Ieri l’altro, diciotto zerosette zeronove, alle ventitré e trenta circa, quattro patriarchi della musica elettronica si sono palesati nello stadio comunale di Livorno. Con rapinoso distacco e commovente freddezza, quattro immobili figure, quasi crocifissi d’uomo e sintetizzatore, hanno puntualmente ricordato a tutti noi presenti il dovere morale di amarli adesso e ancora, nei secoli dei secoli, nei millenni, nelle migliaia di millenni, nelle migliaia di migliaia di millenni ed eventualmente — previo lancio nello spazio profondo di qualche navicella piena di loro dischi — tra cinque migliaia di migliaia di millenni, quando il Sole collasserà risucchiando la Terra.
I Kraftwerk dimostrano, a trentacinque anni esatti dall’uscita di Autobahn, l’attualità artistica dei loro solenni bozzetti di vita e pensiero nell’Europa contemporanea. Ogni pezzo viene corredato di un apporto visuale, talvolta mera sintesi della canzone, in altri casi invece sorta di seconda traccia, che arricchisce o illumina la musica.
Aprono con The Man Machine, brano minimale, marziale ed enigmatico: l’uomo-macchina descritto è semi-human e super-human, o semi-human quindi super-human? Da qui, in una catarsi binaria, la platea tutta, hipster gente di merda indieshits raver maschi femmine animali fricchettoni umani umani a torso nudo, viene sottoposta ai una scelta dei capolavori kraftwerkiani, da classici degli anni Settanta alle più recenti tracce di Tour de France Soundtracks.
Si alternano Elektro Kardiogramm e It’s More Fun to Compute (it’s ALWAYS been!); quindi l’apollinea iniezione d’energia Vitamin e una versione — ahinoi ridotta– di Autobahn; l’al tempo sibillina Computer Love, che al giorno d’oggi si è attuata in tutta la sua sensatezza, e una pompante Aero Dynamik. Das Model, accompagnata da un eccezionale repertorio di immagini vintage e col suo consueto fascino malinconico, ha spremuto lacrime di fluido lubrificante anche sul volto di noi robot, mentre Tour de France ci ha riportato al tempo quando pochi dei presenti già esistevano e sulle biciclette si portavano i cerchi in legno.
I molti nerd presenti sussultano all’intonare di Computer World e We Are the Robots, le coscienze ambientaliste vengono scosse da un lugubre annuncio in apertura di Radioactivity, che continua ad essere, a distanza di trent’anni, in the air for you and me. La centrale nucleare Sellafield 2, hanno avvertito i Kraftwerk, rilascerà ogni quattro anni e mezzo una quantità di radioattività equivalente a quella emessa dall’incidente di Chernobyl. Di una frivolezza ironica e triste è invece una versione italo-tedesca di Showroom Dummies, col refrain che recita, con un accento degno di Benedetto XVI, “siamo man-nikinni, man-nikinni“. In chiusura, Music Non-Stop non è solo un mantra di vocoder, ma ormai un imperativo categorico.
Come ha osservato un autorevole ascoltatore, i Kraftwerk hanno ancora molto da comunicare. Ammutoliscono un pubblico decisamente misto, non certo gente che passa ore a casa con le cuffie in testa ad ascoltare Europe Endless (come si dovrebbe fare) — invece, c’erano molti Wayfarer bianchi, molta socialità, molte canne. Sigh. Ma la formula “motivo catchy organizzato su strutture classicheggianti, che schizza paesaggi della contemporaneità” (reti autostradali, lunghe distanze ferroviarie, serate al computer, radioattività, vuotezza della vita sociale), si riconferma formula validissima appunto per l’impressionante impatto su ogni spettatore. Tempo e spazio, inesistenti nella musica dei Kraftwerk (annullati l’uno dal setting contemporaneo, dalla metatemporalità delle tematiche stesse e dall’elegante funzione di struttura classica e strumentazione moderna; l’altro anche dal carattere delle tematiche — l’autostrada, la rete ferroviaria e le reti informatiche vogliono annullare ogni distanza, la radioattività è onnipresente), vengono calibrati al millimetro sul palco, con precisione teatrale.
Chi invece ha cazzato nella gestione dei tempi è stato Aphex Twin. Le due ore circa di laptop set sono organizzate a mò di continuo pastiche di vari pezzi affogati in un mare di suoni, ed è forse questa struttura — capace di coinvolge profondamente solo se combinata a qualche pastiglia e ad un mare di carne in cui dimenarsi — che non fa presa a un ascolto attento. La veloce salita a un climax, la complessità del seguente regime di pompa stabile, la commistione sapiente di vari generi, sono ciò che hanno reso grande la musica di Richard James. La sua performance è risultata invece sottotono, soprattutto nella prima parte, con un pubblico che si esaltava, quindi, accontentandosi anche solo dei minimi accenni a pattern orecchiabili; un sensibile miglioramento si è invece registrato nella parte finale del set, con la comparsa di suoni più elaborati e di brani classici collegati tra di loro con soluzioni più originali e sapienti. Non hanno stupito, sorprendentemente, neanche le sue celebri animazioni, che avrebbero potuto essere più lisergiche, folli e inquietanti — guardare i video degli altri suoi live per credere. Insomma, una mezza delusione dal demone sballato dell’elettronica.
Chiudo ringraziando il compagno Das Robot aka SEO Robot aka Simone per ospitalità, gentilezza, grazia, compagnia, trasporto, e per le discussioni su Google, sulla corsia d’emergenza e sull’ottimizzazione della ristorazione nei concerti.
ottimo report. leggerlo è stato doloroso perchè non c’ero, ma è stato comunque bello.
ma che cazzo sono i Wayfarer?
(prima di chiederlo però ho cercato su google per accertarmi che non fossero qualcosa di fondamentale da sapere)
wayfarer bianchi : aids = aids : aids
la recensione definitiva
Ottimo report proprio perché mi ha fatto provare dello sconforto.
Noto comunque che il temibile trinomio Livorno + concerto + giovani ha mietuto le sue vittime come sempre.
Peccato per afx.
Intanto sul tubo comincia ad apparire qualcosa.
guarda, sotto al palco c’era una costellazione di schermi di macchine fotografiche e cellulari, mi aspettavo di trovare tutte le foto su flickr linkate dalla pagina del concerto di last.fm, ma i giovani evidentemente non sono 1) veloci né 2) realmente up-to-date.
viva i wayfarer. Il problema è la montatura bianca, per tutti. Drammatica ed altamente truzza.
aspetta, ma tutti sapevate cosa sono i wayfarer?
oddio, ma allora dove vivo io?
Probabilmente in un luogo migliore, dove non esiste la disgrazia di ricevere canali giovani tipo MTV o All Music.
aspetta perchè anche qua siamo rimasti a “lol” e guardiamo con spocchia i lulz e lollesque
Uomini che possono portare i wayfarer, The Field: http://qkpic.com/f9d5e
donne che possono portare i wayfarer: mia sorella
(inutile che cliccate, non c’è il link. però ho scoperto che sono gli stessi occhiali di mia sorella! potevate dirlo subito)
tua sorella può tutto. Ma questa è un’altra storia.