Da cosa nascono le discussioni tra nonni e genitori

Ieri mattina mi sono svegliato con la bimba. Come tutte le mattine le ho scaldato il latte e le ho dato un biscotto o due a seconda di quanti ne chiede. La differenza rispetto alle nostre abitudini stava nel fatto che ieri eravamo a casa dei nonni. Verso le 8.30 è arrivata anche la bisnonna che mi ha detto “torna pure a letto a riposarti se vuoi, con lei stiamo noi“. Ho accettato di buon grado la proposta di collaborazione e ho salutato la mia bimba dicendole “ciao bimba, io torno di sopra, ci vediamo tra un’oretta!” La bisnonna mi ha interrotto bruscamente e sottovoce facendomi il gesto del silenzio, e mi ha detto “pss… non dirle che vai via, altrimenti si spaventa, esci quando è distratta!“. Mi sono reso conto in un’istante quanto le nostre posizioni verso i neonati siano diametralmente opposte.

Fin dai primi mesi di vita ho ritenuto utile far presente a mia figlia che io non sono infinito come il giorno o la notte… io sono una persona e per quanto molto presente, anche io sparisco dalla sua vita ogni tanto, e prima di farlo, l’ho abituata al fatto “rassicurante” che prima di scomparire c’è sempre un saluto. In questo modo, lei riconosce sia il saluto che il fatto che io stia per andare via. Oggi che ha 15 mesi quando mi vede mentre infilo la giacca, già mi saluta con la manina, sorridendo. Ha capito che come c’è il saluto per l’addio c’è anche il saluto per il buongiorno, e ha capito che sono la stessa cosa, oltre al fatto che c’è sempre qualcuno che resta con lei.

Come adulto devo rendermi conto di dove siano le difficoltà, mi metto nei suoi panni (per quanto possibile) e cerco di mettermi al suo fianco per affrontare assieme queste difficoltà che ogni giorno sono diverse e mutevoli. Sto cercando di creare fiducia verso di me e allo stesso tempo di creare una posizione di rispetto reciproco. Il fatto di andarsene senza salutare proposto dalla bisnonna mi è subito sembrato una manipolazione, con un unico scopo: “evitare” il problema dell’abbandono. Se avessi aprofittato di un momento di distrazione della bimba per andare via avrei evitato il saluto (che non sempre va liscio, sia chiaro) ma avrei creato dentro di lei un’insicurezza molto maggiore, data dal fatto che se si volta e se mi perde di vista, io potrei sparire. Avrei creato insomma un “precedente” molto difficile da gestire in seguito.

La bisnonna ovviamente non si rende conto questi procedimenti mentali, per lei è importante una sola cosa: evitare i problemi, far andare tutto liscio. E’ abituata a vedere la bambina ogni tanto, e la considera una creatura magica e stupida, alla quale si può “far credere” di tutto e con la quale si comunica solo con vocine storpiate e parole buffe. Il mio punto di vista sui problemi è del tutto simile, anche io voglio evitare problemi, con la differenza che io (in quanto genitore) li vedo sul lungo termine, cerco di immaginare le piccole esperienze del quotidiano ripetute cento volte, quando diventano abitudini, e poi comportamenti, ed in fine… carattere.

il famoso “no”

Il primo gioco che abbiamo imparato assieme alla nostra bimba è stato il No. Un giorno per caso stava scuotendo la testa, l’abbiamo vista e le abbiamo detto “no? stai dicendo no!” e poi “ecco, questo è un bel no“. e poi abbiamo iniziato a scuotere la testa assieme a lei dicendo “no”. Ha cosi imparato ridendo che se si scuote la testa, c’è un collegamento col suono “no”. Non aveva nessun significato legato al mondo reale, era solo un suono, un movimento della testa che faceva ridere tutti e tre. Questo era verso i 7-8 mesi. Piano piano abbiamo poi cambiato il significato del no, legandolo ad azioni. C’erano le azioni si e le azioni no. Ora questo stesso no possono usarlo tutti per comunicare le azioni no alla bimba, e anche i nonni ci guardano e si stupiscono. ci dicono “ma com’è brava, come siete fortunati!” noi li lasciamo dire, io personalmente non spiego neanche più nulla, mi limito a dire quando le stanno insegnando una cosa sbagliata in modo inconsapevole.

