Le tracce che hanno definito il mio 2010

Si consolida la tradizione delle (personali) tracce che, in un modo o nell’altro, hanno definito l’anno che ci lasciamo alle spalle. Rispettando i dogmi della setta guylumbardonesca, la classifica è per sua natura eclettica come solo un blog eclettico ospitante può essere.
Tutto sommato, sono in molti in rete che scrivono di musica, recensioni, riflessioni, paragoni, storia etc., ma, infine, quel che conta è quella dannata e non trascurabile roba che troviamo nei lettori mp3 che ci trasciniamo dietro, e che ci porta più volte a premere PLAY and REWIND.
Ho evitato di citare ulteriormente, per quanto possibile, gli album già eletti, con eccezioni troppo eclatanti per fare degli omissis. La mole elencabile possiamo ritenerla sterminata (soprattutto se contiamo ascolti estemporanei mai più ripescati o trovati), ma quelli che seguono sono in qualche modo i pezzi che più hanno colonizzato i programmi di riproduzione e gli ipod, con un occhio di riguardo verso qualche sonorità trascurata dal panorama. Ma solo un occhio però, perchè poi c’è Rihanna.

The Knife – Colouring of Pigeons: è qui un oltraggio, inserire solo questa canzone, dal misterioso e sperimentale lavoro che i Knife hanno fatto su commissione per un opera teatrale. L’avevamo prontamente segnalato, perchè ci è parso troppo The Knife, troppo The Residents, troppo corale, troppo ambizioso e il fatto che sia stato poco notato poco importa. Il piacere è il nostro. Da ascoltare durante una battuta di caccia.

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The Irrepressibles – In this shirt: l’album degli Irrepressibles non ha soddisfatto tutte le papille gustative. Non so, è quel barocco che dopo due ascolti incomincia a cacare il cazzo e a infastidirti data la sovrabbondanza. Ma ci sta. “In this shirt” rimane un buon singolo, che conduce verso il baratro con il crescendo di archi e sinfonie di fine mondo. Ascolto consigliato allegando il video musicale tra un Fellini e un Lynch.

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Rosetta – Je n’en Connais Pas la Fin: i sempre operativi Rosetta, gruppi ed anche singoli componenti con progetti laterali, sfornano un album apprezzato dai seguaci ma che non riesce a portare tanto buon vento come ci si aspettava. “Je n’en connais pas la fin” è breve manifesto rappresentativo del loro sludge, nella sua tremenda semplicità e lettura. E la sua chiusa è indubbiamente tra le migliori sulla piazza dell’anno. Un utente scrive: “This song builds a house in my heart. And then tears it down. There are no survivors”.

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MGMT – Lady Dada’s Nightmare: Son riusciti a farsi ancora largo, però qui devo sciorinare brutalmente il giudizio: il secondo album dei MGMT mi ha fatto totalmente schifo e pietà, un pò come Richard Benson con Steve Vai. Però tutto è possibile e ammissibile, e questa canzone dallo strano titolo mi ha lasciato qualcosa. Può darsi che faccia schifo e pietà anch’essa, però bho.

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Massive Attack feat. Damon Albarn – Saturday Comes Slow: ascoltata fino all’usura. Non sono in grado di dire se sia lo spirito di Damon Albarn che riesce a zuccherare tutto con cura e delizia, ma questa rimane impressa. Massiva.

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Lucio Dalla – Puoi sentirmi: meravigliosa traccia. Lucio Dalla ci sente e ci vede bene ancora. Soffice come flanella e ispida come la sua barba. “Tu non hai niente più da dirmi, ed io niente più da dire a te”.

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Katy Perry feat. Snoop Dogg – California Gurls: si può dire quello che stracazzo si vuole, ma questo singolo di Kary Perry, sempre con debite proporzioni, sempre dopo Burzum, è facilmente ritenibile “canzone fresca ufficiale dell’estate con ritornello che ti fa drizzare ciò che nel corpo è solitamente a riposo”. Katy sei un amore, e ti meriti un ministero.

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Indian Jewelry – Lapis Lazuli: Forse alcuni li hanno riposti nel cassetto, ma noi no. Il primo post di Guylum Bardot è tutto loro a ben vedere. L’album 2010 avrà retto il confronto con tutto il mare magnum di novità? Non si sa. Ma Lapis Lazuli ha come valore aggiunto una psichedelia che da il fianco a debiti Joy Division e altre cupezze infinite. Video obbligatorio.

