il simbionte peccatore


mi lamentavo con mia sorella – PhD presso università di TikTok ricordiamo – che a me la suddetta app mostri nel 90% dei casi ragazze molto atletiche che fanno yoga in perizoma e nel restante 10% camionisti sardi o ragazzini che fanno deprimenti prank alle nonne con l’evidente complicità delle stesse, e lei mi ha detto subito: “certo, sei tu che devi costruire l’algoritmo”. ovviamente intendeva che devo passare ore e ore a usare tiktok in modo che l’algoritmo capisca il mio disinteresse per le asana ginecologiche e per scherzi che erano già vecchi nel 2010, e invece il mio interesse per licheni, anime, lumache, pugilato, porcellane e termodinamica: “cambia subito quando il video non ti interessa, se no continuerà a mostrarti culi PER SEMPRE”. ora, a parte il fascino di questa prospettiva apocalittica, da girone infernale, di me davanti a uno schermo per sempre condannato a vedere yoga in perizoma, ovviamente io, nei limiti del mio diploma di scuola secondaria di secondo grado, so come funzionano gli algoritmi: più dati hanno e più diventano raffinati e creano una bolla perfetta non solo di interessi che hai già, ma anche di interessi che vorresti avere. con tiktok per qualche motivo questa cosa non sta succedendo: pur usandolo, la mia bolla resta una galassia di ragazze scosciate che fanno yoga in microbikini a bali, in malesia, a poggibonsi, e ora – dopo l’ammonimento di mia sorella – ho sviluppato questo strano automatismo per cui appena appare un culo cambio subito video il più velocemente possibile. sono diventato talmente bravo da essere quasi io l’algoritmo di me stesso, percepisco il culo in 0,11 millisecondi, roba che nemmeno un bot, con un margine di errore bassissimo (ad es. a volte mi è capitato di vedere delle nocche di una mano e ho cambiato subito scambiandole per un culo – e invece magari era qualcosa sul pugilato, e il pugilato mi interessa!). ho iniziato a provare non dico disgusto ma sicuramente indifferenza per i culi: a volte riesco a sgamarli senza nemmeno vedere l’immagine ma percependo con l’area para-foveale della retina porzioni di pelle, un certo tipo di luce e profondità che rimanda a quelle forme, oppure l’emoticon della pesca nel nome della tiktoker, frutto che viene usato per alludere al fondoschiena ed è dunque un’informazione semplice per capire che il contenuto sarà molto probabilmente a base di corpi ricoperti da quasi invisibili yoga pants. questo mi ha portato a sviluppare inoltre anche il terrore dell’emoticon delle pesche – frutto che peraltro non ho mai amato – e insomma ora non capisco più se è l’algoritmo a lavorare per me o io per l’algoritmo o se forse, addirittura, l’algoritmo sono diventato io. credo nessuna di queste: stiamo vivendo una sorta di simbiosi per ora problematica, una “relazione complicata”, dove alla fine il mio interesse non è più avere l’ennesima interfaccia spara-contenuti che mi piacciono, in un sovraccarico di input tanto funzionale quanto deleterio – per la mia mente, per la società, per il pianeta -, ma più riuscire ad accontentare l’algoritmo e far sì che riesca a fare bene il suo lavoro, un po’ come se mi fossi portato a uno stadio più basico, animale, binario (nel senso di 010101011) e fossi diventato empatico nei confronti di queste righe di codice. alla fine è quello che si fa quando si usa una qualunque macchina, anche una tutto sommato semplice come l’automobile: ci veniamo incontro in modo da funzionare e la macchina, come nella battuta della cavia da laboratorio convinta di aver condizionato lo scienziato perché ogni volta che schiaccia la leva lui gli dà del formaggio (era così?), potrebbe benissimo pensare la stessa cosa: chi è che sta guidando, chi è il vero simbionte? le diffuse narrazioni del tipo “siamo schiavi degli algoritmi” non hanno profondità, sono chiacchiere da bar: mi interessa molto di più questa strana collaborazione interspecie tra me e l’algoritmo, o tra me-algoritmo e l’altro-algoritmo, uno sguardo che non veda confine e separazione tra l’animale organico e la cosiddetta tecnologia, un po’ cyborg, un po’ rapporto gatto-padrone, un tentativo di comunicazione & relazione dove l’obiettivo è solo riuscire a relazionarci anche senza per forza capirci: infatti, in una simbiosi perfettamente funzionante, non è essenziale che ci sia comprensione, anzi ci può essere totale indifferenza e addirittura non conoscenza dell’esistenza dell’altro – pur restando in una interazione mutualistica e non parassitaria -, e forse è proprio questo che inconsapevolmente cerco: la relazione senza comunicazione, dove lo scambio di dati, se c’è, diventi inconsapevole, come in parte avevo già descritto parlando del tipo di rapporto umano che preferisco, quello dello scambio di fluidi tra il mio corpo e quello di uno sconosciuto senza l’ausilio del corpo. comunque, non ho assolutamente idea di cosa ho scritto, ma gli ultimi video mostrati da tiktok sono di persone che mettono coca-cola e mentos nel cesso, un apprezzabile tentativo di miglioramento da parte dell’algoritmo, lo ammetto, ma poco dopo, in uno dei video successivi, ho intuito e immediatamente skippato delle gambe femminili che si aprivano lentamente: l’algoritmo sa cosa fa, mi mette alla prova, ha capito che ho capito? non lo so: io, nel dubbio, simbionte peccatore in ginocchio di fronte al codice mi strappo gli occhi e lascio che il fluire di dati sia il più efficiente e casto possibile.


