Raymond Scott: tra jazz, Bugs Bunny e Aphex Twin

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altro mito dell’avanguardia pop, pioniere della musica elettronica e non solo. raymond scott, molto attivo tra gli anni 50 e 60, tra jazz e musiche per i cartoni animati, dato che molti suoi pezzi venivano utilizzati nei cartoon della warners bros, e infatti chi non ha mai sentito il tema principale di powerhouse?

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Raymond Scott – Powerhouse

finì giustamente per buttarsi nella sperimentazione elettronica. anche lui, come bruce haack, si cimentò nella musica per bambini con una serie di album divisi per fasce d’età, e anche lui, come bruce haack, progettò e fabbricò alcuni strumenti, come l’electronium, ora nelle mani di mark mothersbaugh, leader dei devo. e a proposito, sentite cindy electronium, pezzo di raymond scott del 1959, o little miss echo, del 1963, un bel po’ di tempo prima dei kraftwerk, aphex twin, della musica per videogiochi e in effetti anche prima dei videogiochi.

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Raymond Scott – Cindy Electronium

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2009/10/02-Little-Miss-Echo.mp3]
Raymond Scott – Little Miss Echo

invece in questo video tratto dal film “Happy landings” dei ballerini indiani di tip tap ballano sulle note di “War Dance For Wooden Indians” del raymond scott quintet (di cui consiglio anche il video Ali Baba Goes to Town).

quali album ascoltare? per chi fosse interessato, gli album da cui partire sono sostanzialmente due: reckless nights and turkish twilights, per il suo repertorio jazz, swing e looney tunes, e il “completely electronic” manhattan research inc, doppio album che raccoglie il suo repertorio di sperimentazione elettronica, jingle pubblicitari e follie assortite a cui probabilmente devono qualcosa anche i residents. imperdibile.

raymond scott è morto nel 1994, a 85 anni. qui la discografia completa scaricabile. questo invece è un blog a lui dedicato, dove tra l’altro scopro l’esistenza di un documentario.

Kraftwerk e Aphex Twin live in Livorno – 18/07/09

The Man Machine

Ieri l’altro, diciotto zerosette zeronove, alle ventitré e trenta circa, quattro patriarchi della musica elettronica si sono palesati nello stadio comunale di Livorno. Con rapinoso distacco e commovente freddezza, quattro immobili figure, quasi crocifissi d’uomo e sintetizzatore, hanno puntualmente ricordato a tutti noi presenti il dovere morale di amarli adesso e ancora, nei secoli dei secoli, nei millenni, nelle migliaia di millenni, nelle migliaia di migliaia di millenni ed eventualmente — previo lancio nello spazio profondo di qualche navicella piena di loro dischi — tra cinque migliaia di migliaia di millenni, quando il Sole collasserà risucchiando la Terra.

I Kraftwerk dimostrano, a trentacinque anni esatti dall’uscita di Autobahn, l’attualità artistica dei loro solenni bozzetti di vita e pensiero nell’Europa contemporanea. Ogni pezzo viene corredato di un apporto visuale, talvolta mera sintesi della canzone, in altri casi invece sorta di seconda traccia, che arricchisce o illumina la musica.

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