X

di Martino Corrias e Martino Pinna

Istruzioni: leggere il testo sotto; ascoltare con cuffie o impianto di qualità, ad alto volume; guardare su uno schermo di grandi dimensioni.

Montagne sventrate, deflagrazioni, varie trasfigurazioni del paesaggio che hanno aperto a nuovi mondi, dove naturale e innaturale sono concetti ambigui e liminali. Processi che di solito richiedono milioni di anni si sono svolti in un battito di ciglio, in un secolo di industrializzazione: crepe e voragini hanno aperto a paesaggi inediti e indecifrabili che mettono in discussione le nostre certezze e la nostra percezione. Una discarica mineraria è uguale a una frana, una galleria abbandonata a una grotta naturale. E tutto questo ha significato anche sofferenza umana, migliaia di persone morte, amputate, ferite, sfruttate, oppresse. Tutto è successo in 100 anni. E ora che le miniere sono abbandonate il ciclo continua: la terra ha ripreso i ritmi più lenti geologici, ma tutto è ancora in perenne trasformazione. La nostra è un’opera che riflette sull’attività mineraria che ha caratterizzato per un secolo il sud della Sardegna. Abbiamo inoltre tentato di rappresentare le conseguenze imprevedibili dell’impatto delle attività umane e l’ambiguità del concetto di “naturale”.

Tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento il sud della Sardegna ha subito grandi e imprevedibili trasformazioni. Per circa un secolo l’industria mineraria ha sventrato montagne, scavato in profondità, creato fratture nella roccia, estratto minerali, aperto voragini. Violente trasfigurazioni del paesaggio hanno aperto a nuovi mondi, dove naturale e innaturale non sono più distinguibili. Una frana “naturale” è identica a una discarica di inerti, e certe aree di estrazione di minerali, oggi abbandonate da decenni, da un punto di vista ecologico sono molto simili a ciò che si vede dopo un’eruzione vulcanica.

I tempi geologici normalmente – dal nostro punto di vista – “lenti” sono così stati incredibilmente accelerati dal Capitale, dal progresso, dall’industrializzazione. L’attività estrattiva umana ha portato a un’accelerazione nella trasformazione dell’ambiente e in poco più di 100 anni il paesaggio è stato fratturato, mutato, alterato, diventando ambiguo e indecifrabile. L’umano ha creato ambienti perturbanti: li riconosciamo come familiari e allo stesso tempo estranei, guardandoli e attraversandoli ne percepiamo l’alterità, l’ambiguità, non sappiamo distinguere immediatamente qualcosa di naturale da un manufatto umano; in molti casi non c’è differenza.

Foreste spianate, esplosioni, montagne tagliate a metà. Le fratture nel terreno necessarie all’estrazione dei minerali hanno portato economia, industria, sopravvivenza ma anche sfruttamento, sofferenza e oppressione: migliaia di persone, uomini e donne e bambini, hanno lavorato qua, sono nati, vissuti, si sono sposati, hanno fatto figli e sono morti. Molti sono rimasti feriti, hanno perso gambe o braccia, oppure sono morti anni dopo di silicosi dopo aver guadagnato poche lire per tutta la vita. Poi tutto è sparito, come una veloce e violenta esplosione che lascia solo detriti e ricordi.

Oggi vediamo le cicatrici di questi paesaggi non fissi, ma ancora in trasformazione. La vegetazione riprende a crescere in terreni degradati, a volte dalle forme e dai colori innaturali, e si creano nuovi imprevedibili ecosistemi. L’umano ha giocato al tellurico, come un bambino che gioca con la sabbia. Questo movimento accelerato, violento e imprevedibile, condensato in un solo secolo, in X si manifesta nella combinazione dei suoni e delle immagini che a loro volta condensano quel secolo di trasformazioni, con visioni di mondi non subito riconoscibili che confondono volti, rocce, fratture, staticità e movimento allo stesso tempo. X non è altro che un paesaggio in trasformazione e deflagrazione fatto di bit, battiti e fotogrammi.

I movimenti geologici sono silenziosi – una montagna ci appare ferma ma in realtà si sta muovendo -, mentre i movimenti dell’attività umana sono veloci e rumorosi e in X possiamo sentire e vedere l’eco dell’assordante frastuono di quel secolo di trasfigurazioni. Ma niente è finito, nemmeno quando sembra finito, perché niente è definito e definitivo: il processo è ancora in corso, e lo sarà per sempre, anche quando l’umano non ci sarà più.

Ora che il bambino ha buttato via paletta e secchiello il territorio ha ripreso il suo ritmo più lento, la vegetazione rinasce nei posti più impensabili, stalattiti crescono nelle gallerie scavate dai minatori, il ferro si ossida generando forme e colori alieni, ciò che è artificiale ci appare naturale e viceversa, e nelle gallerie dove gli operai morivano e si ammalavano ora i turisti si scattano foto ricordo – ma per ricordare cosa, ancora non lo sappiamo.


X è stata esposta per la prima volta in occasione della mostra collettiva “Règma, infra-materia” organizzata da Mostrami il 5/6/7 agosto 2022 nel castello di Urgnano (BG).

GLI AUTORI

Martino Pinna

Nato a Oristano nel 1984. Scrittore e videomaker, è specializzato in reportage narrativi, video e sceneggiature. Ha realizzato documentari, video musicali e cortometraggi sperimentali. Da 10 anni porta avanti Sardegna Abbandonata, un progetto di narrazione del territorio sardo e in particolare delle aree marginali e abbandonate. Collabora con CTRL magazine e fa parte del duo artistico Cordatesa.

link: https://linktr.ee/emmepi

Martino Corrias

Nato a Sassari nel 1999. Musicista e compositore di musica elettronica sperimentale. Nella sua ricerca e sperimentazione musicale combina il mondo sonico naturale a quello elettronico in una continua ricerca di una perfetta simbiosi tra sensazioni naturali e architetture umane. Ha all’attivo varie pubblicazioni apprezzate fin oltreoceano e suonate fuori dall’orbita terrestre.

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