Le tracce che hanno definito il mio 2011


Ed eccoci anche quest’anno col canonico listone delle tracce, non sappiamo se ci sia di meglio in rete ma probabilmente sì. Liberi quindi di affidarvi al vostro mentore, che sia la rivista in rete o Fiorello in prima serata.
Poche ma necessarie avvertenze: lasciate il gusto e la morale a casa, qui si va dal barbone che suona gli scatoli a Rihanna in bikini; escludiamo solo Trucebaldazzi col suo nuovo album, ma per semplici motivi gerarchici: lui è sopra tutti; come tutte le classifiche questa risponde del gusto degli autori, molte delle tracce sono piaciute, altre meno, ma comunque è condiviso il sentire in generale. Nel maremagnum delle catalogazioni qualcosa si perde sempre. Come l’anno scorso ho riposto nelle menzioni speciali le canzoni che rientrano un pò meno nelle tradizionali release, nei modi o nella tipologia. Ma l’essenza del listone risiede anche nella possibilità di recuperare o scoprire cose che si son perse durante l’arco dell’anno, sia per motivi di tempo che di svogliatezza.

Ah, buon inizio anno a tutti coloro che, in maniera irragionevole ed inspiegabile, ci amano e ci seguono.

 

Paul Jebanasam – Music for the Church of St. John The Baptist: Partiamo subito subito con l’ultima scoperta bomba prontamente segnalata. Paul Jebanasam, semisconosciuto compositore britannico, dal web associato alla colonna sonora del film Transformers 3, quest’anno compone l’album/traccia che Fluid Radio imposta come numero 1 assoluta dell’anno. E fa bene. Si tratta di una composizione nata per una chiesa del quattordicesimo secolo situata al centro di Bristol. Tra viola, violino, droni e rumori, qualcosa di assolutamente insolito sarà avvenuto lì dentro. Ma il live, per fortuna, adesso è a disposizione dell’intera umanità. Rilasciato solo in formato elettronico dalla Subtextrecordings. La copertina è un’enigma visivamente superbo (chi è quel frate incappucciato che si intravede?). Insomma, io mi ci vedo, seduto in questa chiesa medievale, che incomincio ad assistere a questa performance, gravida di voci e brusii, che accompagna il misticismo del luogo con droni possenti e ritorni di cassa, da Tim Hecker ai Sunn, arrivando fino alla tempesta e poi incominciando a cullare i fedeli con melodie degne di un giovane Arvo Part, in 25 minuti tombali da scandagliare fino all’ultima vibrazione sonora. Paul Jebanasam, tra i compositori più promettenti. Podio assoluto dell’esperienza musicale 2011. Qui il post precedente con alcuni links.

Austra – Lose it: ci sono pochi santi, se apprezzate i The Knife, l sogni di Fever Ray, la timbrica di Florence + The Machine, le melodie dei Bat for Lashes, quest’anno non potete trascurare l’uscita di un album debutto dai toni indietronic, darkwave, synthpop e capolavoro. Salvifico come l’acqua nel deserto e bello come un esercito schierato. E’ il debutto di questi canadesi (ed ultimamente il Canada gestisce partite musicali di buona qualità). L’album è prodotto da Damian Taylor (Bjork e i Prodigy) e al primo ascolto suona un pò stridente e con tratti di “già ascoltato”, ma dopo decolla. Avanzando nelle tracce dici tra te e te: “basta, speriamo sia l’ultima canzone questa che sto ascoltando, perchè per adesso sono tutte belle, altrimenti dopo vengono quelle brutte e anche questa volta son costretto ad ascoltare solo metà dell’album” ed invece no, porca miseriaccia, son tutte bellissime. Non provate a fermarvi a quest’unica segnalata. Le mie preferite: SpellworkHate CrimeShoot The Water.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/02-Lose-It.mp3]

Matana Roberts – Pov Piti: feci un errore comune, incominciai ad ascoltare questa traccia mentre stavo leggendo un articolo. Però, passati pochi secondi, ho subito spostato l’attenzione solo sulla canzone. Il motivo: urla, disperazione e sfoghi primitivi. Sono pochi secondi, dopo tutto rientra nei gangli. Idee per un giovane musicista che vuole sfondare: prendi questo minuto e facci uscire un album sano; non vincerai X-Factor però la mia stima + vitto e alloggio.
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Manu Delago – Check Track Eight Mate: artista scoperto grazie a questo video su youtube. Lo ha notato perfino Bjork, che nn ha aspettato molto prima di reclutarlo per collaborare in una canzone nel suo album Biophilia. La melodia portante è ripresa anche in Uplifted. Manu Delago usa l’hang, è un idiofono abbastanza conosciuto, che lui percuote con una grazia ed armonia che la prima della Scala può solo andare a raccogliere le noccioline.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/01-Check-Track-Eight-Mate.mp3]

