Musteri Hinna Föllnu Steina

Negli ultimi due mesi ho passato molte notti insonni. Insonnia del peggior tipo: quella che ti fa addormentare e dormire come un bambino fino alle tre o quattro del mattino e poi, esattamente come un bambino, ti svegli disperato e frignante, in preda al terrore. Vorresti urlare e farti abbracciare da mamma, ma mamma non c’è e se urli i vicini chiamano la polizia. Quindi non chiudi occhio fino all’alba, e nemmeno dopo. Finché, o ti alzi e ti avvii a una giornata da zombie dove l’unico scopo sarà gonfiare e sgonfiare i polmoni con una certa frequenza e tenere stabile la frequenze ritmica del battito cardiaco, oppure crolli esausto e pensi di morire. Ma non muori, perché un’ora dopo controlli l’orologio, sono le otto del mattino e non sei morto. Le otto, non a caso il numero che se rovesci rappresenta l’infinito, l’infinito cacamento di cazzo di vivere, come direbbe il faraone. E’ più o meno come in quei film dove viaggi nel tempo e a te sembrano passati solo venti minuti e invece per gli altri sono passati vent’anni, però al contrario e con molte sigarette in più. Il resto del mondo si sta svegliando, mentre tu sei di ritorno dal Vietnam e il tuo sguardo è cambiato. Gli altri non possono capire, loro sono andati a letto, dormire, sognare, forse scopare: poi si sono alzati ed era un’altra giornata, si amavano, lavoravano, giocavano e vivevano e tutto era bello perché se Mary è accanto a te ti senti un re. Ma tu sei solo e fermo all’interminabile giornata di prima, in un’oscura bolla spazio-temporale, lontano da tutto e schiavo dell’entropia perché Mary non c’è, è andata via, Mary non è più cosa mia. E in molte di queste notti, a dire la verità in quasi tutte, quando mi svegliavo mettevo subito le cuffie e accendevo la musica per evitare di sentire il Terribile Silenzio che a quell’ora, tre o quattro del mattino, è l’incubo peggiore che l’essere umano possa immaginare da sveglio. Il disco era sempre lo stesso. A volte seguivo l’ordine dei pezzi, a volte attivavo la modalità casuale, ma credo di aver sentito il disco Musteri Hinna Föllnu Steina più di quanto abbiano fatto i loro stessi autori. La citazione è ormai troppo sputtanata, lo so, però era veramente un dolce naufragare in questo mare, un gorgo oscuro di droni, echi di treni in mezzo alla nebbia, pulviscolo atmosferico, pianoforti fantasma e mostri della laguna grigia dallo sguardo gentile. In breve in questo disco è diventato la colonna sonora del mio cervello, quell’accogliente bolla spazio-temporale dove accucciarmi e resistere in attesa dell’alba. Ora, io non so come renda questo disco in condizioni normali. Non sto dicendo che si possa ascoltare solo alle tre o alle quattro del mattino come arma contro il terrore notturno. Non dico questo. Ma senza dubbio richiede un certo isolamento temporaneo dal mondo degli uomini. Notte, eventualmente. Cuffie, senza dubbio. E fate attenzione alla testa, nel tempio delle pietre che cadono.

(immagine da Sardegna Abbandonata)

2 thoughts on “Musteri Hinna Föllnu Steina”

  1. non dico di aver vissuto cose simili alle tue, perchè in fondo ognuno ha il suo modo di stare male. La banalizzazione del dolore di Mary che se ne va è forse una delle più grandi invenzioni della musica pop. Quello stesso dolore, se fai tanto ad arrivare a mettere giù due accordi in scala maggiore, ha un sapore diverso. Non nei ricordi (quelli più o meno fanno cagare come la realtà) piuttosto, agli occhi degli altri, le canzonette aiutano almeno a parlarne.

    Che è come dire, provo a condividere qualcosa, anche se poi non ci riesco o anche se poi non è possibile per colpa dell’incompletezza del nostro linguaggio che si fonda sulla presenza di concetti già “imparati” in coloro che ascoltano.

    il linguaggio che “insegna” è cosa rara, e di certo uno al limite del dolore non sta ad insegnare, gli basta sopravvivere o meglio arrivare al giorno dopo.

