte a essere impastellate e fritte. Sono predisposte in fila, a a gruppi di tre, capienza massima della padella, pronte a essere giustiziate con l’olio bollente. “Ogni tanto il fritto ci vuole” mi dice. Penso che abbia invitato qualcuno, forse una vicina. Non me, perché non mi aspettava, ha saputo del mio arrivo poco fa al telefono e  non può aver allestito tutto questo in meno di cinque minuti. Dev’essere qualcun altro. Ma poi noto che la tavola è apparecchiata per una sola persona. “Sono sveglia dalle quattro, sono andata a dormire a mezzanotte perché non avevo sonno, poi mi sono svegliata tre volte. Alle due e mezza ho preso la pastiglia e sono riuscita a dormire un po’”. Tra una frase e l’altra continua a friggere. Quando immerge un gruppo di melanzane lo sfrigolio si fa così forte da sovrastare le nostre voci. “Io prendo quella da 75, non di più” urla. “Franco invece prende quella da 100. Ma lui prende anche la morfina e una volta al mese va in ospedale a farsi fare una puntura di ***”. Da come ne parla capisco che ha la massima stima per Franco, perché è uno che resiste alla sofferenza. Come lei, dà per scontato che la vita sia fatta di dolori insopportabili, insonnia e brevi pause di benessere chimico dove ad esempio si può friggere. Come se leggesse i miei pensieri dice “Cosa devo fare, bollirle?” agitando una fettona di melanzana viola impastellata che poi lancia con rabbia nell’olio bollente. “Sì sì, lui prende oppiacei e antidolorifici molto forti, ma fa tutto! Ha ricostruito il motore della Vespa, ha rifatto il pavimento di casa sua, ha messo il parquet. Lui prende la pasticca e fa tutto, non dorme mai, non si ferma mai. A parte qualche volta che ha dolori troppo forti e passa la giornata a letto, al buio, a soffrire. Ma non si lamenta mai… No no. Lui non si lamenta, non come certi che si lamentano di tutto”. A questa frase io ovviamente mi sento chiamato in causa, come sempre quando si parla di lamentarsi, ma forse non si riferisce a me. “Guarda, ho comprato tre fichi” mi dice poi. “Sono i primi dell’anno, sono buonissimi. Le ciliegie le hai viste? Hai visto il colore? Assaggiane una. Io ormai non vedo più da un occhio e vedo poco anche dall’altro. Ora devo fare la visita per capire se riescono a salvarlo. L’anno scorso mi hanno fatto le iniezioni transvitreali. Prima leggevo molto, ora non ci riesco. Ma al dottore gli ho detto: a me basta che mi salvi un occhio, me ne basta uno. Comunque io non mi lamento”, e una fetta di pomodoro cuore di bue, grande quanto una bistecca, viene fatta annegare nell’olio bollente. E’ sincera quando dice che le basta un occhio, anzi, credo che le andrebbe bene perderli anche entrambi ma riuscire ancora a sentire i suoni e gli odori. Sono convinto che anche se perdesse un braccio, o una gamba, o tutte e due, non si lamenterebbe. “La vita è così” aggiunge tirando fuori il pomodoro ora diventato una crosta rotonda gialla e croccante, e non si capisce se si riferisce all’occhio, alle iniezioni transvitreaeli o al pomodoro fritto. Tutto è diventato allusivo.