Beirut – Santa Fe: Sign me up Santa Feeeeeeeeeeeeehhhhh. Velatamente bistrattato per un motivo che potrebbe essere totalmente valido: è indie. Zach Condon, anche se girovago ed innamorato di Parigi (e della musica balcanica di Boban Markòvic), è originario di Santa Fe, città del New Mexico dove mi piacerebbe passare qualche giorno e poi montare un video-ricordo inserendo questa canzone come soundtrack.
Infatti questa sembra essere una sua dedica personale al suo luogo natale. In questo live di Santa Fe la sua voce ricorda molto Paul Mccartney. Ah, non perdetevi nella maniera più assoluta e categorica il video della canzone, con significati filosofici che probabilmente non ci sono, ma che potreste trovare. Sign me up Santa Feeeeeeeeeeeeehhhhh, Sign me up Santa Feeeeeeeeeeeeehhhhhhhhhhhhhhhh…

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Class Actress – Keep You: la canzone con cui far partire il mondo, una storia d’amore, o semplicemente un album. Ho da mesi l’album di Class Actress sul mio iTunes di sorta solo per mettere in circolo Keep You quando ne ho voglia, rigorosamente in ripetizione almeno tre volte. In questo caso l’ascolto ripetuto sopperisce tutto il resto dell’album. Splendido il seguente video preso dal canale youtube di un certo David Dean Burkhart (iscrizione immediata) dove associa le fantastiche immagini a pellicola di Parigi anni ’70 del documentario Anna alle note di Keep You, non si può chiedere altro o di più, davvero non si puote:

Jeans Wilder – International Waters: per la serie degli album che passano in sordina, eccone un altro. Non scelgo la bella Sparkler, anche se meriterebbe un podio per il solo richiamare in me l’intramontabile, stupenda, calda e natalizia Pledging My Love di Johnny Ace, una delle mie canzoni preferite di tutti i tempi (stranamente scelta da Abel Ferrara per il suo Cattivo Tenente). Ma International Waters ha quel fetentissimo ritmetto incalzante che si presta immediatamente ad ulteriori attenzioni. Se all’ascolto non avvertite l’irrefrenaile bisogno di portare il tempo battendo un martello sulla vostra scrivania allora evitate di ascoltare il resto dell’album.
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Ellen Allien – Sun the Rain (Tim Hecker remix)

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Rihanna – Drunk On Love: per quanto possa impegnarmi nell’evitare una nuova esposizione, non c’è niente da fare. Mi sento costretto a citare Rihanna anche quest’anno.
9 notizie su 10 che la riguardano trattano, a ruota: nuovo look, concerto con cosce da fuori, gossip, bikini, foto erotiche, nuovo vestito vedo-non-vedo. In qualche notizia però si capisce che fa anche musica (fa o gliela fanno, qui non importa). L’estate scorsa è anche venuta in vacanza dalle parti dove abito (dalla terza foto si capisce che è una tipa romantica). Comunque, morale della favola, Drunk On Love è in classifica, il suo album non è malaccio, e qui si chiude la discussione.
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James Blake – Wilhelms Scream: il suo album debutto uscito agli inizi dell’anno ormai alle spalle, è stato da subito un successo clamoroso di critica e pubblico. Ed in effetti è difficile parlarne male dopo averlo ascoltato. Se cercate ulteriori informazioni sulla nascente commistione di musica dubstep e soul, in rete troverete tutto. Devo dire, con un pizzico di pedanteria, che tutto ciò che è uscito postumo al suo omonimo album, come si dice in gergo tecnico, fa parecchio cagare. Wilhelms Scream appare una scelta “istituzionale”, aggiungerei subito e senza incertezze la bellissima Limit to your Love.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/02-James-Blake-Wilhelms-Scream.mp3]

Moby – Victoria Lucas: questa è la mia recensione della canzone Victoria Lucas. Altre parole spese sono solo patatine di contorno.
(Bello e sintetico è il recente remix fatto da Iamamiwhoami su After)
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/02/03-Victoria-Lucas.mp3]

