Come usare il linguaggio da critici cinematografici in conversazioni quotidiane (l’altro titolo era “perché sopprimere gli studenti”)


Capita così: da piccolo ti piace il cinema, ti guardi un sacco di film, i tuoi ti regalano videocassette, abbonamenti a riviste sul cinema, sogni di fare il regista. Poi cresci. Fai le scuole, scopri persone appassionate come te con le quali scambiare film e opinioni, oppure scopri Internet, finché un giorno… ti laurei.

E inizi a parlare così:

Il romanticismo dell’impresa si sbrindella in uno schema che de-genera nella possibilità della vita, perché outlaw ed official heroes non sono altro che ipostasi di un medesimo nucleo esistenziale che si declina nelle forme putride del canone visivo storicizzato: quando sceriffo e fuorilegge solo in apparenza si scambiano ruoli rendendo in realtà una nuova possibilità alla normale traccia della saturazione narrativa, si realizza una formalizzazione che, inserendosi in una evidenza di classicità strutturale, inserisce la perpetua sconfitta come progressione nella vita.

I tuoi genitori non ti riconoscono e si chiedono: veramente abbiamo pagato per questo? Ma non era meglio se faceva l’ingegnere?

La frase citata non è una mia invenzione, è un brano preso a caso – di sicuro ce ne sono di più surreali – da una recensione di un film western di un famoso sito… diciamo così (per i curiosi, c’è Google).

Non sono manco emuli di Enrico Ghezzi, perché almeno lui si è inventato una sua poetica, un suo linguaggio, un suo mondo. E’ più vicino alla poesia che alla filosofia. Questi sono ragionieri dell’arte, studenti insomma.

Ma poi perché la gente si laurea? Cosa succede dentro le università? Perché leggere Bergman, Hitchcock o Tarkovskij che parlano di cinema è così bello e illuminante e invece leggere gli studenti fa venire voglia di cavargli gli occhi, fare un rogo di libri e vietare l’istruzione?

Ma prima che questo possa sembrare un post serio dove me la prendo realmente per qualcosa (non sia mai), passiamo direttamente alla fase in cui svacco e faccio ridere…

Ecco una selezione di ossessioni dei critici cinematografici (appartenenti alla macro-categoria degli studenti) e il modo di usarle nella vita quotidiana. Per capirci, sono quelli che invece di dire “la trama”, di solito dicono “la dimensione tramica”.

In questo breve manuale riporto la frase – sempre presa da recensioni reali – e un esempio pratico di utilizzo, come si fa nei corsi di lingue straniere.

“L’evidenza lampante della struttura tramica”

(dalla recensione di “L’amore non va in vacanza”)

ESEMPIO:

  • Buongiorno, vorrei un maglione.
  • Guardi questo, le piace?
  • Mah, non mi sembra granchè veramente.
  • Forse perché non l’ha guardato da vicino.
  • Dice?
  • Provi ad avvicinarsi, guardi meglio.
  • Santo dio! Che tessuto! Devo arrendermi all’evidenza lampante della struttura tramica!

“dissolvenza tramica”

(dalla recensione di “Vento di terra”)

ESEMPIO:

  • Insomma l’altra sera sono uscito con questa tipa…
  • Ah sì sì, quella di cui mi hai parlato.
  • Quella che hai conosciuto in palestra.
  • Esatto. E insomma usciamo… mi sembrava un po’ strana.
  • Strana come?
  • Eh, un po’ mascolina diciamo. Però simpatica, carina… sai com’è?
  • Sì sì, ho presente.
  • Beviamo un bel po’, poi andiamo a casa sua…
  • E poi? E poi?
  • Beh quando si spoglia… Ahah non so come dirtelo.
  • Dai, dillo e basta!
  • Eh, insomma, diciamo [facendo le virgolette con le dita] “dissolvenza tramica”!

“esposizione tramica piatta e banale”

(dalla recensione di “Cose di questo mondo”)

ESEMPIO:

  • Giggino, bello di papà. racconta a papà com’è andata a scuola oggi, dai! Cos’avete fatto con la maestra? Dillo a papà! Racconta, racconta!
  • La maeta ci ha fatto giocale…
  • Giocare, Giggino. Giocare.
  • Ci ha fatto giocare con le palline colorate.
  • Mh. E poi?
  • Poi abbiamo fatto merenda.
  • Ho capito. E a seguire?
  • Dopo merenda abbiamo giocato con le palline colorate ancora… E poi il riposino.
  • Tutto qua?
  • Sì.
  • Mah, esposizione tramica piatta e banale, Giggino.

