aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaalberi


da un po’ di anni apprezzo molto i dipinti di tomás sánchez, artista cubano che rappresenta principalmente alberi e foreste, paesaggi onirici, interiori, ma molto realistici. in realtà ero arrivato a lui grazie ad alcuni incredibili dipinti di discariche che sánchez rappresentava esattamente come rappresenta i boschi, foreste, laghi e colline quando dico esattamente intendo questo:

Basurero verde para falsos ecologistas, Tomás Sánchez, 1996

da quando poi ho iniziato a vedere i suoi alberi mi sono completamente innamorato e ho pensato “come vorrei saper disegnare gli alberi con li disegna sánchez”. per fortuna c’è lui che lo fa al posto mio. e lo veramente molto molto bene.

“Buscador de un lugar a la orilla”
Acrylic on linen, 1995

poi ho scoperto che si definiva “pittore e meditatore” e allora ho pensato “ok, tutto torna”. infatti più che paesaggi onirici i suoi forse sono paesaggi meditativi, set per meditazioni. quando poi ho letto queste sue parole: “Molte delle visioni e delle riflessioni dei miei dipinti nascono dall’esperienza della meditazione. Quando ci avviciniamo alla natura da questa prospettiva, non abbiamo bisogno di assumerla come qualcosa che vale la pena proteggere all’esterno di noi. La meditazione ci restituisce quella sensazione espansiva di essere qualcosa di più del corpo che abitiamo, che siamo parte di un tutto, e che vale la pena proteggere quel tutto” – e allora boom, tomás, diventiamo migliori amici.

“Laguna que espera”
Acrylic on linen, 1999

come se non bastasse, il suo pittore preferito pare sia Caspar David Friedrich, e cos’altro aggiungere?

i suoi dipinti non sono cose da vedere ma luoghi dove stare. per me i suoi dipinti sono meditazioni, ma spesso – in una sorta di mise en abyme – all’interno, tra i meravigliosi alberi (ripeto: nessuno disegna gli alberi come li disegna lui) c’è la figura del meditatore. è un meditatore dentro la meditazione di un meditatore.

Tomás Sánchez, Orilla y Meditador, 1995 (il meditatore è quella piccola figura in basso a destra, ma anche chi ha dipinto il quadro e anche chi lo sta guardando. notare inoltre come il lago riflette perfettamente “la realtà per ciò che è”, un’immagine spesso usata in alcune meditazioni

sono sempre stato appassionato dei dipinti dove ci sono alberi, non tanto quelli romantici, ma andando un po’ più indietro, ad esempio i fondali di leonardo, che per me sono più belli del dipinto nella sua totalità. paesaggi interiori, simbolici, dietro al soggetto, quasi nascosti, eppure spesso sono la prima cosa che si nota.

Leonardo da Vinci, Ritratto di Ginevra de’ Benci, (particolare). forse 1474

(il top – anche se non sono boschi – forse lo raggiunge con l’improbabilissimo e metafisico fondale della vergine delle rocce, una cosa sovraumana, e con la sala delle asse, dove ci ritroviamo letteralmente dentro un bosco – e a questo proposito… segue fuori dopo la parentesi…)

sánchez mi fatto pensare a un altro pittore coevo di leonardo, paolo uccello, in particolare per il suo celebre Caccia notturna. è un dipinto che ha qualcosa di magico e inspiegabile, di quelli che li guardi e provi una specie di vertigine, come quando sei in bilico sulla sedia e per un attimo senti di cadere, poi i piedi della sedia toccano di nuovo il pavimento ed è come se ti risvegliassi. lo metto qua, ma merita d’essere visto bello grande (tipo così):

