Come parlare al medico per ottenere le cure migliori

Ecco la mia guida per mettere il nostro medico nelle condizioni migliori per fare il suo lavoro al meglio, ed ottenere da lui le migliori cure possibili:

  1. mettetelo a suo agio (si, avete capito bene)
  2. abbassate le aspettative nei suoi confronti
  3. rispondere alle sue domande in modo sincero (senza interromperlo, senza disturbare le sue domande)
  4. lasciategli il tempo di pensare a noi (deve capire chi siamo e cosa abbiamo fatto)
  5. minimizzate quando si parla del vostro dolore

Se non ottenete buone cure/buone prescrizioni (e attenzione… serve tempo e attenzione per capire se un rimedio ha funzionato davvero), ecco a quel punto potete:

  1. cercare seconde opinioni autorevoli (ma non mettete il vostro medico sulla difensiva citandole subito! Aspettate di capire se il vostro medico ha voglia di sentir parlare di alternative rispetto a quelle a cui lui/lei sta pensando)… e attenzione per seconda opinione autorevole NON intendo la roba che si trova su internet 

parlare dottore Ma iniziamo… dall’inizio: esiste un metodo preciso per parlare al nostro dottore e ottenere il massimo dalla sua professionalità.
Ad esempio: quando entriamo nel suo studio se siamo preoccupati e abbiamo urgenza di far sparire il dolore o la paura del dolore, e gli mettiamo fretta, il primo obiettivo del dottore sarà tranquillizzarci… i dottori sanno bene che il metodo migliore per tranquillizzare un paziente è dare subito un rimedio.

Ma questo rimedio è il modo migliore per risolvere la causa del nostro problema?

In un certo senso l’efficacia del rimedio è poco importante, l’importante per i pazienti con molta paura e molta fretta è avere subito qualcosa da provare.

Sincerità: un bel problema

C’è un enorme problema nella professione di medico oggi, non gli è permesso dire “non ho capito”. Se un medico dicesse “non ho capito” il paziente si preoccuperebbe all’infinito, e forse cambierebbe medico.

Così i medici generici oggi dicono sempre “si ho capito perfettamente cos’ha lei, solo facciamo qualche esame per essere più sicuri“. Mi sono sentito fare questo discorso varie volte, e ogni volta era sempre sinonimo di “non ho capito”. Quando mi commissionavano troppi esami, ad un certo punto capivo che il medico non aveva capito.

Personalmente, non ho problemi ad accettare che il medico sia un essere umano, non onniscente, non dio. So accettare le incertezze e so che il medico farà il possibile, e non farà mai… l’impossibile. Così, quando entro nel suo studio cerco di dimenticare il dolore, dimentico la paura e penso al modo migliore per stare bene, il prima possibile, ovvero gli lascio il tempo per pensare a “cosa potrei avere”.

una diagnosi corretta è il più grande servizio che il medico ci possa dare

Avere la diagnosi esatta non è banale, perchè la scienza oggi è imperfetta, potrebbe anche non esistere un nome per la nostra malattia, o potrebbe essere difficile identificarla. Potrei addirittura non essere malato! Quindi, per avere una buona diagnosi, gli comunico con calma il mio disturbo, se mi chiede dove mi fa male glielo dico con calma, quando mi chiede se il male è forte gli dico sempre “non molto, lo sopporto bene“. Cerco di lasciarlo arrivare, con le sue deduzioni, alla causa che ha generato il mio problema. Un affaticamento del fegato, uno stile di vita sbagliato, un incidente trascurato, e così via.

il medico è un essere umano

Per quando sia doloroso da accettare, il vostro medico potrebbe non avere la soluzione perfetta per voi, oppure potrebbe non averla subito. Per questo motivo abbassare le aspettative nei suoi confronti vi permetterà di non creare più ansia del dovuto. Esattamente come succede a noi, anche il medico lavora meglio quando non gli viene messa ansia o imposto un obiettivo irraggiungibile.

Antidolorifici o soluzioni?