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Eluvium – Nightmare 5: E chi ce lo toglie, Eluvium da dosso? Quella sensazione di volare appena sopra il mare verso il sole che tramonta, chiudendo gli occhi perchè fa male alla vista. Però anche se chiudo gli occhi vedo sempre qualcosa, forse il colore arancione, che è quel che vedevo l’attimo prima di chiuderli.

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Elisa – Someone to Love: son convinto che talvolta quel che ci permette di apprezzare maggiormente qualcosa sia la situazione ed il contesto in cui è esperita. Però non voglio che questa frase possa apparire come giustificazione al fatto che sia presente Elisa in questo listone. Eh, intesi?

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Ducktails – Backyard (live on wfmu): “la dolcissima Backyard, sembra l’intro di qualche pezzone epico, ma in realtà finisce solo dopo 3 minuti e ti viene subito voglia di risentirla”. Posto d’onore nell’olimpo della dolcezza, come avevamo segnalato insieme ad altre tracce.

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Cheryl Cole feat. William – 3 Words: Sputtanatissimo e commercialissimo pezzo “con quello dei Black Eyed Peace”, o “con quel negro dei Black Eyed Peace” se siete abbonati a La Padania. Vi può capitare di sentirlo nella playlist della palestra mentre vi allenate da soli il sabato mattina, senza un cazzo da fare. Poi ad un certo punto arriva la ragazza che sempre avete sognato e vi chiede di uscire la sera, così senza nè leggere nè scrivere. La prima parte della storia è capitata a me.

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Burzum – Glemselens Elv: Eccolo, è tornato, lui, l’autentico, l’invincibile. In una parola Burzum. Per la mamma Varg Vikernes. Un nome già impresso a caratteri celtici nella storia del black metal. Salti pindarici da un genere musicale all’altro, permanenza in carcere, passato con i Mayhem. Non manca nulla. Ed eccovelo anche in quota 2010.

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Walter Schreifels – Society Suckers: Alt-country o americana che sia, Walter Schreifels dopo vent’anni di carriera con varie band esordisce da solista con un piacevole disco, c’è ambizione e commistione di luoghi sonori presi da tradizioni musicali diverse. Pezzo ganzo e riascoltabile ad libitum.

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Be’lakor – Husks: questa magnifica traccia non è assolutametne rappresetativa del cd targato Be’lakor. Il loro disco si staglia con un death metal progressive e melodico. Ma, chissà per quale arcano motivo, in molti album contenenti violente e mefistofeliche sonorità, c’è sempre quella singola e sparuta canzone che ammorbidisce gli animi e che contiene una chitarra acustica. Altro elenco da fare quindi: “gli album metal brutal violenti con all’interno canzoni languide contenenti chitarra acustica”. Un lungo elenco, e i primi che mi vengono in mente sono gli Slipknot. Ad ogni modo “Husks” è dopamina allo stato puro, ed il loop si setta volontariamente dopo pochi attimi.

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Ratatat – Drugs: Non potevamo esimerci dall’appuntamento coi Ratatat. Da preferirsi col morboso e bellissimo video.

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Black Prairie – Red Rocking Chair: Non a caso è la canzone più ascoltata dei Black Prairie. Peccato davvero che l’album 2010 non si all’altezza, perchè questa è un monumento inoppugnabile del folk. Per il resto dell’appagamento rivolgersi ai soliti miti di sempre. Ma qui un tassello c’è, anche se piccolo.

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Bell Orchestre – Water/Light/Shifts (Tim Hecker remix): Tim Hecker, compositore di musica drone ambient canadese, per chi scrive è diventato più un’ossessione che altro. Qui prende la canzone dei Bell Orchestre e la fa terremotare, sconvolgendo tutti gli assi. Poi subentra un lagnoso coro, e poi il drone, e poi il rumore…

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Gonjasufi – Candylane: vorremmo evitare la sovraesposizione, ma Gonjasufi ahimè la merita tutta. “questa meraviglia fa parte di quella categoria di album pop che suonano misteriosamente nuovi. Non a caso anche questo viene da uno che faceva hip-hop, ma ora è chiaro che fa qualcos’altro, qualcosa di molto bello. Elettronica, musica indiana, spiritual e pop lo-fi, alla luce dei neon del Mojave. Prodotto da Flying Lotus e psichedelico come un istruttore di yoga di Las Vegas[..]”. In questo elenco, tra le tante bellezze, si proclama “Candylane”, perchè ha un sapore di vintage, di suoni familiari ma non troppo. Il caro santone è un mashupparo doc, di quelli che ascoltano vecchi vinili impolverati al nostro posto. Come parte tutto? Ascoltando Wanting You degli Starpoint, 1981.

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Gorrilaz – On Melancholy Hill: inimmaginabile, stupenda. Di quelle cose che ami dal primo secondo, e che scandiscono buona parte della settimana se sei predisposto a tanto cuore. Traccia poco dimenticabile del 2010.

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Group Bombino – Imuhar: anche questa già doverosamente citata. “Niger, un paese dove morire è molto facile (di fame, di guerra, di uranio) ma dove si fa musica che scalda il cuore”.

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Troum – The Self-Playing Ocean: non propriamente traccia.
Un pò come per Gnaw Their Tongue, questo 2010 credo che si sia verificato un apice della carriera anche per i Troum con Mare Idiophonika, album costituito di una sola traccia.

Warpaint – Baby: Recentissime le Warpaint con l’album d’esordio uscito e già amato a dirotto. Ricordano molto e troppo, dai Lovers a Diane Cluck. Alcune tracce sono insuperabili per pianto catartico ed emozione. “Baby” non sarà forse la più ascoltata dell’album, che repetita iuvant si consiglia spassionatamente di reperire, ma è una perla che solo l’irragionevolezza dell’animo può partorire. Si divide in due parti, scomponibili come uno scaffale ikea ma congiunte nel mood lento e crepuscolare. La seconda parte poi è di quel desolante che ti rigenera. Ottima colonna sonora per un film che può vincere il Leone D’Oro a Venezia.

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Rihanna – Man Down: 2010 anche l’anno che ha visto uscire “Loud” di Rihanna. Classifiche con ultrapotenziali ascoltatori, da una parte, e denigratori spala-feccia dell’altra. Rihanna, insopportabile quando parta, ma apprezzabile talvolta per la sua particolare voce e per altre sue particolari doti (nelle foto è sicuramente intonata).
“Man Down” è un bellissimo pezzone di quelli che solo in pochi colti o elitari si permettono il lusso mascherato di apprezzare. Un album intero di questo calibro sarebbe da acquisto garantito senza rimborso. Trascinate il cursore direttamente al minuto 2:50 per sentire la vetta. Alborosie, hai le ore contate!

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Darkstar – Deadness: si attendeva l’approdo dei Darkstar, dopo lunga attesa. Ha divaricato i giudizi, tra molte aspettative nel mondo elettro. Album ponderato e con delle canzoni davvero da pelle d’oca. Arduo preferirne una. Ma dato che Gold è il singolo, e Aidy’s Girl Is a Computer è stata sviscerata a suo tempo, Deadness è fuor di dubbio ciò che incarna la prospettiva del duo elettro-introspettivo. Una sintesi di voci rigorosamente spurie che amoreggia piacevolmente con i toccanti synths della base. Chi parla di delusione totale è da denuncia.

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Four Tet – Angel Echoes: assolutamente una delle tracce più belle, non solo dell’anno alle spalle, ma anche dell’intera carriera di Four Tet. Su Last.fm in pochi mesi gli ascolti sono saliti in maniera impressionante. Una canzone breve e costituita da un semplice loop, ma talmente bella che varrebbe quasi un intero album. Ad oggi ancora non si è capito da dove proviene il sample della voce, se di sample vero si tratta. Un ragazzo ha anche offerto 100dollari per saperlo. La voce sembra dire “There is love, in you”. Troppe sono le ipotesi formulate per dire qualcosa con certezza. Ma una certezza in serbo noi l’abbiamo, che questa canzone è amore, è bellezza, è gioia estetica, è oltre il normale dicibile. Mamma mia.

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The Glitch Mob – Bad Wings: pochi conoscono EdIT, un tipo che è balzato agli occhi grazie all’album “Crying Over Pros for No Reason” dove stupende melodie si intersecavano a glitchs meccanici. I Glitch Mob sono lui e altri tre ragazzi dalle buone intenzioni. L’album 2010 è bello nella sua eterogeneità, tracce diverse, ma apprezzate quasi tutte. In particolare a me piace molto Fortune Days. Ma il colpo di fulmine l’ho avuto con Bad Wings.

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Lady Gaga – Telephone: “Ho questa strana sensazione che se faccio sesso con qualcuno mi possa portare via la mia creatività facendomela uscire dalla vagina” (Stefani Joanne Angelina Germanotta). Link al video.

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The Brian Jonestown Massacre – Let’s Go Fucking Mental: Non mi sembra questa la sede per spiegare chi siano i TBJM. Esistono tante belle biografie lì fuori l’internet, ed anche un documentario (ed anche qualche fan nascosto tra di noi). In questo caso il bel video ha preceduto la canzone, che però rimane uno dei tormentoni di nicchia dell’anno.

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Ariel Pink’s Haunted Graffiti – Round and Round: secondo Pitchfork è la traccia numero 1 del 2010. Il video tantinello psichedelico è stato fatto da quel mattacchione di Wayne Coyne. Disco, in media, tra i più apprezzati tra le classifiche. E forse giustizia c’è perchè meritano davvero.

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Bryan Ferry – Shameless: pochi se ne sono accorti, eppure in copertina c’è Kate Moss. Il fondatore dei Roxy Music è tornato con un “Olympia”, album ritenuto da alcuni perfino il migliore dopo “Boys And Girls” del lontano ’85. Elettronica, soft-rock, ferryesque. Chi più ne vuole avrà modo di leggere molto in giro per il web. Il signor Eleganza dalle leggiadre movenze mi ha abbagliato per mesi con due tracce stupende e così diverse tra loro, una seguita dall’altra. “Me Oh My” e “Shameless”. Entrambe ascoltabili qui. Ma noi non ci facciamo mancare niente: anche il video dansereccio con presenza di Bryan + fighe + colori + fiamme. This old dude is da bomb.

Kvelertak – Ordsmedar Av Rang: I norvegesi Kvelertak si aggiudicano, senza troppi giri di parole, l’album più fresco del 2010. Un album che non rimarrà nella storia probabilmente, che tra qualche anno probabilmente non ascolterà più nessuno, però è una ventata di aria fresca incredibile. E’ diretto, spudorato, e prende al primo giro. Il singolo Mjod è stato un successo di ascolti in rete. Son molte le cose che lasciano il segno. Come dimenticare il coro di Sultans Of Satan? Il ritmato black di Fossegrim? Ma qui è cosa buona e giusta inserire “Ordsmedar Av Rang”, una canzone black’n’roll talmente bella che meritava di essere inserita come finale. C’è tutto, dolore, ritmo, spleen, urla, tormenti, ballate, synth, assolo di chitarra. E amore.

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Yellow Swans – Limited Space: “Si segnalano dolci terremoti, tintinnii, nebbia dronica e precipitazioni sul fronte ambient. Epico.”

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Ja’afar Hassan – They taught me: “They Taught Me, anche se io la chiamo “allemoni”. Inizia come una potentissima cavalcata da spaghetti western, poi arriva la voce di Ja’afar Hassan che dice ”alleemoniiii allemoooniii [cose che non capisco] allemoniiiiiiiiiiiii”. Uno dei pezzi della mia estate. E’ apparso con due pezzi su una compilation della Sublime Frequencies dedicata al pop irakeno”.

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Loscil – The Making of Grief Point: album oscillatorio quello di Scott Morgan, al secolo Loscil. In questa classifica trova istituzionalmente posto The Making of Grief Point, il primo brano con l’elemento vocale. La voce narrante è quella di Daniel Bejar dei Destroyer. Si ritrova così una certa umanità. Il brano, importante soprattutto per l’artista, che vale come una cesura, è stato riproposto in un successivo EP nella versione strumentale. Poi apparso in un desolato EP di Destroyer feat. Tim Hecker.

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Caribou – Jamelia: in conclusione una delle tracce più emozionanti e clamorose del 2010. Con “Swim” Caribou ha forse svoltato musicalmente facendosi sentire dai più. Canzoni più ballabili, più ritmate, più ipnotiche, dove si palesa un uso sapiente ed insolito dell’elettronica. Ma “Jamelia”, porca miseria, Jamelia è sopra ogni cosa. Jamelia è ciò che non ti aspetti. E’ la traccia conclusiva per antonomasia. Non canonica, sperimentale nella composizione, sorprendente nel ritornello vocale, perfetta colonna sonora per un film che non mi permetterei mai di girare per non intaccare tanta bellezza. Forse tra le canzoni più malinconiche da un pò a questa parte. Attenzione: l’ascolto potrebbe causare forte trascurabilità di tutto ciò che vi sta attorno.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/05/09-Jamelia.mp3]

Menzioni speciali:

The Burzums – Dunkelheit (original 1960s Trve Kvlt Surf Music): segnalata appena conosciuta, una perla.

Tutti i fake dei Daft Punk: quanti ne sono? Difficile riunirli tutti. Sul blog questo ha inaugurato una serie. Ma adesso ovviamente il fenomeno si è rarefatto. Ideale una classifica perchè alcuni fake erano fenomenali.

Justin Bieber – U Smile 800% slower: ambient superbo e geniale, una canzone di Justin Bieber rallentata fino a 35 minuti.

Crystal Castles – Not In Love feat. Robert Smith: i Crystal Castles hanno sfornato un album da Cristo Santissimo, da mettere in loop della stanza a mò di installazione artistica. Questa è la bellissima Not In Love cantata da Robert Smith.

A Bientot!

7 thoughts on “Le tracce che hanno definito il mio 2010”

  1. post monumento, campione del mondo. mi hai fatto perdere più di un’ora, grazie mille. ora devo dire la mia:

    sull’album dei MGMT: è vero che non si riesce ad ascoltare due volte ma forse nemmeno una, però porco cazzo, la prima l’avete sentita? it’s working. sono pazzo? secondo me quella canzone è un gioiello e nessuno se ne accorge. e anche lady dada’s nightmare in effetti non è male. in generale album da recuperare nel 2038.

    su lucio dalla: ti ha lasciato la ragazza, syn. dì la verità.

    be’lakor: questa cosa l’hanno inventata i black sabbath, bella.

    rihanna – man down: droga.

    darkstar: “Chi parla di delusione totale è da denuncia”: beh dato che sono stato io posso dire che deadness è molto bella ed elegante, ma per il resto io ero più interessato ai suoni della prima versione di squeeze my lime, ma questi sono problemi miei.

    ah e poi mi ha fatto molto ridere la storia della palestra. e vergognati perchè non c’è neanche un pezzo di mister west.

  2. “Congratulations” dei MGMT è chiaramente una presa per il culo da parte del gruppo verso i fan “hipster”, però la traccia che hai postato è una perla. Anche “Song for Dan Treacy” non è da dimenticare.

    Katy Perry è bona (ma quella nella foto è Zooey Deschanel, vero?)

    Il remix di Tim Hecker è meraviglioso, ma pure l’originale (che non conoscevo) è bello mystico anzichenò. Da seguire, questi Bell Orchestre (che hanno anche fatto una cover di Bucephalus Bouncing Ball di Aphex Twin, uelà!)

    “On Melancholy Hill” è stata la mia canzone-fischiettìo-in-loop per intere settimane, poi quei mentecatti di Colorado Cafè me l’hanno portata via. Sentirla cantare dalle quindicenni sull’autobus è stato come mille Hiroshima nel cuore.
    When I am king you will be first against the wall, cantava Thom Yorke.

    Del disco dei Darkstar nulla da dire, mi è piaciuto un frego, forse perché non me li ero mai cagati nella loro vita precedente. Disco rivoluzionario al pari di quello di James Blake. Le mie preferite “Deadness” e “Dear Heartbeat”. Che canzone, Dear Heartbeat, da lacrime.

    E anche il disco di Caribou non ha precedenti. Se non fosse che lui ha la stessa voce di Erlend Oye dei Kings of Convenience, che di tanto in tanto ci azzecca come i broccoli sulla nutella.

    Ah, e LA traccia del 2010 è senza ombra di dubbio “U Smile 800% slower”, seguita a circa cinquecento miliardi di anni luce dalle altre in classifica. Erano anni che non avevo i brividi ascoltando musica.

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