***

Più tardi, sulla nave. Siccome sono arrivato al porto tre ore prima della partenza, appena possibile decido di imbarcarmi e trovare un posto dove stare nelle successive ore fino all’arrivo. C’è un enorme cartello con la scritta “IMBARCHI”, lo seguo e mi ritrovo ai controlli di sicurezza, identici a quelli degli aeroporti. Per me è una novità, un tempo si saliva senza problemi. Ora no. C’è anche lo pseudo-sbirro che si comporta da super-sbirro, con tono secco e antipatico che mi dice di far passare i bagagli dentro le macchine dei raggi X (per curiosità: ho controllato e su Alibaba una di quelle macchine costa circa 10mila dollari, nel caso qualcuno la volesse mettere all’ingresso di casa). Senza volerlo passo con il telefono in tasca, lo pseudo-sbirro è seccato ma non perde la calma, mi fa tornare indietro e ripetere il passaggio senza telefono. Alla fine mi dice “può andare” e io penso che anche questa volta l’ho scampata, non sarò picchiato, umiliato e stuprato. Si aprono le porte scorrevoli e sono fuori, a qualche metro dalla banchina. La nave non è ancora arrivata, intanto però passano le decine di auto che si mettono in fila per essere imbarcate. Misteriosamente loro non vengono controllate, né le auto né le persone che le guidano; vengono chiesti solo i documenti. Per qualche motivo che mi sfugge, uno come me, con lo zaino e un sacchetto di plastica con i panini e l’acqua, viene attentamente controllato, ma un camper che può contenere un laboratorio di anfetamine no, passa semplicemente mostrando per mezzo secondo dal finestrino abbassato un passaporto che potrebbe anche essere una pagina del calendario di Frate Indovino piegata a metà.

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Sulla nave salgo fra i primi e mi lancio (che è un modo per dire che mi perdo e vago a caso ma arrivo comunque) sul ponte, quello dove ci sono le sdraio, la piscina e il bar. Mi guardo intorno: ci sono solo io, qualche coppia di turisti stranieri giovani di quelli che appena arrivano in un posto si siedono per terra e sembrano così a loro agio come se avessero sempre vissuto lì, e qualche motociclista di mezza età, quelli che i giornali chiamano i centauri, di quelli che ogni tanto ne muore uno e si legge sul giornale che era una brava persona e poi organizzano un torneo di calcio dedicato a lui. Stare lì mi sembra fattibile, quindi mi rilasso, ma qualche minuto dopo dopo arriva la massa, cioè tutti quelli che dovevano parcheggiare o che non riuscivano a trovare il ponte. Italiani, molti, soprattutto milanesi, romani e napoletani. Stranieri, moltissimi. Dei primi mi colpisce questo gruppo: famiglia composta da quattro persone, padre, madre e i due figli credo 16enni, un maschio e una femmina. Tutti a loro modo interessanti, ma il vincitore è lui, il padre: arriva di corsa, si fionda su una sdraio quasi sfondandola e occupa le due sdraio ai lati con una borsa e un marsupio, anche se il resto della famiglia è due passi dietro di lui. Quindi capisco subito che la sua visione del mondo comprende l’ipotesi praticamente certa che qualcuno ti possa rubare il posto anche se ci sei davanti ormai nell’atto di sederti. E’ abituato così, e probabilmente ha ragione. Una volta sistemata la famiglia si sente al sicuro – le sdraio dovrebbero essere occupate in maniera stabile – quindi si alza e con uno scatto velocissimo si toglie la maglietta, come se non ne potesse più di indossarla, mostrando un corpo da 45enne che fa un lavoro fisico; muscoloso ma un po’ decadente, abbronzatissimo, con catenina d’oro ed enorme croce tra i pettorali. Mette le mani sui fianchi come Verdone quando faceva il personaggio del coatto e attraverso gli occhiali a specchio anni ’70 si guarda intorno per studiare la situazione. Parla da solo, la moglie e i figli lo evitano in tutti i modi. Quando lui dice qualcosa loro fanno finta di non sentire e guardano altrove. Nel frattempo arrivano molti altri turisti, compresi due inglesi marito e moglie che avranno il ruolo dei turisti stranieri che commentano fra loro divertiti il comportamento del caratteristico italiano da stereotipo. Soprattutto quando il tizio con la catenina tenta in tutti i modi di spostare la sdraio in direzione del sole – immagino per una più corretta abbronzatura – con sforzi e bestemmie e sudore, per poi scoprire – cosa che gli altri avevano capito tutti subito – che le sdraio del ponte sono fissate con una corda, dunque non possono essere spostate. Sorriso sotto i baffi degli inglesi, figli e moglie che ignorano tutto e guardano dall’altra parte, lui che infine, esausto, si mette sulla sdraio, si volta verso di me e mi dice “Hanno messo la cordicella”, come se l’avessero fatto apposta per lui, per dispetto. Quando dagli altoparlanti si sentono i messaggi di sicurezza che parlano dell’eventualità di un incidente in mare il tizio mi guarda in cerca di un pubblico, poi fa uno scatto verso una sbarra di ferro, e con una mano tocca quella e in contemporanea con l’altra mano si tocca le palle e dice “Tiè!”. Io annuisco sorridente, dato che ha fatto una notevole combo – palle e sbarra di ferro – e penso che la protezione copra anche me, dunque mi sento al sicuro.