Se insegnare a capire il “no” è stato semplice con mia figlia, è quasi impossibile insegnarlo ai nonni. Dire di “no” ad un nonno è spesso origine di epici scontri generazionali, in cui si fa a gara per testimoniare chi abbia più a cuore la salute del bimbo, durante questi conflitti ovviamente il bimbo non c’entra niente, e anzi, si strumentalizza (da parte di entrambi) la presenza del bambino per giustificare il proprio modo di fare. Eppure, credo che la domanda più saggia e profonda che un nonno possa fare sia “e questa cosa come la fate?“, proprio per capire quali sono i modi di una famiglia, ed inserirsi accordandosi sui metodi.

Questa mattina ho messo la bimba nel seggiolone e le ho dato il biberon con il latte, le ho insegnato a tenerlo con le mani, così mentre lei beve il latte io posso sistemare la cucina o fare colazione io stesso. Credo che mangiare assieme sia molto importante. Se dovessi tenere il suo biberon per esempio non riuscirei a mangiare, è quindi importante che la bimba diventi indipendente, sempre all’interno delle sue possibilità. Siccome a 15 mesi è abbastanza forte per reggere il biberon da sola, è giusto che lo faccia. Ho così iniziato come sempre dandole il biberon in mano, e lei sel’è portato alla bocca iniziando a ciucciare. C’era la bisnonna anche stamattina, così le ho lasciate sole e sono andato in cucina a farmi un caffè. Quando sono tornato c’era la bisnonna che teneva il biberon inclinato e la bimba aveva le mani appoggiate al tavolo. Ho chiesto “come mai non mangia da sola?” e la bisnonna mi ha risposto “stamattina è stanca, non ha voglia di tenerlo” sono intervenuto, ho chiesto permesso alla bisnonna, ho preso in mano io il biberon (senza toglierlo dalla bocca della bimba) e piano piano ho ripreso le sue manine accostandole al biberon, inizialmente lo abbiamo tenuto assieme, poi quando ho visto che stava tenendo il peso da sola ho tolto le mie, insomma come andare in bicicletta.

Ho poi spiegato alla bisnonna che è importante che la bimba mangi da sola, mi ha ripetuto “ma stamattina non aveva voglia!“. Questo concetto della “lettura” dei bimbi è fondamentale. Tipicamente ogni adulto ha il suo modo di leggere i bimbi, e ogni adulto attacca etichette alle azioni dei bimbi. Il bimbo fa un’azione inconsulta come sbandierare le mani davanti alla faccia di un adulto che si è avvicinato troppo per dare un bacino (magari mai chiesto) e subito l’adulto esclama “come sei dispettosa!“. Un adulto dice un no incompreso da un bimbo ed il bimbo continua nella sua azione, l’adulto esclama “come sei biricchino!“. Il bambino piange perchè incompreso, l’adulto esclama “come sei piagnone!“.

Come se parlassi ad un adulto, ma senza parole

Anche se si incontra il bimbo raramente, è importante che quando accade l’adulto (o il nonno) possa mettersi in ascolto. Il bambino è una persona con un carattere che si sta formando, e come tale va prima di tutto ascoltato… piano piano si inizierà anche a capirne le necessità, ben oltre le parole.

Come sono i nonni durante i primi 2 anni di vita dei nipoti

In molti casi, credo che i nonni siano simili ad adulti che si credono grandi, ma nei quali ri-spunta all’improvviso il bimbo interiore mai cresciuto. I nonni hanno voglia di coccole, voglia di giocare e voglia di prendere in giro l’autorità (i genitori). Provano le sensazoni più disparate nei confronti dei bimbi, sensazioni che non sanno decodificare o capire. Etichettano le azioni dei bambini, senza sapere che stanno contribuendo in modo inconsapevole alla formazione di un carattere. Spesso i nonni sono anche “acciecati” dall’affetto che provano per i nipoti, tanto da non vedere sbagli macroscopici nella formazione del carattere dei bimbi: sono i famosi “vizi dei nonni“.

I bambini capiscono tutto quello che li circonda, fin dai primi mesi di vita. Ovviamente sentono a modo loro, filtrando prima di tutto con le emozioni. Nei primi mesi di vita non capiscono il senso delle parole “come sei piagnone!” ma sentono alla perfezione l’intonazione canzonatoria e discriminatoria… e indovinate un po? Ovviamente non gli piace. Neanche a voi piacerebbe, credo.