Facciamo un piccolo passo indietro, alla definizione di cos’è una malattia secondo due psichiatri (Miller e Chappel) autori di “la storia dell’idea di malattia (1991)”, nella quale scrivevano: “al centro dell’idea di malattia c’è lo stato vittimistico. Sentendosi una vittima, la persona afflitta dalla malattina sente di non avere il controllo sui progressi della propria guarigione“. Vediamo quindi come possa diventare importante scollarci di dosso la modalità vittimistica anche mentre parliamo col nostro medico:

  • Cercando di andare incontro al nostro dolore
  • accettando il fatto che per un periodo dovremo soffrire
  • consentendo al medico di vedere chiaramente la nostra volontà di guarigione.

In questo modo minimizzo la possibilità di ricevere prescrizioni per i soliti antidolorifici o i soliti medicinali di conforto che nulla hanno a che fare con la risoluzione delle cause dei miei problemi fisici. In poche parole, cerchiamo di essere sinceri col nostro dottore e permettiamogli di fare lo stesso.

Non è un mistero, vado dal medico sempre meno spesso. Per la precisione una volta ogni 2 o 3 anni. A volte passa anche più tempo, in parte perché cerco di fare uno stile di vita sano (ok, sto al computer 10 ore al giorno, il che non è per niente sano).

Il dolore soprattutto ci serve per capire qual’è il problema, se lo spegnamo, non capiamo nulla. Ricordiamoci che il nostro obiettivo dev’essere stare bene, e tipicamente le soluzioni veloci curano il sintomo, non il problema.

Quindi: coraggio, affrontiamo e accettiamo il dolore e con esso la sua cura, che potrebbe essere tanto lunga… quanto duratura!

Stai scherzando? Devo essere io a mettere il medico a SUO agio?

Credo che il ruolo più importante del medico sia fare una diagnosi corretta. La cura giusta arriva solo quando la diagnosi del problema è esatta, e la diagnosi corretta può arrivare solo in un caso: quando lasciamo lavorare il dottore, quando non gli mettiamo fretta, quando non gli chiediamo di farci passare il dolore, ma anzi quando siamo noi a mettere lui a suo agio, lasciando il tempo e la fantasia necessarie perché il medico ci capisca. Il medico deve prima di tutto capire il nostro stile di vita, quegli sbagli banali che, ripetuti ogni santo giorno, portano una parte del corpo a cedere.

Si potrebbe pensare “ma come? dovrebbe essere il dottore a mettermi a mio agio!” e invece no… se pensiamo alla vita di un medico, può essere molto stressante. Riceve centinaia di persone ogni giorno, ognuna di queste persone si comporta esattamente come vuole, lanciando ammonimenti, chiedendo soluzioni rapide, pretendendo la soluzione immediata di un male che non lascia il tempo di capire.

Questione di tempo

Cosa può fare un medico oggi? Ha un budget limitato (non può commissionare esami infiniti per tutti)… non vuole la responsabilità per la vita di tutti i suoi pazienti, soprattutto non vuole la responsabilità di una vita che non ha capito. Se il dottore non ci capisce, ci manderà altrove eppure… non ci dirà mai “non vi ho capito” perchè a lui non è permesso.

Quindi dobbiamo per primi lasciargli la libertà intellettuale di dire anche “non ho capito”. Per noi sarà oro, perchè sapere che il nostro dottore non ci ha capito ci darà la possibilità di fare una scelta molto semplice: dare il tempo a lui di capire, o andare a cercare un altro dottore (cosa che comunque dovremo fare ugualmente, se passa il tempo e non riceviamo soluzioni…).

Riassumendo

Credo sia utile cambiare il solito punto di vista di “vittime” della malattia, iniziando a considerare il medico come una persona che ci può aiutare a capire i nostri problemi. La persona che potrà risolvere i problemi però, quelli siamo noi. Potrà capitare di uscire dallo studio del dottore a mani vuote, senza nessuna prescrizione e senza nessuna tappa in farmacia o al CUP a prenotare visite, piuttosto potremo avere una guida per nuove abitudini (se il medico ci dice di fare più movimento fisico, è quello che dobbiamo fare… mai pensare “non ho tempo di fare moto, meglio prendere questa medicina piuttosto”). Ovviamente ci saranno anche le volte in cui le medicine saranno necessarie, se però mettiamo il medico a suo agio, gli sarà possibile prescrivere ciò che realmente ci serve piuttosto che un rimedio palliativo “veloce” il cui obiettivo sia prima di tutto darci qualcosa da fare in attesa di calmare la paranoia. Spegnendo l’interruttore della paura infatti riusciamo a prendere obiettivamente i consigli del medico e a trarre il massimo da essi.

