Cento campane stanno a dì de no (un post pop dove si parla di post-pop)

A Sufi And A Killer. Come Ten dei cLOUDDEAD, questa meraviglia di Gonjasufi fa parte di quella categoria di album pop che suonano misteriosamente nuovi (casi recenti: MIA o Burial). Non a caso anche questo viene da uno che faceva hip-hop, ma ora è chiaro che fa qualcos’altro, qualcosa di molto bello. Elettronica, musica indiana, spiritual e pop lo-fi, alla luce dei neon del Mojave. Prodotto da Flying Lotus e psichedelico come un istruttore di yoga di Las Vegas,  è difficile resistere. Disco dell’anno.

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Gonjasufi – Kowboyz and indians

Damon Albarn mette per un attimo da parte i deliri (da noi apprezzatissimi) in cinese mandarino e tira fuori il migliore album dei Gorillaz. “Plastic Beach” è ricchissimo & straripante, e praticamente ogni pezzo è una potenziale hit.  C’è una continua sensazione di già sentito, ma forse perché è una summa di 30 anni di pop e altre cose. Disco dell’anno. Nella foto, Damon Albarn con Ray Davis, purtroppo non presente nell’album dei Gorillaz.

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Gorillaz – On Melancholy Hill

E a proposito, siccome è indubbio che in molti gli siano debitori (Vampire Weekend solo i più recenti), consiglio di ripassare l’intera discografia di quel genio di Paul Simon partendo dal primo album, passando per Graceland e atterrando sul gioiello The Rhythm of the Saints, forse il mio preferito. Sicuramente disco dell’anno. Nella foto, Paul Simon con Michael Jackson.

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Paul Simon – The Obvious Child

E ora qualcosa di completamente diverso. Questa è la sigla del capolavoro Rai “Il segno del comando”, sceneggiato del 1971 magico ed esoterico. E’ una canzone romana scritta da Fiorenzo Fiorentini e ripresa da Romolo Grano. Esistono anche una versione successiva di Lando Fiorini, un po’ più allegrotta e scanzonata, e una cantata dal norvegese Stein Ingebrigtsen, ma io preferisco quella della sigla Rai, con la voce di Nico dei Gabbiani. Nella foto, Nico dei Gabbiani con il papa.

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Nico dei Gabbiani – Cento Campane