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Una volta che la nave parte, vado dentro perché fuori fa troppo caldo. Dentro ovviamente fa troppo freddo. E questa è una caratteristica dei traghetti diurni estivi: non c’è un posto dove si sta bene, non esiste, ovunque è disagio e scomodità, e questa ovviamente è una metafora della vita. Ai tavoli del bar prevalgono i turisti nordici, tutti alti e grossi con fisici da nuotatori, di solito senza peli, molto belli, hanno sempre tra le braccia bambini recentemente venuti al mondo, e siccome loro sono enormi questi bambini sembrano ancora più minuscoli e leggeri, e loro sono molto fighi mentre girano per la nave con i figli, mentre le mogli hanno il ruolo della giovane mamma bellissima che sta seduta in qualche posizione elegante e confortevole – non stravaccata, non rigida, ma totalmente a suo agio – con un sorriso perenne di benessere e tranquillità che si accende quando da lontano vede il compagno con il bambino/bambina che fanno ciao ciao con la mano, sane, con la pelle perfetta, prive di problemi di postura, belle ossa, denti puliti, capelli perfetti. E’ pieno di gente così. Mi fanno sentire fisicamente inadeguato e inizio a fare confronti su singole parti del corpo, almeno su quelle scoperte, e calcolo a occhio che un mio polpaccio è grosso quando un loro avambraccio. Dopo un po’ inizio a essere invidioso anche dei loro organi interni, senza dubbio meglio dei miei. Probabilmente sono anche più giovani di me ma sembrano inseriti nelle cose del mondo da decenni, come se ogni gesto che compiono l’avessero già fatto migliaia di volte e ormai non è neanche più questione di esecuzione ma solo di stile. Ma la cosa che invidio di più sono le scarpe. Mi piacciono sempre le scarpe degli altri. In particolare dei nordici.

Per fortuna però c’è anche l’equipaggio, ovviamente napoletani, ovviamente appena usciti da Freaks di Tod Browning, almeno rispetto ai turisti nordici statuari. Tutti troppo bassi troppo magri troppo brutti troppo alti troppo calvi troppo strani, comunque mai normali. Molti grassoni, uno in particolare è meraviglioso, ha la forma di un uovo e i colleghi quando passano lo salutano toccandogli la pancia. Immagino sia una cosa scherzosa tra colleghi, tipo che hanno deciso che la sua pancia porta fortuna. Lui comunque non sembra infastidito, anzi sembra indifferente a tutto. Hanno tutti facce da teatro, da poveri, che è l’unica cosa che li accomuna. Per il resto nell’equipaggio regna una diversità che non c’è fra i turisti nordici, che invece si assomigliano tutti, tutti schifosamente fighi e simpatici, ti sorridono se incroci il loro sguardo perché pensano che tu stia guardando i loro figli (ed è così, ma distogli immediatamente lo sguardo e fingi di guardare il mare fuori dal finestrino).  Mezz’ora dopo la partenza arrivano però i due eroi dell’equipaggio. Prima appare lui: il Tossico, faccia da Sert sgamatissima, tatuaggio di un pugnale sul collo, si presenta dicendo a tutti “buon pomeriggio” un po’ femminile, un po’ ambiguo, un po’ di THC prima di iniziare il turno, e dietro appare Gatto Silvestro. Il costume è molto grosso e fatica a muoversi. Inoltre, nonostante l’aria condizionata a -22, credo che dentro al costume faccia molto caldo. La strana coppia passerà tutte le, boh 6/7/8 ore di viaggio a girare per la nave presentandosi ai bambini dicendo “buon pomeriggio” e facendosi delle foto insieme a loro. Il tossico tratta Gatto Silvestro come se fosse davvero una creatura non umana ed è talmente convincente che anche io vedendolo non penso a un tizio infilato dentro a un costume da animali dei cartoni, ma a una strana e mostruosa creatura felina, un incrocio terribile frutto di un esperimento eticamente discutibile. Dettaglio che rende tutto inquietante, Tossico accarezza Gatto Silvestro sulla schiena in continuazione, anche quando non ci sono bambini. Anche quando nessuno li sta guardando.