“la corrispondenza tramica offende nella sua elementarietà”

(dalla recensione di “Crash – Contatto fisico”)

ESEMPIO:

  • Sai Anastasia, io trovo molte affinità tra noi due…
  • Davvero? Oh tesoro, grazie.
  • Mi piace il tuo essere spirituale ma allo stesso tempo molto lucida, razionale, sei una persona semplice e profonda allo stesso tempo, quelli che apparentemente sembrano difetti in te si rivelano qualità, sei talentuosa, altruista, generosa…
  • E a me piace il tuo cazzo.
  • Eh?
  • Mi piace il tuo cazzo! Davvero!
  • Scusa se te lo dico Anastasia ma la corrispondenza tramica offende nella sua elementarietà.
  • Eddai, non ti offendere!
  • Eh…
  • Pensavo di farti piacere!
  • No guarda, non ne parliamo più. Lasciamo stare.

“la necessità tramica”

(dalla recensione di “Nightwatching”)

ESEMPIO:

  • Din don!
  • Chi è?
  • Signora mi apra!
  • Che c’è? Chi è?
  • Devo entrare!
  • Perché?
  • Signora mi sto cagando sotto, apra!
  • Ma vada ai bagni pubblici!
  • Non ci sono.
  • Al bar!
  • E’ chiuso.
  • La faccia dietro un cespuglio.
  • Non ci sono cespugli, siamo in un’immaginaria periferia priva di verde pubblico. Apra! Apra!
  • Ma ha necessità tramica?
  • Sì! Non so più come dirglielo!
  • [rumore del portone che si apre]

“non convince l’esasperazione tramica”

(dalla recensione di “21 grammi”)

ESEMPIO:

  • Buongiorno! Scusi se la disturbo, ma ha mai pensato a Dio?
  • No guardi, non ho tempo…
  • Solo un attimo. Lei legge la Bibbia?
  • Beh, non abitualmente, l’ho letta da bambino e…
  • E cosa ne pensa?
  • Ha delle parti interessanti diciamo. Eppure…
  • Eppure?
  • Guardi, se proprio devo dirle la verità non convince l’esasperazione tramica.
  • Posso lasciarle un volantino?
  • Come crede. Arrivederci.

“ambiguità tramiche di ardua collocazione”

(dalla recensione di “Two sisters”)

ESEMPIO:

  • Vincè dove lo metto questo? Non c’è posto, è tutto un casino qua. Ci sarebbe uno spazio ma…
  • Che c’è?
  • Non capisco se ci sta. Entrare sembrare entrare ma…
  • Ma?
  • Non so Vincè, non vorrei offenderti.
  • Ma cosa? Dillo.
  • Non so, è che qua ci sono ambiguità tramiche di ardua collocazione. Ecco, l’ho detto.

“una scorza tramica apparentemente stereotipata”

(dalla recensione di “Blu profondo”)

ESEMPIO:

  • Ciao ragazzi, cosa vi porto?
  • Io una birra media.
  • Io un Montenegro con ghiaccio.
  • Ghiaccio e arancio?
  • Mah, non so, l’arancio… mi sembra banale.
  • Solo una scorza magari.
  • Eddai non farti pregare, fidati della signorina!
  • Mah, va bene. Come vuoi. Mettici anche una scorza di arancio.
  • [la cameriera torna con i bicchieri]
  • Beh, sembravi dubbioso sulla scorza… com’è?
  • Sai che ti dico? E’ splendida!
  • Davvero?
  • Giuro. E’ una scorza tramica apparentemente stereotipata, classica da bar di scarsa qualità. E invece mi permette di gustarmi il mio drink al meglio! Devo proprio ringraziare quella cameriera!

“esposizione tramica lineare e impetuosa”

(dalla recensione di “Corpi impazienti”)

ESEMPIO:

  • Gianni!
  • Cosa?
  • GIANNI!
  • Ti sento, non urlare! Che succede?
  • Chiudi la finestra, c’è l’esposizione tramica!
  • E allora? A me sembra normale! E’ lineare!
  • Ma è anche impetuosa!
  • Davvero?
  • C’è l’allerta della protezione  civile: “esposizione tramica lineare e impetuosa”
  • O santo cielo!

“non si intenda però il mero dato tramico”

(dalla recensione di “The Village”)

ESEMPIO:

  • Guardi, veniamoci incontro. Se li prende tutti facciamo 160 e buonanotte.
  • Lei mi sta tentando.
  • E’ un affare per entrambi eh, veramente.
  • 160 per tutti?
  • Sì.
  • Netti?
  • Certamente.
  • Consegna gratuita?
  • Ma ci mancherebbe, certo.
  • Tutto compreso?
  • Tutto compreso. Però…
  • Cosa?
  • Beh, non si intenda però il mero dato tramico.
  • Ah.

 

“esilissima tessitura tramica”

(dalla recensione di “Strade di fuoco”)

  • Guardi che raffinatezza…
  • Meraviglioso, veramente.
  • Noti le rifiniture, la perfezione delle rifiniture.
  • Veramente. Puro made in italy.
  • La vede l’esilissima tessitura tramica?
  • Come?
  • Dico: l’esilissima tessitura tramica, la vede?
  • Mmm… sì…
  • Sicuro?
  • Sì, la vedo. Mi pare. Forse se mi avvicino un p..
  • NO!
  • Che succede?!
  • L’ha rotta!
  • Oh no! Mi scusi, veramente.  Si può aggiustare?
  • Ma secondo lei? No che non si può aggiustare! Era rarissima!
  • Non so come chiederle scusa…
  • Lasci stare.