Raein – Nirvana: insieme a La Quiete i Raein sono il gruppo di spicco della scena italiana Screamo. Il loro album Sulla Linea D’Orizzonte Tra Questa Mia Vita e Quella di Tutti è TOTALMENTE gratuito. E sono queste le cose che mi fanno pensare che in questo mondo non tutto fila liscio. Nessuna politica errata del governo Monti sarà più grave del fatto che Laura Pausini vende parecchi album a pagamento mentre i Raein sono gratis. Nirvana è un’esplosione catartica di gioia e liberazione, probabilmente tra le canzoni (post)hardcore più belle ed emozionanti di quest’anno.
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Geotic – Get Held: Geotic, il progetto tutto personale e sperimentale di Will Wiesenfeld, meglio conosciuto come Baths. Alcuni bei pezzi davvero si trovano, in questo album composto in circa 3 giorni, mentre lui era in tour. Ed anche questo diffuso in maniera TOTALMENTE gratuita.
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 Kavinsky & Lovefoxxx – Nightcall: allora, diffidate e state lontani mille miglia dalle classifiche che non includono questa canzone al loro interno. Stiamo parlando di una canzone stupenda (prodotta da Guy-Manuel De Homem-Christo dei Daft Punk) che fa parte della colonna sonora del film Drive. Ci troviamo in territori a noi noti, synth, elettronica pura e vocoder, ma con punti di contatto con l’olimpo della bellezza. E il ritornello poi, è la disgregazione della staticità di cui sono fatti i nostri discorsi ordinari. Atmosfera di almeno 40 anni fa, tristess e abbandono, benvenuta nei nostri cuori. There’s something inside you; It’s hard to explain…

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/01.-Kavinsky-Lovefoxxx-Nightcall.mp3]

Africa Hitech – Cyclic Sun: prendete l’Africa, date a lei alcuni strumenti Hitech, ecco a voi Africa Hitech. Adesso, prima di ascoltare la canzone, prendere la vostra testa ed incominciate a predisporla per farla oscillare avanti ed indietro. Adesso Play.
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ASAP Rocky – Demons (prod. Clams Casino): ci ho pensato a lungo, ma credo che tutto sommato questa sia eleggibile canzone rap 2011. Però qui il limite sta nella matematica, perchè stiamo parlando del mixtap di ASAP Rocky (il cui album è atteso per il 2012) dove molte basi non sono composte dal primo cambusiere, ma da Clams Casino. Dunque, Clams Casino nel suo meglio + lo scoppiatissimo e fumato ASAP Rocky. Lui è dell’East Coast ma il rap che fa è il Dirty South, ossia quello molto ritmato del sud degli States (New Orleans, Atlanta, Houston) dove il mercato del mixtape è sempre stato il grimaldello per dar luce agli artisti che potevano solo aspirare a produzioni indipendenti.
Ordinata, fruibile, leggera, spaccacuore, Demons è quel che porta a scuotere le mani e a contare le battute, It’s ASAP nigga, live with it!

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/15-Demons-prod.-Clams-Casino.mp3]

Bill Callahan – Baby’s Breath: Bill Callahan, o anche Smog, non ha certo bisogno di presentazioni, e sicuramente non è qui che troverete informazioni su dove incominciare a conoscere la sua musica. Qui, semmai, troverete scritto che Baby’s Breath è la migliore canzone di Apocalypse. Senza voler trascurare America!, ma questa canzone è ciò che incarna l’anima dissoluta di Callahan, con tocchi di melanconia e tristezza assoluti, e poi c’è quel ritornello incalzante, in metonimia con una chitarra elettrica, di cui è difficile fare a meno.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/02-Babys-Breath.mp3]

Chris Watson – El Divisadero: Da ascoltare con attenzione ma anche da lasciare lì, come carta da parati, durante faccende quotidiane, Chris Watson con El Tren Fantasma. Album eterno per i feticisti dei suoni ferroviari. Finegarten ha commentato: “pensa che io stavo per ascoltarlo in treno! ma sarebbe stato troppo, ascoltare in treno i suoni di un altro treno”.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/04-El-Divisadero.mp3]

Cloudkicker – 7 – 14: la volontà di Cloudkicker di immergere l’ascoltatore nei più diversi stati d’animo è palese fin dalla copertina. Manco a dirlo, album gratuito. Le mie preferite, che ascolterei per ore ed ore, giorni e giorni, fino alla fine del calendario Maya, sono la 7 e la 14.
La cosa divertente è che se scaricate l’album, vi troverete la seguente foto in cui Cloudkicker consiglia come ascoltare al meglio il suo album: 