3 risposte a “il simbionte peccatore”

  1. Berne diceva che lo scopo ultimo dell’umanità resta cercare l’intimità. Il fatto che il significato della parola intimità ogni tanto tenda a mutare non deve trarre in inganno. il nudo rappresenta comunque l’intimità, nel mondo in cui le scimmie vivono coi vestiti addosso. Credo che gli ultimi algoritmi rimbalzino tra intimità e altrove. L’altrove è la ricerca di ciò che è lontano, senza mai fartelo vedere o toccare. Personalmente penso che sia un ambiente semplicemente tossico, gli stimoli che riceviamo dai social creano dipendenza. E il nostro cervello non è abbastanza sviluppato per avere anticorpi verso queste dipendenze moderne. L’industria delle sigarette ha creato un mercato oltre 100 anni fa, ereditato dall’industria dello zucchero, il cui cugino piccolo è il social. Se ti interessa ci avevo fatto qualche slide anni fa.

  2. sì ma figurati, che siano ambienti tossici per me è lapalissiano, l’ho scritto pure “deleterio per me, per la società, per il pianeta”. andavo oltre quella roba lì, nel senso che a me mica interessa usare tiktok, mi interessa sperimentare il rapporto con gli algoritmi. anzi potrei fare un post “i miei algoritmi” dove rifletto sul rapporto che ho con gli algoritmi con cui ho a che fare, un po’ come se fossero persone. la cosa dell’intimità invece mi interessa un sacco, è uno dei punti del post (come lo era già di pisciare la merda degli altri). questo rapporto simbiotico che si crea, così vicino e così lontano. mi fa pensare al rapporto che ho con i miei batteri intestinali. tra l’altro qualche sera fa ero su omegle, anche quello è interessante – non tanto per l’algoritmo, ma le persone che trovi, ma ormai non faccio tanta differenza – e ovviamente sì, nei primi 5 minuti mi è apparso un cazzo, come ai bei tempi di chatroulette.

  3. me lo segno qua così me lo ricordo: un po’ come quel libro di limonov dove raccontava i bagni che aveva fatto, cioè le acque dov’era stato (forse si chiama “libro dell’acqua”), potrei fare la stessa cosa con gli algoritmi. gli algoritmi dove sono stato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *