Perchè ci piace la musica? (Parte 1)

(aggiornato il 25/5)

Con questa brevissima serie di post cercherò di affrontare lo sforzo immane di essere chiaro ed esplicativo circa le dinamiche sottese al nostro atavico piacere dell’ascoltare musica. Ometterò molti interessanti particolari teorici che, però, troveranno spazio magari in seguito o in testi segnalati.

Dunque, perchè ci piace tanto la musica?
Un paio di anni fa mi rimase impressa una notizia. Alla maratona di New York fu vietato l’uso di ipod o walkman. Questo perchè avevano notato che gli atleti che indossavano le cuffie, mediamente,  risultavano maggiormente performanti e rendevano di più.

Il senso che vede come organo principale l’apparato uditivo, è quello più “diretto” nel percepire un movimento, che avvenga ad una certa distanza o meno. Cosa intendiamo per “diretto”? Potremmo prendere come esempio il comportamento di molti animali, ma pensiamo semplicemente all’ambiente in cui l’uomo di molti secoli fa (partendo dall’Erectus) avanzava per sopravvivere. Le esperienze erano molteplici, varie, inaspettate, e talvolta imprevedibili. In generale, il “trauma” nel riconoscere un rumore o nuovi suoni ambientali, è solo iniziale. Lo stesso rumore, successivamente, sarà già tradotto dal nostro organismo con l’associazione ed una referenza. Un forte rumore tuonante può “direttamente” (senza una serie di scuotimenti terzi in cui ci si arriva tramite un diverso lavorio) trasmetterci emozioni come ansia, paura, proprio perchè quel rumore-immagine, in una passata esperienza, presumibilmente, precedeva l’arrivo di una moltitudine minacciosa di animali (ecco perchè, probabilmente, una canzone ci fa “godere” maggiormente solo negli ascolti successivi al primo).
Il rumore ambientale stimola in modo diretto il nostro organismo e, in relazione a questi “movimenti”, il senso dell’udito fa sì che il nostro corpo possa essere reattivo e immediatamente rispondente (con stati successivi acquisiti dalle conclusioni sulla totalità delle cose percepite, come la tranquillità e il totale riposo). Un gatto che esplora una zona di caccia si immobilizzerà all’istante al solo rumore di un rametto che si spezza.

Ritornando all’episodio della Maratona di New York, “alcuni scienziati teorizzano che ci sia un collegamento tra musica e movimento, e per dimostrare che evolvono insieme, all’università canadese di McMaster, ne hanno provato gli effetti sui neonati, scoprendo nei bambini di sette mesi dei legami multisensoriali tra il sistema dell’udito e la parte motoria. Il direttore dell’Institute for Music and Brain Science di Harvard, Mark Tramo, era un musicista rock professionista prima di fare medicina e si convinse del legame tra musica e risultati quando vinse i 100 metri al liceo ripetendosi nella testa “Brown Sugar” dei Rolling Stones” (link).  Argomentando sulla forte corrispondenza e contiguità tra suono e movimento, è d’obbligo un riferimento che subito mi si è acceso in testa, alludo ad un intervento di John Dewey, nel 1938, ad una conferenza tenuta presso la famosa Washington Dance Association:

[..] Suppongo che alla maggior parte degli studiosi delle arti sia noto che la danza, nella sua connessione con la musica, col canto, con la pantomima e quanto meno con alcune forme di arte plastica nelle decorazioni sceniche, si colloca alle origini di tutte le espressioni artistiche. Ma i figli sono spesso ingrati. Anche se non lo sono di proposito, crescono, maturano e si rendono indipendenti, tracciano la propria strada e si dimenticano di chi li ha messi al mondo. Ciò vale per il dramma, per la poesia, per la musica strumentale, per il disegno e le rappresentazioni plastiche. Tutte queste cose erano in origine strettamente associate alla danza, ma quando vennero a maturità ovviamente affermarono la loro indipendenza. Avevano bisogno di svilupparsi ciascuna a suo modo, e certo deve dirsi che lo scenario delle arti sarebbe stato molto più limitato e povero se ciascuna di esse non si fosse sviluppata e non fosse giunta a maturità in base a principi suoi propri.
(LA FILOSOFIA DELLE ARTI, di John Dewey, vecchio articolo apparso su una rivista filosofica.)

Per quanto concerne l’osservazione sullo stimolo ed eccitazione, a cui l’articolo fa più volte ‘occhiolino’, è stato constatato, dati i rilevamenti del tasso, che con l’ascolto aumenta la produzione di dopamina nell’organismo. 

La musica produce una risposta a tutti gli effetti chimica, grazie alla quale i circuiti nervosi interessati aiutano a modulare i livelli di dopamina, il cosiddetto ormone “del benessere” nel cervello. Proprio come avviene per il sesso e alcune droghe” (link). In proposito posso consigliarvi la gustosissima lettura del libro dello studioso Daniel Levitin (che trovate, curiosità, anche su Facebook) intitolato FATTI DI MUSICA.

John Dewey, celebre filosofo americano, poco conosciuto sia in ambienti scolastici che accademici, in uno dei suoi grandi lavori, ART AS EXPERIENCE (nell’ultima traduzione italiana a cura di Matteucci, ARTE COME ESPERIENZA) dedica un capitolo alla “sostanza differente nelle arti”, ossia su cosa fanno perno le diverse espressioni artistiche nell’universo umano.

Ed è incredibile come egli parli, parecchi anni prima di questi studi scientifici sopracitati, di “eccitazione” dell’organismo: “I suoni vengono dall’esterno del corpo, ma il suono stesso è vicino, intimo; è un’eccitazione dell’organismo; sentiamo lo scontro delle vibrazioni attraverso tutto il nostro corpo. Il suono sollecita direttamente un mutamento immediato perchè dà conto di un mutamento.”

 In guisa di conclusione, vi allego il passo da cui ho estratto la citazione. Se volete sapere cosa sia un pilastro dell’estetica contemporanea, o se siete semplicemente curiosi di sapere qualcosa in più di quello che in genere vi si propina o vi si palesa sotto il naso, leggetelo, che tanto questo giro lo paga il sottoscritto: LA SOSTANZA DIFFERENTE DELLE ARTI (sulla musica). Alcuni discorsi di ‘partenza’ e di ‘arrivo’ sono ivi contenuti.
Se poi non vi accontentate e siete tanto famelici da volere l’intero libro, posso aiutarvi a procurarvelo senza spendere un patrimonio. 

Ho cercato qui di rincorrere una certa semplicità di esposizione, naturalmente costellata, per lo più, di pensieri rapsodici ed estemporanei. Spero che comunque qualcosa sia arrivato.
Nella parte successiva magari chiarirò, se il tempo me lo permetterà, quale possa essere una generica definizione del ritmo, dello strano rapporto della musica con la parola, del perchè credo sia sbagliata la maggiorparte della “critica musicale” e, quindi, dell’approccio dei cosiddetti “recensori di album” che tentano inutilmente di trincerarsi dietro una pretesa di oggettività. E, per converso, del perchè sia fondamentalmente sbagliato applicare la letteratura (l’espressione scritta) ad un’espressione artistica altra. Ma questo, ovviamente, è un discorso che può valere in modo anche trasversale. 

 

Mattia F.

www.harrr.org/mattiafpappalardo

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