Cosa sono le Second Opinion

La Second Opinion in campo medico è esattamente quello che sembra: una seconda opinione.

Ormai da qualche anno è prassi in campo oncologico e per patologie rare o gravi poter chiedere anche “seconde opinioni” da parte di medici autorevoli. Ormai molti ospedali offrono il servizio di Second Opinion, grazie alla quale si può confermare o completare la diagnosi del nostro medico. Per ottenere una second opinion sarà necessaio portare tutta la documentazione medica in nostro possesso, analisi ed esami già effettuati. Apprezzo moltissimo questa possibilità dato che è uno strumento pratico per azzerare o confermare eventuali dubbi relativi alla nostra salute.

L’esistenza della second opinion comporta che sempre più il ruolo del paziente sta diventano un ruolo attivo all’interno del proprio processo di guarigione, che passerà anche per una maggiore consapevolezza dei propri disturbi. Anche in questo caso sarà fondamentale sapere come parlare al medico.

Quando non credere al medico

C’è un momento preciso nel quale non credere al medico è meglio: quando ci dice che non ce la possiamo fare. Una cosa certa che ho capito della scienza e dei medici è che entrambi hanno limiti, ed entrambi non sanno rendersi conto di questi limiti. Può capitare infatti che un medico per sentirsi tranquillo con la coscienza o per chissà quale motivo ci dica che non sarà possibile curarci, che ci terremo quel male per tutta la vita, che moriremo dopo pochi mesi. In tutti questi casi mi è capitato di sentire medici tirare conclusioni affrettate che hanno avuto il solo scopo di demoralizzare la persona malata. Ve ne racconto uno:

Ad una persona cara che conosco bene è stata diagnosticata 10 anni fa, al termine di una gastroscopia, un caso particolarmente grave di ernia iatale. Tutti i medici le hanno detto che non c’era nulla da fare se non un’operazione. Questa persona mangiava decisamente male, fritti ogni 2 giorni, cioccolato, caffè, zero verdura… e tutti i giorni andava in acido, aveva un reflusso gastrico micidiale e tutti i giorni prendeva gaviscon. Si era ormai rassegnata, anche perchè quando un medico ti dice che non c’è niente da fare… tu che fai? gli credi!

A quel punto ci siamo conosciuti, e le ho proposto di cambiare dieta, ha ridotto caffè, ha smesso di fumare, ha ridotto cioccolato e azzerato i fritti. Azzerato merendine, cibi precotti insomma… ha iniziato a mangiare bene, nient’altro. Piano piano la necessità del gaviscon è da sola venuta meno. Ora che sono passati 5 anni, ha fatto un’altra gastroscopia di controllo e indovinate cos’hanno visto? L’ernia iatale si è ridotta del 90% e prossima ad una guarigione completa. E’ ormai un anno che questa persona non prende più gaviscon e ha perfettamente capito che il suo corpo ha un limite che non va oltrepassato. Se per 2 giorni di fila beve troppi caffè, o mangia male ha imparato ad ascoltare i segnali di allarme del suo corpo e a ridurre da sola le sostanze che la irritano.

Ora, non tutti i casi sono così semplici, ma la filosofia è la stessa: non credere al medico se ti dice che non ce la puoi fare… si sta solo parando il culo! Le capacità di guarigione del nostro corpo sono straordinarie, bisogna solo dargliene la possibilità e credere in lui… sapendo che la totalità dei nostri mali viene dal nostro stile di vita, alimentazione…

I fatalisti del DNA

wasntmeOvviamente, ci sono anche loro… i fatalisti dei mali genetici. Per ogni minuscolo disturbo, a partire dalle carie fino ad arrivare ai tumori, sono pronti a dire che non c’è nulla da fare… è genetica. Così mangiano zucchero e non si lavano i denti, fumano, vivono accanto a inceneritori e chissà cos’altro… e quando arriva un male… è genetico! Si dice di tutto pur di giustificare la propria condotta e pur di non cambiare, a partire dalle cose più semplici: fumo e cibo.