Attenzione concentrata

Il mio maestro diceva sempre che i bambini hanno bisogno di una cosa che lui chiamava “attenzione concentrata”. Di solito gli adulti sono abituati a fornire ai bimbi un’attenzione sporadica, o più spesso un’attenzione distratta. Vuoi perchè spesso in casa si vive bombardati dagli stimoli della tv, vuoi perchè in casa ci sono anche pericoli e non solo giochi, ai quali gli adulti tentano di far fronte. Per un motivo o per l’altro i bambini non hanno quasi mai l’attenzione completa di un adulto. Immaginiamolo come un momento in cui una mamma sta allattando, in quel preciso momento il latte esce dalla mamma e nutre il bimbo. Quando il bimbo è sfamato, non c’è più bisogno di latte. Possono essere 10cl o 100cl non ha importanza la quantità, ciò che importa è che quella quantità è finita.

Cerchiamo di dare questa attenzione concentrata ai bimbi, nella quantità di cui necessitano. Non ha senso correre dietro ad un bimbo di 15 mesi in continuazione per 3 ore. Sarà sfiancante sia per l’adulto che per il bimbo, e ad un certo punto nessuno dei due sarà soddisfatto, entrambi saranno stanchi morti e con la voglia di piangere.

Piuttosto, cerco di fare un gioco breve come leggere un libro, insegnare un gioco nuovo come mettere in pila due oggetti o fare un gioco fisico come l’altalena col bimbo in braccio… insomma qualcosa che ci metta a stretto contatto per 5-10 minuti, non ha importanza il tempo, ha importanza invece capire quando il bimbo sarà stanco di noi, può capitare in quasiasi istante. In quell’istante insegnamo l’indipendenza, li lasciamo giocare da soli e noi iniziamo a fare le nostre cose (io lavoro da casa, quindi di solito mi metto al computer e lavoro per una mezzora o a volte un’ora). Durante questo tempo, il bimbo farà i suoi giochi da solo (noi staremo non troppo vicini per disturbarli e non troppo lontani da perderli di vista, io di solito sto nella stessa stanza ma in un angolo differente). Quando torna la voglia di giocare assieme, si fanno di nuovo 5-10 minuti assieme. Se il bimbo dimostra di averne voglia, si può anche arrivare a una mezz’ora. L’importante è l’ascolto delle necessità e delle voglie di questo bimbo.

In questa fase di “lettura” o meglio di ascolto delle necessità, può capitare di fare l’errore della bisnonna, che dice “questa mattina non ha voglia di mangiare da solo” pur di poter coccolare la nipotina per qualche minuto in più. Può darsi anche nella bimba esista questa voglia di coccole e può darsi che quella mattina fare quella stessa azione fosse più difficile del solito. Ma una cosa è mangiare, una cosa molto diversa sono le coccole. Se la bisnonna ha voglia di coccole, e la nipote ha voglia di coccole, il momento giusto per scambiarsele non deve essere legato al cibo. Il cibo deve essere il cibo. “Ci si nutre perchè si ha fame”, questo vorrei che passasse nella mente di mia figlia. E non vorrei che mia figlia confondesse il conforto di una coccola col conforto del cibo, pensate se a 14 o 15 anni quando ha voglia di coccole iniziasse a mangiare… piuttosto che andare semplicemente dalla nonna per fare 4 chiacchiere!

io credo che il ruolo di un adulto sia accompagnare un bimbo all’interno di questa selva di difficoltà, e mai sostituirsi a queste difficoltà evitandole o rendendole invisibili.

L’ascolto profondo è diverso per ogni bimbo, serve “collegarsi” a lui, in un modo che è difficile da descrivere proprio perchè peculiare per ogni piccola persona. L’ascolto profondo è anche diverso a seconda del ruolo che si ricopre in una famiglia, l’ascolto di un nonno sarà diverso dall’ascolto di un genitore o di un fratello. Se in una famiglia ci sono abbastanza persone per ricoprire tutti i ruoli, è importante che ognuno capisca e viva il proprio. Un nonno non potrà dare un ascolto da genitore, dato che se questo genitore è presente il bimbo vorrà questo ascolto da lui. Questa specie di ascolto profondo viene concesso dal bambino, non si può creare in scatola.

siamo noi che ci apriamo in ascolto, ed è il bimbo che ci lascia entrare, lasciandoci capire le sue necessità o cercando di comunicare con i mezzi che ha a disposizione.