Paolo Uccello, Caccia notturna, tipo 1470 chissà

gli alberi sono simili a quelli di sánchez. prospettiva e simmetria provocano nello sguardo qualcosa di indefinibile. tutto è molto scuro, dei verdoni scurissimi, i cani sono tantissimi, fino al fondo visibile del bosco, ma il bosco è non un semplice fondale, ci siamo proprio dentro, tanto che – come sánchez – tutto è molto dettagliato, per terra vediamo tronchi, piante e fiori di varie specie, e a volte ho pensat o che forse il dipinto sarebbe più bello eliminando del tutto la scena umana, tutto quel rosso. ma non è così. sia i tronchi sia gli umani sia i cani sono orientati in maniera prospettica verso il centro del bosco.

la disposizione ritmica degli alberi, dei cani e dei personaggi umani, rende tutto molto inverosimile e onirico. il taglio è cinematografico, molto orizzontale. la profondità data dagli alberi che diventano sempre più piccoli e invisibili mi fa cadere dentro il dipinto.

non aspettatevi un collegamento sensato con sánchez, è solo che mi è venuto in mente. tornando invece all’artista cubano trovo illuminanti e chiarissime queste sue parole a proposito del rapporto tra i suoi dipinti di foreste e quelli di discariche: “Per molti anni ho insistito sul fatto che le discariche e le opere che raffigurano la natura in modo più contemplativo sono parte di un tutto. Entrambi sono paesaggi ed entrambi affrontano direttamente il nostro rapporto con la natura. Un paesaggio dove la natura è nel suo stato più incontaminato in qualche modo lo esprime in tutte le sue potenzialità, quella narrazione speranzosa che è al centro di tutti i cataclismi che ci attendono – almeno per coloro che vivono attenti alla graduale distruzione dell’ambiente. Le discariche, così colorate e imponenti, testimoniano questi cataclismi, l’impatto dell’uomo sul suo ambiente. È una dualità, credo che l’una non potrebbe esistere senza l’altra”.

questo è perché quello è. come diceva quello, “niente fango, niente fiore di loto”. insomma, andate a cercare tomás sánchez e guardate tutto quello che ha fatto, poi chiudete gli occhi, respirate e semplicemente state dentro i suoi paesaggi.

il fatto che caspar david friedrich sia uno dei pittori preferiti di sánchez – ma credo di tutti, no? – mi ha fatto pensare a una delle prime immagini che mi è venuta voglia di riprodurre da piccolo, guardando la spada nella roccia, il film disney. era un’immagine che mi faceva paura, ma che mi attraeva, mi faceva venire voglia di disegnarla uguale. era un punto di vista dall’interno della foresta, questa:

La spada nella roccia, 1963

qualche anno dopo ho riconosciuto in questo tipo di sguardo caspar david friedrich. non solo per le inquietanti e nodose sagome nere degli alberi, ma proprio per il punto di vista dalla foresta. ad esempio:

Un uomo e una donna davanti alla luna pensano alla cartella dell’agenzia delle entrate arrivata quella mattina, 1820

all’epoca ignoravo totalmente tutti i vari significati simbolici di questo dipinto, e delle varie versioni, e sinceramente scelgo volontariamente di ignorarli anche adesso, a più di trent’anni di distanza da quando lo vidi per la prima volta. quello che mi piaceva era il punto di vista dall’interno della foresta. non assomiglia a quelli di sánchez, ma altri di friedrich sì, ad esempio:

Der Abend, 1821

questa ancora una volta è una delle versioni, versioni che da quando esiste internet si moltiplicano, se infatti cerchiamo un qualunque dipinto su un motore di ricerca lo troveremo in tante tonalità diverse. ma era già prima così con la stampa, ricordo benissimo che notavo la cosa già da bambino quando vedevo un dipinto in un’enciclopedia con certi colori, poi lo ritrovavo in un altro libro a aveva altri colori. la cosa mi destabilizzava. forse è per questo che vanno visti dal vivo, ma qua si aprirebbe una parentesi inutile e troppo lunga. ed è meglio non perdere tempo, perché c’è ancora un’altra cosa che voglio dire.