Massimo 10%

cause tumoriGli scienziati sono arrivati a dimostrare che i tumori riconducibili a cause genetiche vanno dal 5% al 10%… non di più (e massimo 8% della popolazione viene colpita nell’arco della vita da un’altra malattia di origine genetica). Quindi, se avete un tumore ai polmoni e continuate a raccontarvi che si, tanto vale continuare a fumare, sappiate che l’87% delle morti nei tumori al polmone sono strettamente correlate all’uso di sigarette.

Indipendentemente dalle statistiche, che fanno fotografie sempre mutevoli della realtà (la realtà cambia più velocemente…) è importante iniziare a credere in noi stessi, al fatto che ce la si possa semplicemente fare.

Volete sentirne un’altra? Quando ero piccolo soffrivo molto di sinusite. Nel posto di lavoro dei miei genitori (erano gli anni ’90) non era ancora stato vietato il fumo, così io stavo tutto il giorno nelle stesse sale di fumatori incalliti. Il medico mi ordinava lavaggi nasali, cure termali, eppure ero sempre bloccato dalla sinusite. sono arrivati a dire che non c’era nulla da fare, era il setto nasale deviato. Poi magicamente durante le vacanze al mare tutto scompariva! Così appena ne ho avuto la possibilità sapete cos’ho fatto, diventato grande? mi sono trasferito al mare. e indovina, sinusite scomparsa. Alla faccia del setto nasale deviato (che immagino lo sia tutt’ora).

effetto placebo

fiducia

Il legame di fiducia tra noi ed il nostro medico è fondamentale. Non si fanno scelte con una persona di cui non ci si fida. Se questo legame dovesse rompersi, potrebbe essere utile cambiare il medico.

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Commenti

  1. ciao simone, io sono un medico chirurgo. In realtà sul fatto che io sia un “medico vero” ho ancora qualche dubbio, quando mi sento chiamare “chirurgo” o “specialista” c’è una parte di me che si mette a ridere, ma credo che sia un problema di autostima 🙂

    premetto subito che l’ambito in cui lavoro io è un po’ un mondo a parte: forse è un po’ più diretta e “meccanica” rispetto ad altre discipline (ad esempio: il disturbo è causato da un ascesso/tumore/calcolo/ecc -> opero -> risolvo -teoricamente- il problema)

    in più molto spesso i pazienti arrivano con una diagnosi scritta (un’ecografia, una colonscopia ecc), quindi non ci sono molte difficoltà diagnostiche e spesso non devi fare grossi ragionamenti: tant’è vero che nei luoghi comuni ospedalieri predomina il classico “il medico interno sa tutto ma non sa fare niente, il chirurgo non sa niente ma sa fare tutto” (poi vabbè, c’è il patologo che sa tutto e sa fare tutto, ma arriva quando ormai è troppo tardi 🙂

    tuttavia, anch’io mi son trovato in mezzo a situazioni in cui arrivare a una diagnosi è praticamente impossibile; in genere però, se non ho capito la causa, lo dico apertamente. le frasi tipiche? vanno dal semplice “guardi, sinceramente non riesco a capire”, “eeeh, dobbiamo aspettare e vedere un po’ come va”, al “l’abbiamo rivoltato come un calzino/abbiamo fatto tutti gli esami possibili, ma…”
    “ho capito perfettamente cos’ha” è una frase che ricorre molto, forse troppo, soprattutto tra i medici generici, come scrivi tu; in ospedale non si usa tanto, un po’ perché, come dice la formuletta dei poliziotti americani, “qualsiasi parola può essere usata contro di lei”

    quello che scrivi è verissimo
    in ordine sparso:

    in primo luogo quando dici che il medico dev’essere messo a suo agio
    è una cosa fondamentale, solo che viene in mente a ben poche persone, soprattutto nella città in cui lavoro ora, dove (non so se sia un caso) la percentuale di maleducati travestiti da “esigenti” è un po’ più alta della media
    anche se nessuno, com’era successo in un altro ospedale, ci ha ancora minacciato di “farci un ricamino sulla faccia” 🙂