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Cloudkicker-Loop-07-7.mp3] [audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Cloudkicker-Loop-14-14.mp3]

 

Bon Iver – Towers: per Bon Iver, stesso discorso di James Blake. Arte, qualità e tutto. Ma qui citazione di una singola canzone superba e buonanotte ai suonatori. Pitchfork si è dato agli orgasmi ripetuti per lui. Eppure quella che più mi è piaciuta, Towers, davvero è la più breve e forse quella tra le meno ascoltate.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/04-Towers.mp3]

 Deaf Center – Hunted Twice: traccia conclusiva del loro album, il duo norvegese si è distinto per le bellissime atmosfere, tra il dark-ambient fitto di leggeri droni e la forte presenza del pianoforte. L’attesa è stata di 6 anni, durante i quali ognuno dei due compositori ha curato progetti solisti. Chi ha ascoltato Owl Splinters, si sarà accorto che il brano centrale dell’album è quello più rilevante, stiamo parlando di The Day I Would Never Have, un ammasso di distorsioni fluttuanti che irrompono nella parte centrale, sequenze di stasi e soffici pianoforte che calmano la tempesta. Hunted Twice si sviluppa con analoghi andirivieni, ma è sopratutto nella sequenza finale (dal minuto 2:50), che il sogno ci passa attraverso. Infatti i primi due minuti si possono assaporare come una gelida e cavernosa introduzione a ciò che ci attende.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/08-hunted-twice.mp3]

PJ Harvey – On Battleship Hill: il suo Let England Shake fu un vero abbaglio, di quelli che ti trascini per settimane fino alla lenta dissolvenza (è una bomba atomica, un cazzo di album che aspettavo da tempo perchè ho sempre odiato i suoi dischi d’esordio, e ho sempre pensato che “Stories From The City, Stories From The Sea” sia stato un grande passo avanti per l’artista). Ogni canzone del suo album è un potenziale singolo (ed infatti sembra esserci un video ufficiale per ognuna).
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/06-On-Battleship-Hill.mp3]

Puzzle Muteson – En Garde: cantautore islandese al suo debutto, che grazie alla spinta di Nico Muhly registra alcuni pezzi aggiuntivi (cinque) ad una sua vecchia demo e così trova la strada per far uscire l’album. Pur se l’album nella sua interessa risulta poco esaltante, ci sono momenti raffinati e toccanti. Personalmente ho amato molto Keyhole, ma è con tutta evidenza che è il singolo En Garde a far da timoniere per tutta la baracca. Qui un video.
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Richard Buckner – Collusion: e con soluzione di continuità chitarristica, presento quello tra gli autori più sottovalutati quest’anno. Richard Buckner, portatore sano di alt-country, folk e americana, dall’aspetto trasandato e da nativo d’america, molto triste, intimista ed introverso nei versi e nella musica (con un volo pindarico tra i generi, mi torna in mente la buon anima di David Foster Wallace).
Chi oggi perde la testa per Bon Iver, deve prima omaggiare Buckner come si va alla Mecca, ed infatti è proprio Justin Vernon in un’intervista a definire Buckner il suo grande ispiratore.
In merito, Our Blood non è un prodotto per tutti i palati, il cantautore si fà più oscuro e si allontana sempre più dalla “vulgata country”. Alcuni tratti leggermente depressivi portano questi brani lontano dall’entusiasmo e dalle mamme felici.
Ne ha scritto bene Pitchfork, ma solo perchè ispira Bon Iver, altrimenti col cazzo. Traitor, il brano d’apertura è di una forza espressiva deflagrante, Ponder è un paesaggio desolato, e Collusion è semplicemente ciò che mi ha tenuto compagnia per molto tempo in ogni circostanza.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/04.-Collusion.mp3]

Stranded Horse – Shield: Stranded Horse è un ragazzo francese che usa la kora, un cordofono usato dalla popolazione mandinka dell’Africa occidentale. Canzoni che ricordano da vicino Josè Gonzalez. Artista dentro gli schemi, ma da segnalazione istituzionale.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/02-Shields.mp3]