Anche se alcuni non saranno d’accordo, io penso che un bimbo sia prima di tutto un animale che si nutre di emozioni. Io stesso mi ritengo un animale, prima che un essere umano, e sono abituato ad accettare i miei impulsi per quello che sono, pulsioni animali… che cercano di sopravvivere sotto uno spesso mondo urbano, tecnologico e burocratico.

punti di vista

immaginatevi con una forte influenza che provoca dissenteria. Immaginatevi su un autobus in pieno inverno, a vari minuti dalla prossima fermata. Immaginate che la cacca esca dal vostro corpo senza che possiate arrestarla in nessun modo, vuoi per la dissenteria, vuoi per lo stato influenzale, vuoi per il freddo. Immaginatevi adulti, con la cacca nelle mutande e fuori… un mondo di persone che non ha nessun interesse nella vostra cacca o nel vostro stato influenzale. Ecco io credo che questo breve attimo di vita vissuta da adulto possa essere in qualche modo simile a quello che vive un bimbo ogni volta che fa la cacca. Anche senza la consapevolezza di cosa sia un autobus o di cosa sia la città il lunedì mattina, il bimbo ha comunque l’esatta percezione di cosa è un mondo fatto di persone, alcune delle quali usciranno dall’anonimato per entrare in contatto con lui (o lei). Dopo essere entrati in contatto spiegheranno il loro ruolo, e chiedendo sempre per piacere passeranno poi all’azione, togliendo quella fastidiosa cacca, pulendoli sotto il lavandino e mettendo un pannolino pulito. Sforneranno poi un abbraccio consolatorio e tante carezze. Quelle stesse persone potranno essere infermieri, nonni, genitori, amici. Non è importante il ruolo in famiglia, è solo importante il rispetto nel compiere un’azione utile che in poche parole non è mai stata chiesta.

i Nonni oggi si stupiscono vedendo la loro nipotina (17 mesi) che cerca le coccole, che ha voglia di nonni, e non si rendono conto che succede così solo perchè quando lei era più debole la abbiamo protetta dalle loro bramosie e dai loro abbracci e baci forzati.

Recentemente la nostra bimba si rifiuta di bere il latte se è la nonna a prepararlo. Ho detto alla nonna “forse una volta gliel’hai fatto troppo caldo, forse si è scottata e da allora non lo vuole più da te“. Ha rifiutato con forza questa teoria, e quando le ho chiesto quale fosse il suo punto di vista ha risposto “si vede che in questo periodo ha voglia di genitori, e solo dei genitori“.

Quando ero piccolo, in alcune situazioni mio padre diceva “ora non puoi capire, quando sarai genitore capirai” e tagliava il discorso. Ora che sono genitore posso dire con tranquillità che avrei preferito sentirmi dire “non ti so dare questa risposta” oppure “mi comporto così perchè ho paura che tu ti faccia male“. Di certo dietro a quel “rimandare” credo ci fosse qualche tipo di incapacità di affrontare il presente. Quando un nonno ha una teoria, è simile al mio padre di tanto tempo fa: non sa spiegare perchè, ma è così.

Il fatto di avere troppe certezze a volte blocca il dialogo.

Il fatto che un genitore non capisca cosa chiede il figlio è la normalità, viviamo due epoche diverse. Mio padre non capisce quello che dico io, io non capisco quello che dice mia figlia. Il fatto che io non capisca le sue parole, non significa che lei non abbia pensieri (ne ha eccome) o opinioni.

La mia teoria è che noi, non abbiamo un valore in quanto “genitori” quanto piuttosto siamo due persone che cercano di non disturbare la bimba durante il suo apprendimento, non la forziamo per mangiare ma lasciamo che ci osservi mentre noi mangiamo, e quando ci chiede di assaggiare il nostro cibo, diciamo sempre di si (ed abbiamo per forza di cose escluso dalla nostra tavola tutte i cibi nocivi o a rischio, bevande gasate, vino, ecc…). La teoria dell’autosvezzamento per esempio è un’invenzione semplice e radicale che mi piace molto, va contro ai dogmi della corretta alimentazione, che hanno spesso trasformato i miei pasti di quando ero piccolo in momenti drammatici e di “sgridate per il mio bene”.

Il bene dei bambini è spesso strumentalizzato sia dai nonni che dai genitori.

A fine pasto, quando beviamo il caffè chiediamo alla bimba se ha voglia di farlo lei, e tenendola in braccio le insegmamo come si accende il pulsante della macchinetta. Il momento del caffè, come quello del pranzo è una gioia per tutti.

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