    è davvero molto sconfortante quando parli con qualcuno poco collaborante, che magari ti tratta sin dall’inizio come uno stronzo perché vede che sei giovane, o che arriva già prevenuto perché “tanto quello che ho non lo capisce nessuno, ci hanno già provato in tanti”; per me che ho un po’ di problemi di comunicazione con gli altri è ancora più difficile, se vedo che con un paziente c’è intesa allora ci parlo molto (forse anche troppo, mi dicono), se mi accerchiano o iniziano ad accusarmi da subito di cose che esistono solo nella loro testa allora divento più silenzioso e un po’ meno diplomatico… e soprattutto il cosiddetto “ragionamento diagnostico” inizia a rallentare più di quanto non sia già lento

    e quando perdi la pazienza c’è il rischio che ti escano frasi che normalmente odio, prima fra tutte la celebre “senta, io la bacchetta magica non ce l’ho, ok?”; forse non l’ho ancora detta, ma prima o poi la dirò

    però è anche vero che, se a volte trovi i maleducati, altre volte si va dalla parte opposta: ossia quelli TROPPO gentili, che hanno un’adorazione quasi morbosa per il camice bianco, e accettano qualsiasi consiglio o terapia in maniera del tutto acritica
    anche qua può esserci un po’ di difficoltà, perché se un paziente è troppo accondiscendente hai poco riscontro per ricostruire e orientare il famigerato processo diagnostico e terapeutico
    anche questo è un po’ frustrante

    inoltre, per alcuni versi ti senti autorizzato a farti prendere la mano e chiedere troppi esami inutili; e se poi cerchi di spiegargli la situazione o il perché di alcune tue decisioni, anche in termini davvero elementari (non per fare il maestrino figo, ma per fargli capire effettivamente il motivo del suo stare male in modo che eviti certi comportamenti ecc), la risposta è “ah boh, l’importante è che mi passa, poi…”
    è un po’ come andare nella classica discesa senza freni, alla fine trovi il muro (che è il paziente che si trasforma e diventa improvvisamente una specie di hulk incazzatissimo, perché ti ha dato carta bianca e tu dopo settimane non gli hai ancora risolto niente)

    poi, sempre per quest’ultimo tipo di persone, succede proprio quello che hai scritto tu per gli antidolorifici, “Il dolore soprattutto ci serve per capire qual’è il problema, se lo spegnamo, non capiamo nulla”: quindi vedi pazienti che ti ringraziano infinitamente per averli fatti stare bene e, nonostante le tue avvertenze, SPARISCONO per mesi perché “tanto stanno bene”, e magari ritornano alla tua attenzione quando la malattia sottostante è già avanzata

    un altro accorgimento che a volte cerco di prendere nelle situazioni in cui si capisce ben poco è chiedere consiglio al paziente (anche questo può sembrare paradossale), di coinvolgerlo e di chiedere cosa ne pensa lui stesso: ad esempio per vedere come va una terapia piuttosto che un’altra, se prendere o no un farmaco, se farsi operare o no (perché a volte ci sono delle situazioni in cui tra fare o non fare non c’è molta differenza). il momento più brutto? quando qualcuno ti gela rispondendoti “ah non lo so, guardi, il medico è lei”, soprattutto con un tono che sembra dirti “o mi dai una risposta binaria SI’-NO, oppure mi alzo e me ne vado”

    • ciao Daniele, grazie infinite per il commento da “addetto ai lavori”. Quello che ho scritto riguarda la mia esperienza personale di paziente, mi sono accorto che se tratto il medico come una persona alla quale chiedere un parere (piuttosto che trattarlo come una macchina binaria, come scrivi tu) ottengo quello che davvero mi serve, e cioè un punto di vista. Sono consapevole dei limiti della scienza, eppure mi ci affido anche io quando ne ho bisogno (come tutti alla fine, anche i fan della naturopatia, cristalloterapia, pendoli, cartomanti, numerologi… anche loro vanno al pronto soccorso quando si fanno male di brutto!).