R.E.M. – Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I: Sì, i R.E.M., perchè è una canzone che mi ha preso da subito. Nonostante lo stato agonizzante dello storico gruppo, qualcosa si muove ancora. L’impressione di avanzamento per inerzia di questi grandi gruppi purtroppo si fa sempre sentire, prima o poi. Quindi ci accontentiamo di quelle poche note sparute che spuntano belle come in un giardino incolto.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/11-Me-Marlon-Brando-Marlon-Brando-and-I.mp3]

The Field – It’s Up There: Axel Willner non ha risposto ad un mio messaggio e quindi ero quasi intenzionato, per ripicca, ad estradarlo dalla classifica personale. Però insomma, non sarà certo questo sito a tirarsi indietro, e che vada a buon fine anche la santificazione del nostro ormai caro Campo.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/08/02-The-Field-Its-Up-There_DEU671100156.mp3]

The Weeknd – Rolling Stone: 2011 all’insegna della prolificità per i Weeknd. Prontamente segnalati sul blog con annesso ascolto free, ma era difficile strare dietro alle loro tre o quattro uscite ogni semestre. Si segnala anche una recentissima cover lussuriosa di Dirty Diana di Michael Jackson, twittata da Ben Frost, della serie segnalazioni che non ti aspetti. Ad ogni modo, Rolling Stone è un qualcosa di banale, ritrito, solito giro di chitarra in loop e voce gay che persino Signorini avrebbe vergogna a presentare. Insomma mi piace. Weeknd continuate così, però datevi un limite, chessò, un album all’anno o un EP ogni sei mesi. Manderete Pitchfork sulla strada però almeno riuscirò a seguirvi.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/07-the_weeknd-rolling_stone.mp3]

Gnaw Their Tongues – Urine Soaked Neophytes: l’anno scorso L’Arrivee De La Terne Mort Triomphante ci trascinò in un abisso senza fine. Quest’anno il piacere del malefico, dello straziante e dell’infernale si è ripresentato sotto i nostri occhi. Gnaw Their Tongues, un olandese che produce esattamente la musica che i nostri genitori non vorrebbero che ascoltassimo. Drone? Black Metal? Noise? Industrial? No, il genere che più descrive Gnaw Their Tongues è “Gnaw Their Tongues”.

Xiu Xiu – Only Girl (In The World) (Rihanna Cover): Solitamente io non provo molta stima per i pervertiti maniaci stralunati violenti dalla dubbia sessualità. Ma con Jamie Stewart faccio eccezione. Piccolo capolavoro di EP costituito da due canzoni: la cover di Rihanna Only Girl (In The World) e Daphny. Come trasformare una normale canzone mainstream in un meraviglioso incubo. Xiu Xiu unici al mondo.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/02-Xiu-Xiu-Only-Girl-In-the-World.mp3]

Blanck Mass – Chernobyl: ottimo album dal progetto solista di Benjamin John Power (ossia metà Fuck Buttons). Carl Sagan, Ennio Morricone e natura dell’infinito. Qui le ugualmente spaziali Sundowner e Fuckers.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Blanck-Mass-Chernobyl.mp3]

Dirty Beaches – Lord Knows Best: uno dei fenomeni dell’anno, Dirty Beaches, il nostro Elvis drogato di origini Taiwan. Lord Knows Best, “un pezzo ipnotico e malinconico interamente basato su un clamoroso sample di piano tratto da una canzone degli anni 60 di Francois Hardy“.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Dirty-Beaches-Lord-Knows-Best.mp3]

Chemical Brothers – Marissa Flashback: colonna sonora del film Hanna, traccia che colpisce per classe e bellezza. Non abbiamo aspettato molto prima di ascoltare qualcosa di nuovo dei due fratelli. Da segnalare assolutamente la “vocal version” del tema. Ed ecco che magicamente i film ci piacciono sempre di più quando troviamo la musica giusta.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/08/09-Marissa-Flashback.mp3]

TotalSelfHatred – Apocalypse: anno loffio sul fronte del depressive black metal, ma i TotalSelfHatred per fortuna non sono stati fermi. Anche se non è il puro genere “depressive suicidal black metal” di quelli che pensano solo a morire ma poi convengono che è meglio posticipare la morte di qualche minuto, il tempo di ascoltare un pò di buon depressive black metal (ricordate When Mine Eyes Blacken?). TSH riesce a coniugare black metal, melodie fruibili e depressive. Apocalypse è l’apertura. Buona entrata negli inferi.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/01-totalselfhatred-apocalypse.mp3]

Damian Valles – Bird’s Mouth: vista la natura, Fluid Radio lo ha subito sdoganato. Valles, è canadese, e mastica lo stesso materiale di Tim Hecker ed Aidan Baker. Bird’s Mouth è una traccia che non passa inosservata, con il suo senso di nostalgia e i suoi lancinanti passaggi di chitarre e pianoforti. La strada è lunga, ma l’inizio è promettente alquanto.