    Ai giorni miei, quando (credo) ho vissuto cose simili (non uguali, preciso) stavo male, così male che poi mi hanno fatto presente a gran voce (la famiglia) che dovevo andare dallo psicologo. Ovviamente poi tutto a me è sembrato come una decisione mia (mel’hanno venduta bene), il fatto però è che la mia presenza al cospetto dei sommi raddrizzatori del pensiero era stata organizzata.

    questo è quello che ho imparato:

    Il concetto base è sopravvivere, cioè: passare oltre agli errori altrui. perchè in fondo, il cuore è bravo a mettere una pezza sui propri errori (mi perdono molto alla svelta). sono quelli degli altri che non so accettare, che mi restano in cuore come ferite aperte. La cosa bella del cristianesimo è quando parla di questo genere di accettazione, che se non altro aiuta ad andare avanti, piuttosto che rimanere chiusi negli 8 o nei loop (che poi, quando i loop son quelli di “the field” in fondo ci vanno bene lo stesso) però insomma all’epoca, vivevo in casa con questa famiglia che dal mio punto di vista aveva commesso errori, e non accettandoli mi ero chiuso nell’immobilità, nella procrastinazione, nelle ore piccole, nel cinema, negli antidolorifici naturali (seghe, ovvio, mai sport, quello era già troppo), nel sonno, nel rimandare il rimandabile, nella fuga mentale, nel pensare che io ero predestinato a ben altro, nell’essere depresso, diciamolo.

    la suddetta famiglia, complice forse il senso di colpa che riuscivo ad instillare, sentendosi in dovere di sopportare ad oltranza, sopportava ad oltranza. non mi dava spintoni, nè colpi, nè morali. mi lasciava lì in camera mia, mi dava un pasto ed un tetto, mi lavavano i panni.

    questo è quello che mi hanno insegnato gli psicologi: rifiuta ogni tipo di sostegno “pratico” della famiglia: hai 20nt anni, sei adulto. non esiste che ci sia qualcuno che ti lava i panni. Esci di casa, lavati i panni da solo, sii un membro utile della società invece che una sanguisuga (quale stai diventando).

    il calcio emotivo è stato forte, avevo capito il messaggio, la dipendenza era la stessa cosa che mi teneva immobile. avevo giusto internet per “evadere”, per conoscere e fare.

    tornato a casa, dopo le sessioni di psicologia (che erano molto diverse da come le avevo immaginate) ho iniziato a lavarmi i panni da solo, qualche volta mi facevo anche da mangiare da solo. e soprattutto, ho smesso di lamentarmi di fare qualcosa per gli altri. avevo capito che dovevo essere questo elemento utile. poi per andare ad abitare da solo, con le mie forze ci ho messo… quanto…? 3 anni? 5… non saprei. non credo sia importante. Tutt’ora non abito da solo (anche se adesso la famiglia l’ho fatta io).

    La cosa bella di farsi le cose da solo è che c’è meno tempo per lasciarsi andare agli oblii. c’è la stanchezza che tiene addormentati la notte, ci sono le responsabilità a tenerci svegli di giorno, ci sono cose da fare e ogni tanto si accende anche qualche soddisfazione (solo quando si riescono ad inserire le figate nell’elenco di cose obbligatorie).

    ovviamente, queste sono cose che ho imparato io, e che mi sono servite per allungare di qualche anno la mia data di scadenza, che stando al buio e senza aria si stava avvicinando sempre di più, così come la muffa funziona meglio in certe circostanze, la marcescenza psicologica in fondo è simile.

    non è finita. a distanza di anni i miei spettri ogni tanto tornano ancora a bussare, a volte li accolgo da solo, a volte mi isolo e faccio male al resto della famiglia (Che magari ha bisogno di me).. a volte è questa stessa famiglia che mi aiuta a trovare qualcosa di sensato da rispondere al sommo esattore.

    Cerco comunque di tenermi i miei panni separati da quelli altrui, lavo i piatti e condivido volentieri le cose che porto a casa da mangiare, la musica, quella è più difficile da condividere, prima o poi ci arriveremo, qualche nota si alza nell’aria, e qualche volta riesco anche a togliere le cuffie, in generale però è solo la mia strada non la tua, quindi forse tutte queste parole ti saranno inutili, però direi che ci sono alcune “basi” forse utili, badare a noi stessi e far consumare dalla fatica qualcosa che domani sarà utile piuttosto che ore notturne o lavorative.

    ah, il lavoro.

  2. ah cazzo, questo commento dovevi metterlo in un altro post di un altro blog, ma quel post non l’ho mai pubblicato, sebbene avesse un titolo e un incipit bellissimo (prima o poi però lo farò): ci sarebbe stato molto bene. ma ci sta bene lo stesso, ci tengo a precisare che il disco di cui sopra è uno dei più belli mai sentiti e non sto esagerando.

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