Abbiamo esaminato Parthenope di Sorrentino, ecco perché è un passo falso
- La sceneggiatura di Parthenope si perde tra simbolismi e allegorie vacue, lasciando lo spettatore senza un legame emotivo con i protagonisti.
- L'eccessiva attenzione ai dettagli estetici compromette la struttura narrativa, con immagini spettacolari ma prive di direzione.
- I dialoghi risultano eccessivamente articolati e sentenziosi, mancando di verosimiglianza e connessione naturale con l'audience.
Il film “Parthenope” di Paolo Sorrentino, presentato al Festival di Cannes, si delinea come un’opera che ha provocato una notevole disillusione tra gli ammiratori del regista. Uno sguardo più approfondito alla sceneggiatura rivela una narrazione che si muove con fatica, perdendosi tra simbolismi e allegorie che risultano prevalentemente vacui. La storia si concentra sulla vita di Parthenope, una figura che incarna un’idea astratta più che un personaggio tangibile, usando Napoli come metafora, ma fallendo nel far emergere una caratterizzazione convincente e coerente.
Con la pretesa di raccontare un’epopea femminile tra Napoli e Capri, Sorrentino segue il viaggio esistenziale di Parthenope attraverso decenni di cambiamenti storici e sociali, ma le lacune narrative non aiutano lo spettatore a instaurare un legame emotivo con i protagonisti. Gli eventi storici sono solo accennati, come nel caso dell’epidemia di colera a Napoli negli anni ’70, senza approfondire le trasformazioni che tali periodi hanno portato al tessuto sociale. L’accostamento di una vicenda personale con fatti di rilevanza storica avrebbe potuto rappresentare uno spunto interessante, ma viene diluito in un racconto privo di forza e incisività.
La protagonista, interpretata da Celeste Dalla Porta, rimane una figura enigmatica, il suo percorso sembra scollegato da una crescita autentica, destinato a smarrirsi nelle sfumature estetiche più che nei concreti dilemmi esistenziali che la sua storia avrebbe potuto portare sullo schermo. L’evoluzione del personaggio, invece di svelare profondità e sfaccettature umane, risulta statica e priva di una vera direzione narrativa.
Un’estetica ingombrante
La critica si è soffermata molto sull’aspetto visivo del film, sottolineando come l’eccessiva attenzione ai dettagli estetici possa aver compromesso la struttura narrativa di “Parthenope”. Sorrentino si distingue per la sua predilezione per inquadrature curate e composizioni visive impressionanti, ma in questa pellicola l’equilibrio tra forma e contenuto appare sbilanciato.
Nel lungometraggio si susseguono meravigliose immagini prive tuttavia di una chiara direzione narrativa, risultando quasi autocelebrative e scollegate dalla trama storica che intende rappresentare. A questo proposito rilevante è l’impiego consistente del rallentatore: se inizialmente incanta, progressivamente diviene monotono perdendo potere emozionale a causa dell’eccessiva reiterazione. La gamma cromatica adottata – principalmente azzurra e bianca – riprende i colori simbolici della città napoletana ma alla distanza risulta essere più un esperimento estetico anziché un valido vettore narrativo; sembra prestarsi a uno scopo decorativo piuttosto che fungere da elemento diegetico pregnante.
Pur ricche di forza estetica distintiva, le scene presentate nel film difettano spesso in sostanza, finendo talvolta per richiamare stereotipi tipici delle “cartoline” napoletane: falliscono dunque nel trasferire il denso patrimonio culturale-storico partenopeo. Lo zelo stilistico impiegato appesantisce “Parthenope”, dove questa qualità caratteristica nelle opere precedenti regalava equilibrio efficace e intrigante; qui vi è sovrabbondanza manieristica priva di compensazioni tramite robusta evoluzione sia narrativa sia dei protagonisti.
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- 🔍 Una riflessione sull'arte del cinema tra estetica e narrazione......
Dialoghi e frasi ad effetto
Un altro aspetto sottolineato negativamente dalla critica è legato ai dialoghi del film, che si attestano su un registro eccessivamente articolato, tendente al sentenzioso. Le frasi ad effetto abbondano, ma invece di arricchire il dialogo o definire meglio i personaggi, si manifestano come mere esibizioni di eloquenza, perdendo contatto con la realtà naturale della conversazione. I personaggi spesso si fanno portatori di aforismi che, più che fornire profondità al racconto, sembrano voler impressionare per forma stilistica, sacrificando però la verosimiglianza e l’efficacia.
Questa sovrapposizione di parole a effetto, senza un opportuno tempo di riflessione, finisce per impedire una connessione reale con l’audience, lasciandola spiazzata e a tratti anche annoiata. Emerge poi una tendenza al richiamo intellettualistico: le scene ambientate in università, teoricamente ideali per disquisire con profondità, si trasformano in terreno per dialoghi innaturali e pomposi.
La protagonista, nonostante sia presentata come un’accademica affermata, risulta paradossalmente meno credibile nei suoi interventi e pensieri, minando la coerenza dell’ambiente accademico raffigurato. L’abilità di Sorrentino di modificare il registro linguistico per riflettere le diverse ambientazioni si rivela purtroppo insufficiente, e il film non riesce a creare un contesto dialogico vivo e autentico.
I nostri consigli cinematografici
Alla luce delle criticità emerse con “Parthenope”, potrebbe risultare più gratificante rivolgersi ad altre celebri opere di Sorrentino.
È stata la mano di Dio (2021) di Paolo Sorrentino è un racconto semi-autobiografico che esplora l’infanzia, la perdita e la crescita nella Napoli degli anni ’80. Il protagonista affronta una serie di eventi tragici, tra cui la morte di un familiare, mentre cerca di trovare un equilibrio tra gioia e sofferenza. La regia ricca di simbolismi e la fotografia evocativa catturano l’essenza della città, mentre il legame con Maradona aggiunge una dimensione culturale che arricchisce il film.
L’uomo in più (2001), primo film di Sorrentino, racconta le vite parallele di due uomini: un cantante pop in declino e un uomo comune. Il film esplora solitudine, alienazione e crisi di identità, con un tono malinconico che si mescola a momenti visivamente lirici. Nonostante la sua semplicità rispetto ai lavori successivi, rappresenta già il cuore del suo stile, che fonde riflessioni esistenziali e critica sociale.
In Le conseguenze dell’amore (2004), Sorrentino perfeziona il suo stile esplorando la solitudine di un uomo misterioso che vive in un hotel svizzero. Il film combina thriller e riflessione profonda sul significato della vita, con una fotografia elegante e una colonna sonora evocativa. Il ritmo meditativo invita lo spettatore a riflettere sulle scelte e sulle conseguenze nella vita del protagonista, confermando il talento di Sorrentino nell’intrecciare introspezione e narrazione visiva.