Úrsula – Teoría del sufrimiento: l’album degli Ursula l’ho ascoltato per un intero anno, ma, non so per quale motivo, non mi è mai venuto in mente di elogiarli, santificarli, segnalarli o scriverci un articolo. Eppure, tra Humildad y pacienciaUn final decepcionante, e tutti gli altri titoli in spagnolo, mi è stato garantito un sollievo costante mentre studiavo, lavoravo o viaggiavo. Teoría del sufrimiento è solo emblema del tratto leggero, tra l’ambient e slowcore, che si ripercorre per tutta la lunghezza dell’album e che trova diversificazioni più o meno significative. Per cui è consigliato l’ascolto dalla prima all’ultima, senza eventuali cesure. Ah, come avrete subodorato, è un gruppo che non è molto conosciuto nel mondo, tanto per capirci, hanno solo 7 messaggi sulla bacheca last.fm.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/03-Teoría-del-sufrimiento.mp3]

Crystal Stilts – Dark Eyes: E dopo droni imponenti, silenzi epici e rumori di treni che fanno volare il cervello, alla fine forse uno dei pezzi dell’anno è una canzone semplice semplice di un gruppo indie-rock newyorkese, manco fosse il 2001, quando gli Strokes sembravano i nuovi Beatles e le torri gemelle apparivano ancora nei film d’azione. Una canzone semplice e bellissima, acida e trascinante il tanto giusto, e cioè molto. Una di quelle che per non tenere il ritmo devi cementarti i piedi a terra. Dei Crystal Stilts avevamo già apprezzato almeno due canzoni del loro album d’esordio del 2008 (e cioè Prismatic Room e soprattutto Graveyard Orbit, forse a oggi il loro capolavoro), apprezzandone le atmosfere retro e il gusto per il riverbero, per poi ignorare totalmente l’album del 2011 e curiosamente innamorarci di questa Dark Eyes, proveniente dal recente EP Radiant Door.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Crystal-Stilts-Dark-Eyes.mp3]

Andy Stott – Dark Details: uno dei commenti più sintetici ed appropriati che ho letto è stato: “10000 feet deep”. Si rivolgeva alla canzone New Ground, ma è applicabile tranquillamente a tutto l’album dell’oscura e conturbante techno-dub di Andy Stott.
La copertina dice tutto. Qui si va veramente giù, in profondità. Si affonda in abissi neri, disperati e allo stesso tempo eccitati, come con le droghe più pesanti. Si consigliano volume alto e cuffie di qualità.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/11/05-Dark-Details.mp3]

John Maus – Believer: Una specie di Ariel Pink dark anni 80? Ma sì, una specie. A un primo ascolto si resta shockati. Al secondo diventa una perla. Al ventiduesimo ci si inizia a fare certe domande, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Ormai si è catturati dall’enfasi melodrammatica e dalla disperazione liberatoria. Tag: post-anni80. Da segnalare anche l’appropriato video ufficiale.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/John-Maus-Believer-Official-Video1.mp3]

Dusty Kid – Chentu Mizas: il folletto sardo ci ha emozionato quest’anno, a suon di cassa squaternata e battiti stroboscopici. La sua smania è fare musica da rave ma con una “visione romantica” ha dato vita ad un album eterogeneo nei contenuti (ok per la techno, ma quella kosmische? E quell’ambient? E la sparuta vena pop?), assolutamente fuori dagli schermi della discoteca commerciale, e probabilmente dedicato alla sua regione natìa, come dimostra il trailer. Chentu Mizas è la canzone più canonica e spendibile dell’album, ma che risplende per la sua freschezza e brillanza, che attraversa una costa marittima e gli occhi di un pastore seduto sulla roccia ad attendere il pascolo.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/04-Chentu-Mizas.mp3]