      Il problema nel trattare il paziente come un “pari” ovvero offrendo un parere e chiedendo un punto di vista purtroppo presuppone che la persona abbia un interesse nella cura del proprio corpo (cosa NON scontata… come scrivevi, spesso le persone vogliono solo “tappare il buco”), presuppone che la persona abbia gli strumenti cognitivi per rendersi conto della propria esistenza e soprattutto che ricordi cosa lo ha portato allo stato degenerativo in cui si trova quando viene a chiedere il parere del medico.

      A volte, per raccogliere consapevolezza, tengo un diario di 30 giorni. Può essere un diario alimentare, un diario delle abitudini (es. orari di sveglia e sonno), un diario delle emozioni e così via. Rileggendolo mi rendo conto di cosa è successo di strano e soprattutto mi rendo conto di quanto poco sia “normale” la mia normalità. Ovviamente dopo i 30 giorni termino qualsiasi attività di registrazione degli eventi perchè potrebbe diventare un po’ maniacale alla lunga, però come metodo devo dire che funziona alla grande. Certo trovare un medico che sia interessato alle mie considerazioni è anche quella cosa rara insomma 🙂 ciao alla prossima! e ancora grazie

  2. un problema grosso è quello della risposta binaria. credo sia legato alla considerazione che si ha del medico nella società moderna, ovvero uno stregone che DEVE darti una risposta e se non te la dà non è davvero in contatto con gli dei (ovvero la scienza, la medicina) e dunque non è credibile. il dubbio non è ammesso. ed è paradossale, perchè il dubbio è proprio uno dei pilastri della scienza.

    che poi è il problema generale di quando si chiede una consulenza a un professionista: che sia sul nostro corpo, sul nostro sito internet, sul nostro matrimonio o sulla nostra azienda, non cambia molto. vogliamo essere confortati, e in questo senso è confortante anche un deciso “lei morirà”, perchè dà comunque una certezza, è una risposta definitiva. forse i medici dovrebbero iniziare ogni discorso con “premesso che lei, prima o poi, morirà…”.

    concordo sugli antidolorifici: a me capitò di andare da un medico – tra l’altro di quelli “consigliati da tutti” (cosa che meriterebbe un discorso a parte) – che non mi guardò nemmeno in faccia e, senza praticamente ascoltarmi, preparò una ricetta per gli antidolorifici, così, in mezzo minuto. costo della visita: 70 euro, sostanzialmente per avere degli antidolorifici. cioè a quel punto vado da uno spacciatore e amen, pago anche meno e a volte sono simpatici. e infatti quella volta mi alzai e me ne andai senza pagare, cosa che mandò tutti in cortocircuito (era una clinica privata), perchè non era mai successo che un paziente non pagasse. lui ovviamente se la prese a morte. forse mi ero posto male io? non lo so. so che quando tornai la seconda volta (su suo invito) fu ancora più stronzo, perché aveva sentito il suo ruolo di medico messo in discussione. morale: due visite inutili.

    invece apprezzai molto una dottoressa che sostituiva la mia quando, anni fa, andai per altre cose, e poi prima di andare via le chiesi delucidazioni su un problemino non tanto importante ma che in qualche modo mi dava fastidio (non un cancro, insomma; roba che avevo da un anno ma che non era grave e non influenzava la mia vita in alcun modo) e lei mi disse candidamente che non sapeva assolutamente cos’era. e poi, capolavoro, aggiunse: “anzi, se lo scopre per favore poi me lo faccia sapere, ce l’ha anche mio marito ma non sappiamo cos’è”.

    • Ho capito la situazione. Forse quello che molti non riescono ad accettare è semplicemente che a volte non si può stare bene, o almeno, non subito. Avere un bel rapporto col dottore è una cosa fantastica perchè quando esco dallo studio mi sento già molto meglio, soprattutto quando esco a mani vuote. So di aver detto “tutto” e so che lui ha fatto il possibile, insomma, come quando andavo dal prete per la confessione da piccolo, solo che adesso la sensazione è più precisa.