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Siccome, errore strategico, mi sono seduto sulle poltrone dell’area giochi per bambini, passo buona parte del viaggio a sentire i bambini giocare e gridare. Un bambino di, chissà, 6/7/8 anni, urla a un altro bambino più piccolo: “La gente ti odia! La gente ti odia… perché hai fatto sesso!”. Il piccolo resta interdetto e confuso e io più di lui. Ogni tanto passa Gatto Silvestro, e se ai primi passaggi i bambini erano timidi e anche un po’ spaventati, ora sono senza vergogna, vanno dietro il poveraccio, gli tirano su la coda, cercano il culo, gli danno calci, tutto in un’atmosfera scherzosa – “No bambini, non si danno calci ai gatti! Ai gatti non piace! Ecco vedete, ora Gatto Silvestro piange!” – ma si capisce che dentro quel costume c’è un napoletano sudato che sta bestemmiando santi, madonne, martiri e cose che quei bambini non hanno mai sentito – tranne forse quello che accusa gli altri di aver fatto sesso. Dopo migliaia di foto e migliaia di buon pomeriggio, quando siamo quasi arrivati in porto la coppia Tossico & Gatto Silvestro fa un ultimo giro per salutare i bambini e i genitori. Passano davanti a me e Tossico dice “Saluta il signore Gatto Silvestro, ciao ciao! Ciao ciao!”, e Gatto Silvestro mi saluta con la sua manona pelosa, io probabilmente faccio qualche espressione imbarazzata che non controllo e poco convinto saluto muovendo solo il polso, agitando la mano morta come se avessi il resto del corpo paralizzato.

La nave è ormai in porto, ma il problema è che i bambini non ne vogliono sapere di mollare Gatto Silvestro, nonostante Tossico precisi che “Per Gatto Silvestro ormai è tardi, i gatti devono dormire” tentando di allontanarsi. Ma i bambini continuano a seguirli, e capisco che loro devono semplicemente trovare un modo non violento di uscire dalla situazione, Silvestro deve infilarsi in qualche porta di quelle con la scritta “VIETATO L’ACCESSO”, e finalmente togliersi il costume che indossa da ore e prendere un ansiolitico. I bambini però hanno capito: i più piccoli forse vorrebbero vedere la tana di Gatto Silvestro, vedere cosa mangia, cose così; i più grandi invece mi sembrano sgamati e vorrebbero vedere il tizio che si nasconde sotto il costume e prenderlo per il culo, crudelissimi. Ci sono dunque dei momenti di tensione, con i genitori che intervengono e dicono “Bambini lasciamo andare Gatto Silvestro e il suo amico a riposare”, e alla fine i due riescono a dileguarsi e spariscono nei corridoi. Io guardo fuori: attraverso il finestrino sporco di salsedine il mare sembra olio bollente.


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