Florence + The Machine – Spectrum: l’album 2011 di Florance + The Machine è costellato di canzoni da urla con intarsi di schifezze pop. Il fastidio risiede nel fatto di dover ascoltare un album con la pazienza di dover cliccare avanti ogniqualvolta si presenta il brano indesiderato. Ma la rossa cantante dalle gambe non sottovalutabili riesce a sfornare cose magiche pur nella loro coralità ridondante: What The Water Gave Me, costituzionale e trascinante, No Light No Light, tra il sacro ed un peccato di grancassa, Heartlines, viaggio strillato sola andata verso il cuore. Ma è forse con Spectrum che si condensa tutto il modo accattivante di essere “Florance con la macchina”: cantato scosceso che poi ritorna sui passi, timpani che marciano senza una fine, melodia selvaggia, arpa da sotto ed emozione al primo colpo. Florance, che tu possa essere benedetta, con qualsiasi detergente.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/10-Spectrum.mp3]

Gotye – Somebody That I Used To Know: patti chiari, è senza dubbio la migliore canzone dell’album. Adesso non ci rimane capire quanto sia bella. L’ho ascoltata tramite la visione del video ufficiale (dove, mistero, si trovano una caterva di commenti polacchi). Lui sembra un tipo senza pretese, ma in realtà non lo conosco, quindi sembra innanzitutto un tipo. Talvolta anche un pò nervoso o disadattato, come in questo live dove è apprezzabile malgrado non acchiappa qualche nota (diverso questo in studio, dove i commenti fanno notare che la cantante stava facendo un sandwich e la Polonia ama questa canzone, il mistero si infittisce).
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/Somebody-That-I-Used-To-Know.mp3]

Jacaszek – Evening Strains to be Time’s Vast: quanto siete pronti ad accogliere dei droni monolitici e possenti? Quanto può essere potente un polacco con strumenti analogici e un ritorno di cassa? Per conoscere la risposta dovete ascoltare Jacaszek. Trattandosi di droni possenti e gratuiti Fluid Radio non poteva che infilarlo nella classifica e recensirlo. L’esperienza di questa canzone è abbastanza unica, ma l’album si contraddistingue anche per altre strade, dove il compositore usa suoni di musica barocca. Per capirci finalmente qualcosa qui ci sono gli ascolti, e qui un magnetico live mistico.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/04.-Evening-Strains-to-be-Times-Vast.mp3]

Nocow – Moonlight Flit: andiamo a ritroso, qui c’è l’ultima canzone di questo tipo, Nocow, autore di cui si conoscono pochissime informazioni se non che fa musica dubstep. A quanto pare Burial fa proseliti, ma questo suo figlio è degno di essere ascoltato. Difficile capire quale sia la migliore dell’intero album, quale la più ascoltata, quale la più meritevole. Con franchezza, penso che ancora per un pò di tempo mi lascerò cullare dalla conclusiva The Gill e dalla sognante Long Way Home. E Moonlight Flit è un sorvolare i misteri del piacere uditivo. Insomma, da scoprire, senza troppi se e senza troppi ma.
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Jamie Woon – TMRW: appena ascoltato Mirrorwriting ho subito pensato “Ah, finalmente un degno sostituto di James Blake che sta monopolizzando un pò tutte le discussioni”. Non aspettatevi nulla di innovativo, stiam parlando di un bravo cantante britannico con basi elettroniche e dubstep (in Night Air c’è la produzione di Burial, riuscite a sentire le sue vocine?) sulla falsariga di Blake. Ma alle spallucce di alcuni recensori che invocano un’impronta pop ed una facile leggibilità (“può essere ascoltato da chiunque”), io rispondo che me ne sbatto il piffero che Woon possa essere apprezzato anche dalla casalinga di Voghera o di Treviso, è già impostato ad alto volume sul mio iPod vecchia generazione.
Di seguito anche il bellissimo video di Lady Luck.
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Metronomy – Corinne: segnalati tramite un post triviale, Corinne non è una creatura che esce facilmente dalla testa. E’ una sfida elettronica contro il battito regolare che ci domina. Da assumere rigorosamente prima dei pasti e non più di una ventina di volte al giorno. Qui un live acoustic.
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Ólafur Arnalds – Ágúst: Stiamo parlando di Living Room Songs ad opera del compositore islandese Ólafur Arnalds, quello che non avrei ostacoli a definire l’EP o quantomeno, uno dei migliori EP dell’anno.
Ottobre 2011, una settimana intera nella sua stanza dell’appartamento a Reykjavik, una canzone al giorno. Composte e pubblicate subito for free e con annessi video. Operazione molto semplice quanto di fulminante bellezza.
Living Room Songs eccelle perchè nella stanza c’è tutto quello di cui Arnalds aveva bisogno, ma le note che ascoltiamo è anche tutto ciò che potevamo aspettarci: il suo pianoforte, vero amore ed anima della sua musica, le onde degli archi, linee di violoncello armonico e, infine, una parte di elettronica che sembra non stonare assolutamente (ascoltare Near Light per rendersene conto). Ma ciò che rende uniche queste 7 canzoni sono il loro livello di intimità, la produzione ed il legame con la stanza e con tutto ciò che nella stanza propaga onde sonore. Arnalds non taglia fuori nessun rumore o suono che oggi possa essere ritenuto spurio: il rumore della sedia che si muove ed ondeggia, crepitii dei mobili della stanza, scricchiolii del pedale del pianoforte, tutto concorre nell’immergerci in questa esperienza unica.
Non perdetevi nulla di queste sette tracce, ascoltatele, chiudete gli occhi e poi fate quel che volete. Basta poco per essere sotterrati da Ágúst o per morire con tutta calma dopo il finale The Place Is A Shelter. Se Ferdinando ne La Tempesta di Shakespeare diceGrande spazio è per me la mia prigione”, Ólafur Arnalds può dire “Grande spazio è per me la mia stanza”.
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Petrels – Winchester Croydon Winchester: Hey Mattia,
Thanks a load – awesome that you took the time to do it. Puts the track in a completely different light for me too!  A bit more strangely I was actually watching that same footage at the Imperial War Museum on Saturday before coming home and seeing yours – weird synchronicity…
Anyhow, thanks again!  Hope all’s good with you.