“la risposta tramica è lontana dall’essere organica con gli assunti taciuti, è una replica meccanica basata sull’esasperata (e supposta soddisfacente) iterazione dei percorsi già proppiani di avvicinamento e separazione dal desiderato, con relativa assunzione di tratti personali -per l’eroe- variamente magici.”

(dalla recensione di “Matrix Reloaded”)

ESEMPIO:

  • oh, il colloquio di lavoro è andato bene, ci hanno preso!
  • ma dai? tutti? bene!
  • sì, eravamo un gruppo silenzioso, eppure siamo stati assunti.
  • bene! contenti?
  • siamo molto contenti… anche se…
  • anche se?
  • no, niente.
  • cosa? che c’è? parla.
  • è la risposta tramica.
  • che fa?
  • è lontana dall’essere organica con noi, tutto qua.
  • ma hai le ferie, la malattia?
  • sì sì
  • e allora che te ne frega, tutto bene!
  • sì ma il problema è che una replica meccanica basata sull’esasperata e supposta soddisfacente iterazione dei percorsi già proppiani di avv…
  • sui percorsi?
  • i percorsi già proppiani.
  • e te l’hanno detto solo ora? cioè al colloquio niente?
  • no.
  • tipico. fanno sempre così. vabbè senti, il contratto ormai ce l’hai.
  • no ma infatti io mi ritengo fortunato eh…
  • io sto sempre in apprendistato, che ti devo dire.
  • appunto, appunto. sono fortunato guarda… anche se questi percorsi già proppiani, sai com’è…
  • eh.. lo so, lo so.
  • vabbè dai, speriamo bene.

“sull’agghiacciante corrività schematica della costruzione”

(dalla recensione di “Strade di fuoco”)

ESEMPIO:

  • Insomma è colpa sua.
  • Aspetta, cerchiamo di capire perché.
  • No dai, basta con ‘sti perché e percome e percazzo, è colpa sua punto e basta.
  • Ma non sai nemmeno cos’è successo!
  • Non lo so ma conosco tutti e due, di sicuro è colpa sua.
  • Ma sei sicuro?
  • Sicurissimo.
  • Scusa se te lo dico ma sono in completo disaccordo. Aveva preso il metadone un’ora prima, io lo conosco bene lui, non ce lo vedo a fare una cosa così.
  • Cioè non sei d’accordo con me?
  • No.
  • Ma su cosa non sei d’accordo, di preciso?
  • Ma come, me lo chiedi anche?
  • Sì! Non lo capisco.
  • Non sono d’accordo sull’agghiacciante corrività schematica della costruzione!
  • Ma vaffanculo! Ti pensavo un amico!
  • [lo sfregia con una bottiglia rotta]

“il rischio di deriva tramica”

(dalla recensione di “Burn after reading”)

ESEMPIO:

  • SOS! ATTENZIONE, A TUTTI I MARINAI: RISCHIO DI DERIVA TRAMICA!
  • Qui risponde Ventoblu. Ripetete il messaggio!
  • Rischio di deriva tramica!
  • Coordinate?

 

Insomma: mamma, papà: perché non avete insistito? Ingegneria era meglio!

Seguirà la seconda lezione, con esempi pratici su un’altra ossessione studentale: l’economia della narrazione.


7 risposte a “Come usare il linguaggio da critici cinematografici in conversazioni quotidiane (l’altro titolo era “perché sopprimere gli studenti”)”

  1. L’ingegneria era meglio, me lo dico pur io che ho scritto quel primo abominevole paragrafo, sia dannata la memoria internautica, ormai direi 13 anni fa, neanche ancora laureato e senza aver capito un cazzo di niente. A mia parziale discolpa, poco dopo, m’è venuta la nausea per questi stessi motivi e ho smesso di sbrodolare scemenze inutilmente involute. Col fervore del convertito spalmerei agent orange su quasi tutti i siti cinemari.
    [Ma giudainfame ho scritto pure quella merda su Matrix…bhuhahahha, bleah. ecco queste ultime sono le migliori espressioni sul cinema che mi vengono ora e sono piacevolmente universali]

  2. ma sai che ora guardando le recensioni che ho citato noto che sono quasi tutte del 2003 o giù di lì? forse all’epoca andava questa cosa tramica proppiana? chissà.

    comunque dai, tutto è bene quel che finisce bene LG.

    però vogliamo le recensioni degli ingegneri! (non di quello di matrix eh, che parlava strano, o forse era architetto? geometra?)

  3. Credo sia perché eravamo tutti più rigazzini e all’università andava di moda ancora quel tipo di linguaggio semiotico delle origini, un male assoluto di cui si finiva a essere schiavi perché pareva uno strumento inarrestabile. Tutte scemenze.

    Secondo me quello di matrix era già un social media manager…beware & behold!

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