  3. Pingback: Come scegliere (Bene) il medico di base | RRR

  4. a proposito degli antidolorifici, antibiotici o simili, vorrei riferire una cosa curiosa: se quando faccio le visite ambulatoriali di routine cerco di prescrivere meno farmaci possibile (cerco di risalire alla causa e ai comportamenti che possono scatenare il dolore o il disturbo, come hai giustamente detto tu), nelle consulenze urgenti fatte per il pronto soccorso e con i pazienti ricoverati tendo a consigliare e dispensare farmaci come se fossero acqua, anche per disturbi che non c’entrano nulla con la malattia in atto
    per tentare di discolparmi posso dire che non è solo un mio atteggiamento, è comune a tutti quelli che lavorano in ospedale (almeno in quelli dove sono stato io)

    la ragione? credo siano diverse: in primo luogo perché, ovviamente, chi va in pronto soccorso o viene ricoverato in ospedale ha qualcosa di più serio e più probabile che richieda un trattamento con farmaci, e questo è giustificabile
    in secondo luogo, e purtroppo è una triste realtà, c’è la temibile questione della medicina difensiva con cui si ha a che fare ormai tutti i giorni. anche qui le frasi ricorrenti si sprecano: per quanto il pronto soccorso, “quel paziente torna a casa, si sente di nuovo male e muore, e poi il giudice dà la colpa a me perché non gli ho dato l’antibiotico; ovviamente che gliel’abbia dato o no non c’entra assolutamente nulla, ma vallo tu a spiegare al giudice”; per i pazienti ricoverati, stessa cosa: “il giudice ti può dire che hai sottovalutato quel sintomo, e non l’hai trattato”
    e infatti, per dolorini a cui ad una visita in ambulatorio direi “ma sì, mangi più sano/si rilassi un po’ di più”, la reazione istintiva è dolore = antidolorifico

    ad esempio, stamattina un signore ricoverato da noi per un problema al pancreas abbastanza serio ha avuto una lieve colica renale; le due cose eran completamente separate, fosse stato a casa gli avrei detto “ma sì, si beva un litro d’acqua in più”, invece la reazione istintiva è stata: ok, antidolorifico! (ovviamente gli ho anche detto di bere eh!)

    brutta roba davvero, la medicina difensiva è un ulteriore contributo alla disumanizzazione della sanità

    fatalisti del dna per fortuna ne ho conosciuto ben pochi, ma è vero: è un po’ come parlare a un sordo, soprattutto quando non sentono ragioni; ed è così difficile discuterci che spesso, proprio per la questione della medicina difensiva, per molti è meglio avere a che fare con pazienti fatalisti che ansiosi 🙂

    • A questo punto mi hai confermato un sospetto che avevo da tempo. Quando vado dal dottore non siamo solo lui ed io, c’è anche una terza persona: un avvocato invisibile. E’ onnipresente sia tra i pensieri dei pazienti (“ma guarda questo! lo denuncio!”) sia tra i pensieri dei medici (“faccio così altrimenti mi denuncia”). Quindi insomma con i tribunali a farsi gli affari dei pazienti io sinceramente credo che i pazienti in molte situazioni ci perdano. Cure inutili, precauzioni inutili, ma tutto perfettamente a norma di legge. Ma stai tranquillo, in america dove sono sempre più avanti hanno già dimostrato che non c’è nessuna correlazione tra la bravura del medico e la probabilità che gli venga fatta causa, infatti la probabilità di ricevere cause pare dipenda dalla specializzazione. Credo che cercare un rapporto di qualità col medico significhi anche allontanare questo terzo incomodo (l’avvocato invisibile) che rende difficile la cosa più sensata da dire o da fare.

  5. Condivido molto quello che hai scritto riguardo la consapevolezza nell’uso del proprio corpo.
    Fino all’età di 25 anni circa, mi capitava con una certa frequenza di soffrire di mal di stomaco. Il dottore si era limitato a suggerire “Quando succede, puoi assumere del Buscopan”.
    Ma io capii che si trattava di una somatizzazione di tipo nervoso.
    Mi abituai a mangiare lentamente, stando attento a non fagocitare il pasto, a masticare adeguatamente, ed eventualmente anche a fermarmi un secondino fra un boccone e l’altro.
    Da quando mi sono educato in questo senso, ho praticamente risolto questo problema senza bisogno di farmaci.

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