Iron & Wine – Your Fake Name Is Good Enough For Me: forse non era l’album clamoroso che doveva esser fatto da Iron & Wine. Che meritava esser fatto. Ma delicatezze del suo stile conosciuto pur ne troviamo, si veda Monkey Uptown. Ma ciò che toglie il fiato è sicuramente la traccia più lunga dell’album, quella finale, tra l’insolito, il progressive ed il bellissimo.
Un balletto pieno di percussioni, tromba e corifeo. Ritmo e spensieratezza. Ma verso ill minuto 2:30 le carte in tavola cambiano, qualcosa accade: incomincia un epico e brillante percorso, un ritornello vocale ripetuto, una sorta di elenco con tutte licenze poetiche, poi sorretto dal coro, dalla batteria che si evolve, poi ancora da voci femminili, poi i bpm aumentano e le voci si sovrappongono (We will become, become, Become the weary and the wild, We will become, become, Become legions and doubt, We will become, become, Become the whisper and the shout), le chitarre incontrano distorsioni e tutto volge verso un fine.
Non è dato sapere quanto sia appropriata a questo mondo. Non c’è nulla fuori posto, nulla che manca, direi “perfetta” se non avessi abolito questo termine anni fa. Anche quest’anno il nostro barbuto ha irrorato dolcezza e suadenza che tolgono il fiato e scuotono ogni arteria sensibile del nostro corpo, oramai disarmato, che cade, come corpo morto cade.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/10-Your-Fake-Name-Is-Good-Enough-For-Me.mp3]

Tim Hecker – Sketch 9

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2012/01/09-Sketch-9.mp3]

 

 

MENZIONI SPECIALI

Shaula – The Girl in the Clock: premio per il miglior artwork e packaging, che viene spedito in edizione limitata in una delle cinque versioni a caso. Sembra un pezzo di antiquariato con intarsi barocchi e illustrazioni di un immaginario medievale. Ah, anche la lunga traccia non è male.

Madeon – Pop Culture: qui il video. Nella descrizione trovate la lista di tutte le canzoni usate.

The Residents – In An Ugly Mood: è una vecchia ma stupenda canzone dei Residenti comparsa in una compilazion del 2006, qui resa visibile con un bel video grazie al canale therezident.

The Flaming Lips – Strobo Trip: disco totale dei Flaming Lips, o uno dei tanti.

Marconi Union – Weightless: quella che per alcuni scienziati, è la canzone più rilassante.

Glouch project – Sunn O))) meets Huun huur tu & Bulgarian Voices

The Whalesong projectcanti delle balene, registrati ed in tempo reale, dalle Hawaii.

E dall’universo marginale di Guylum Bardot, per adesso è tutto! En salut!

6 thoughts on “Le tracce che hanno definito il mio 2011”

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