Dirty Beaches – Badlands (2011)


Immaginate di avere una radiolina che consenta di sintonizzarsi con la musica di una realtà parallela. Una realtà quasi uguale alla nostra, ma con qualche piccola differenza. Tra fruscii e crepitii improvvisamente sentite la voce di una specie di Elvis, o meglio una delle sue reincarnazioni successive – Alan Vega – che canta sulle basi di pezzi più o meno noti. In uno di questi ad esempio vi sembra di riconoscere addirittura i Les Rallizes Dénudés. Continuate ad ascoltare, anche se, a parte la scoperta della realtà parallela e la piacevole atmosfera sporca e fumosa del suono a bassa fedeltà, il disco scorre via, abbastanza velocemente, senza imprimersi nella memoria. Tutto questo fino a Lord Knows Best, un pezzo ipnotico e malinconico interamente basato su un clamoroso sample di piano tratto da una canzone degli anni 60 di Francois Hardy, e questo sì che si imprime nella memoria.

Il nostro Elvis ci canta sopra come un crooner triste e ubriaco in un karaoke vuoto – magliettina bianca da Marlon Brando nel Selvaggio, sigaretta e brillantina, in piedi davanti a uno specchio. Subito dopo arriva l’altra gemma del disco, Black Nylon, un tenebroso pezzo strumentale, perfetta colonna sonora per il ritorno a casa (anche se in realtà il disco si chiude con un pezzo che si chiama “Hotel”, altro che casa).

Questo Badlands di Dirty Beaches è un disco nostalgico come altri mille che si trovano in giro, ma allo stesso tempo è molto diverso dagli altri. Mentre altrove si rimpiangono gli anni 80/90 e le tastiere e i synth e le vhs e quanto eravamo felici quando eravamo bambini, Dirty Beaches, ovvero il canadese di origini taiwan Alex Zhang Hungtai, torna indietro addirittura agli anni 50 e riprende atmosfere che avevano già esaltato Suicide, Cramps e molti altri gruppi diversi tra loro, rifacendole sue. E in questi nuovi anni 50 della realtà parallela, i suoni sono inevitabilmente sporchi, scuri e fumosi come lo sono i ricordi, soprattutto quelli di cose che non abbiamo vissuto, dato che siamo nati quando Elvis era già ingrassato, se non addirittura morto e in decomposizione.

Consiglio anche il video di Speedway King diretto dallo stesso Alex Zhang Hungtai, perché fa capire bene l’atmosfera del disco, con strade perdute, buio nerissimo ed Elvis fantasma, e anche le numerose versioni live di Lord Knows Best.

Di Pakistan, bestie umane e altre storie (anche Hitler)

Pakistan: Instrumental Folk & Pop Sounds 1966 – 1976. Come dice il titolo: pezzi strumentali, tutti molto ballabili, provenienti dal Pakistan del periodo 1966/1976, quindi surf, sitar, rock tipo Bollywood, Raul Casadei pakistano e così via, per capire che aria tirava da quelle parti, tra un golpe e l’altro. A compilare la lista è il gestore dell’eccellente Radiodifusion, blog consigliato più volte in queste pagine ma repetita iuvant. Il disco fino a un certo punto è piacevole ma non esaltante – solite contaminazioni musicali tra occidente e medio-oriente – ma proprio quando stava per deludermi sono arrivate un paio di perle sconosciute che in realtà avevo già sentito nel suddetto blog ma che avevo dimenticato.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/03/D1-The-Aay-Jays-The-Aay-Jays-Theme.mp3|titles=D1 – The Aay Jays – The Aay Jays Theme]
The Aay Jays – The Aay Jays Theme

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/03/C6-Nisar-Bazmi-Pyar-Ki-Ik-Naee.mp3|titles=C6 – Nisar Bazmi – Pyar Ki Ik Naee]
Nisar Bazmi – Pyar Ki Ik Naee

Humanbeast – Queer Marriage. Siccome è uno strano incontro tra l’electro ballabile con voce femminile dark il tanto giusto e la brutalità noise più inaspettata, è facile, visto il nome, vederci una metafora dell’essere umano diviso tra i suoi aspetti più o meno bestiali: ma siccome è facile, non lo faremo. A tratti si è indecisi tra quale delle due parti preferire, esattamente come accadeva in quell’esperimento di più di 40 anni fa di Pierre Henry con il gruppo progressive degli Spooky Tooth (a proposito: Humanbeast è tutto attaccato, quindi non sono da confondere con i quasi omonimi degli anni 70, gli Human Beast, autori di un progressive stoner ante-litteram). Però quando alla languida e decadente intensità emotiva della cantante subentra una distensiva e insensata cacofonia noise, il disco funziona.
[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2011/03/2.-in-heels.mp3|titles=2. in heels]
Humanbeast – In Heels

Si può scaricare gratuitamente da qui. Su Youtube c’è una esibizione live dove si nota perfettamente l’alternanza e l’unione tra le due anime del disco nonchè un certo imbarazzo del pubblico, tipico dei concerti noise.

Infine, una segnalazione: si chiama NudeSpoonsEuphoria ed è un blog di cover, ma si differenzia da tutti gli altri blog di cover per due particolarità: 1) è scritto in italiano, 2) i post sono lunghi e ben scritti. La seconda eccezione in particolare – cioè gli ottimi testi – ha reso la segnalazione praticamente obbligatoria. L’obiettivo sono le 100 cover.

Bonus: ah, siccome oggi inizia la primavera, mi sembra giusto omaggiarla con Springtime for Hitler, pezzo tratto da The Producers di Mel Brooks.