la vasca


nonostante tutto bisogna pur lavarsi. oltre a un non secondario fattore di autostima, negli incontri ravvicinati la puzza ha significative conseguenze sociali. si rischia di puzzare di povero, o di puzzare e basta. niente riscaldamento e niente acqua calda rendono le cose difficili, ma l’uomo disperato s’ingegna e sperimenta: docce fredde, com’è di moda, acrobatici e inefficienti lavaggi a pezzi, oppure semplici cambi di vestiti, così, a secco. l’ultima doccia calda risale a più di un mese fa, anche se mi sembra molto di più, in un albergo non pagato da me, dov’ero arrivato già piuttosto sporco. ma non è solo una questione d’igiene, è anche per il piacere che l’acqua calda può dare, rilassare i muscoli, stendere i nervi, regalare un sorriso, tutta roba gratuita, in teoria. mio padre mi ha raccontato uno dei suoi ricordi indelebili d’infanzia, di quando a casa sua era andato un uomo a fare dei lavori nelle tubature, al freddo, mio padre aveva forse quattro o cinque anni, e sua madre, ovvero mia nonna (che torna sempre), a lavoro finito portò un catino d’acqua calda all’uomo perché potesse lavarsi le mani e le braccia. secondo il ricordo di mio padre, nel momento in cui l’uomo immerse le braccia, sul suo volto apparve un’espressione incontrollabile di piacere inatteso, come di qualcuno che non aveva mai provato l’esperienza dell’acqua calda, o che forse non la provava da molti anni. è quello che cerco, quella sensazione. così riempio tre pentole e le metto sui fornelli, in contemporanea metto in funzione due bollitori elettrici che riempirò in tutto una dozzina di volte ciascuno. ovviamente questo bagno mi costa, ma ne ho bisogno. mentre metto l’acqua nella vasca mi rendo conto, ma forse era facile immaginarselo, che non riuscirò mai a riempirla completamente. l’obiettivo è arrivare a un livello tale che almeno mi consenta di immergermi. stanco di riempire pentole e bollitori, mi fermo, calcolando a occhio di aver raggiunto il livello giusto. mi sembrano meno di venti centimetri d’acqua, ma decido che è abbastanza, anche perché il bagno si è riempito di vapore, non si vede più nulla e ogni cosa è bagnata. mi tolgo i vestiti, era da un po’ che non lo facevo, sulla pelle ho tanti puntini rossi. mi immergo, l’acqua è calda ma, com’era prevedibile, non è abbastanza. così mi sdraio nella vasca, completamente appiattito sul fondo, e mi lavo così, come se fossi in piedi nella doccia, solo orizzontale. quando inspiro, l’acqua mi lascia scoperto, ma quando espiro la pancia si sgonfia e l’acqua torna a coprirmi, dunque approfitto per lavarmi come si deve nelle espirazioni. è scomodissimo e per niente rilassante, eppure mi godo il calore dell’acqua, che in poco più di cinque minuti diventa tiepida, e allora metto fine all’esperienza. quando mi alzo il mio corpo fuma, ho molta pelle morta da togliere. rimango per un po’ al freddo, nudo, per godermi qualche minuto senza vestiti, poi mi rivesto con biancheria che profuma di lavatrice. è durata poco, ma mi sento bene, mi sento meglio, più ottimista. come cantava alex britti in quel suo bellissimo inno anarchico del 2000: voglio restare tutto il giorno in una vasca / con le mie cose più tranquille nella testa / un piede fuori come fosse una bandiera (…) ma spero solo questa mia fantasia / non sia soltanto un altro attacco di utopia. alla fine mi faccio anche lo shampoo: infilo la faccia tra il rubinetto e il lavandino e lascio andare l’acqua ghiacciata. con la bocca sfioro il buco dello scarico. la testa pulsa per il freddo, l’acqua sembra bruciarmi. è lo shampoo meno piacevole che si possa immaginare, dunque cerco di renderlo il più breve possibile. anche se massaggiarmi la testa con la schiuma è piacevole, sebbene dopo un po’ non mi senta le dita. la schiuma è una cosa buona, è come la mamma, che ti accarezza la testa quando sei triste e stanco. alla fine scccciacquooo e, dopo essermi asciugato i capelli con un phon a forma di papera, il mio ottimismo è aumentato ancora di più.


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