/di·ṣam·bi·gua·zió·ne/


Vado alla cassa e siccome ho solo il pane una signora mi fa passare, la ringrazio. Il giorno dopo vedo un ragazzo prima di me che ha solo il pane e lo faccio passare davanti, e lui mi ringrazia. Quando si libera lo spazio sul rullo metto il separatore, così la persona dopo di me può a iniziare a sistemare la sua spesa, e incrociando per un attimo gli sguardi sorridiamo. Quando sulla strada di casa incrocio una macchina e in due non ci passiamo, allora uno dei due accosta e fa passare l’altro, e ci facciamo un gesto di saluto. Se esco la sera con le luci spente qualcuno mi fa i fari per segnalarmelo, e quando c’è un posto di blocco qualcuno mi fa i fari per avvisarmi, anche se non ci conosciamo, anche se non sa quali sono le mie intenzioni. Alle poste una signora non si accorge che è arrivato il suo turno e io glielo dico; in farmacia una signora mi chiede se posso prenderle un prodotto da uno scaffale, dato che è troppo in alto e lei non ci arriva; io lo prendo e glielo do, e lei mi ringrazia. Scrivo una mail e ricevo una risposta in giornata; ringrazio per la risposta tempestiva, l’altra persona ringrazia me per aver scritto, ci auguriamo buon fine settimana. Viceversa rispondo subito a una mail di una sconosciuta e lei mi ringrazia per aver risposto subito, io la ringrazio per avermi scritto.

Nel momento in cui questi gesti vengono compiuti sento la terra tremare, come se ci fosse una crepa sul punto di aprirsi, come se quest’ordine sociale precario stesse per spalancarsi al caos più totale, o a una dimensione parallela terrificante.

Dietro questa sensazione di ordine c’è l’illusione che nasconde il caos. E’ come se per un attimo vedessi il negativo della signora sorridente, in bianco e nero, un teschio dal ghigno atroce… e cosa succederebbe se un giorno non facessi passare una persona alla cassa, uno di quelli che hanno solo il pane o una bottiglia d’olio, e se questo reagisse male?

L’intera impalcatura della convivenza sociale trema, da una precedenza negata in una rotonda alla guerra totale ci separa una parete fine, di fatto invisibile. Non metto il separatore sul rullo della cassa e qualche ora dopo le strade sono invase da orde di cannibali, stupri in ogni angolo, gente che si accoltella: i neonati vengono lanciati dalla finestra dell’ospedale appena partoriti, sotto si è creato un cumulo di carne e sangue, c’è chi ne approfitta per mangiare. Ci sono persone che hanno iniziato a camminare nudi a quattro zampe, hanno intrapreso una specie di percorso di devoluzione, cagano nelle mani e lanciano la merda ai passanti. Orde di folli assaltano le banche, tirano fuori gli impiegati e li scaraventano sull’asfalto, dove vengono investiti da auto impazzite. Dalle farmacie c’è chi scappa con mucchi di siringhe tra le mani; alcuni semplicemente urlando, ma c’è anche chi caga mentre cammina, come i cavalli. Qualcuno ha rubato un’ambulanza che si schianta contro un muro e prende fuoco; tutti ridono e festeggiano euforici e urlanti, il tutto degenera in stupri e accoltellamenti. 

Questo vedo dietro i sorrisi e i gesti di gentilezza: il potenziale sconquassamento tellurico che apre al conflitto e alla sofferenza. Viene sempre fuori, da secoli, che qualcosa è “lo spartiacque tra civiltà o barbarie” ma sono cazzate, due punti: alla fine ciascuno vive secondo le civiltà che si impone, il regno delle tenebre è quello dentro di noi e negli interstizi tra “è il suo turno” e “prego, passi pure”. 

I gesti di gentilezza sono la La Scatola di Lemarchand, “conosciuta anche come il Cubo di Lemarchand, la Configurazione del Lamento, la Scatola del Dolore o semplicemente la Scatola”, quel rebus di Hellraiser che, una volta risolto, apre a un mondo che, altro che homo homini lupus, è caos totale, sofferenza insensata, che vorremo evitare eppure siamo troppo curiosi. Nel dubbio

Be kind.

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Nonostante ami l’ambiguità e non ami Wikipedia, va riconosciuto all’enciclopedia online di aver diffuso questa parola così bella: disambiguazione.


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