Alberto Hernández Reyes, Dream of tree, 2020

infatti, colpo di scena, c’è un altro pittore cubano bravissimo a disegnare gli alberi, e anch’egli meditatore: alberto hernández reyes. anche i suoi sono paesaggi-meditazioni, e sono bellissimi. a volte i suoi alberi sembrano come in movimento, ma non mossi dal vento e dall’aria, è più come se fossero mossi dalla luce. nei suoi dipinti è spesso presente la nebbia, l’umidità, che rende tutto più vago, meno materico, più vicino alla casuale allucinazione, come certe immagini che appaiono quando hai gli occhi chiusi.

Alberto Hernández Reyes, Epiphany, 2020

(e così via, in realtà fa anche anche paesaggi meno onirici, con vedute più ampie, andateli a vedere)

ieri mattina, prima di scrivere questo post, guardavo fuori dalla finestra gli alberi davanti a casa. nell’ordine, da sinistra verso destra, vedevo dei cedri sempreverdi, poi acacie, alcune con i primi boccioli, altre già fiorite, e poi un paio di alberi morti. da un albero all’altro le cinciallegre che svolazzavano. questo mi ha fatto sentire, più che pensare, all’impermanenza. in due secondi ho sentito l’intero ciclo di un albero e di un bosco, le stagioni, e anche come l’idea di “risveglio” della primavera sia appunto solo un’idea. in realtà è sempre tutto vivo, anzi, l’impermanenza è costante fonte di nutrimento.

Alberto Hernández Reyes, Tree vigil, 2021

quando l’albero perde le foglie, quelle foglie nutrono il terreno, ho pensato al ciclo dell’azoto, all’utilissima necromassa dell’albero “morto”, in realtà fonte di vita e nutrimento per tutte le creature intorno, le altre piante, batteri, insetti, funghi. poi la primavera, l’impollinazione, l’evidente “risveglio” rappresentato dal fiore che sboccia, sempre nutrimento, infine – fine si fa per dire, in realtà è un punto qualunque di questo flusso – l’estate con il frutto, che io colgo e di cui mi nutro, e se non lo faccio io lo farà di sicuro una cornacchia. in pratica ogni apparente morte è una trasformazione che porta nutrimento e alla morte successiva e così via.

dunque ho meditato con questa sensazione in testa, “l’impermanenza come nutrimento” con le cinciallegre fuori a fare da tappetto sonoro. dopo, curiosando nel sito di alberto hernández reyes, ho notato che intitola moltissimi dei suoi dipinti “impermanencia”, con questi paesaggi di foreste che sembrano in continua mutazione pur nella loro acrilica fissità.

Alberto Hernández Reyes, Mirage, 2021

“Certamente, o Ānanda, tu hai ben udito, ben appreso, ben inteso e ben ritenuto le mie parole. Adesso, come allora, o Ānanda, io dimoro pienamente in uno stato di vacuità. Così come questo palazzo della madre di Migara è ora vuoto di elefanti, di buoi, di cavalli, vuoto d’oro e d’argento, vuoto di gruppi di uomini e di donne, e la sua sola non vacuità è questa unica cosa, la comunità dei monaci, allo stesso modo, o Ananda, il monaco non pone mente all’idea di villaggio, non pone mente all’idea di uomo, ma pone mente a quest’unica cosa, alla foresta. Nell’idea di foresta la sua mente si placa, si ferma, si libera; ed egli riconosce: ‘Le cure (le preoccupazioni, le ansie) che dipendevano dall’idea di villaggio non esistono più; le cure che dipendevano dall’idea di uomo non esistono più e l’unica cura che rimane è quella che dipende dall’idea di foresta»
(Culasuññata Sutta (Piccolo discorso sulla Vacuità). Majjhima-nikāya, 121.)”

così, mi sembrava ci stesse bene questo sutra. questo post infatti, coerentemente, non ha fine, era solo una condivisione di alcune suggestione legate agli alberi. anche quando ci troviamo in posti di merda o in momenti di merda, possiamo sempre chiudere gli occhi ed essere tra gli alberi, o essere alberi. insomma, guardate i dipinti di tomás sánchez e alberto hernández reyes, nutritevene.


Una risposta a “aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaalberi”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *