Turkish Delight ovvero il Turco in Alamannia

turkish delight

di poco ci si può accusare, e tra quel poco non c’è la mancanza di gusto per la turcheria (& si parlava di Tutte le mattine del mondo poco fa, quindi). eccovi allora i Turkish Delight, misconosciuto gruppo turco degli anni Ottanta con delle uscite per un’etichetta tedesca ma abbastanza diverso da ciò che al tempo si faceva Germania. o in Turchia. oscilla tra il noise punk e una versione turca dell’art rock disturbata e paranoide. notevolissimo poi il video qui sotto di Saburié.


Turkish Delight – Saburie

soulseek sbianca, ebay manda qualche segno di vita e discogs segnala un modestissimo numero di dischi e una reissue in mp3 del 2013 per una tal Move di cui però non sono riuscito a scoprire granché. se le info su youtube sono relativamente scarse (la maggior parte dei video li ha caricati l’utente alaturkaliberal, che io all’inizio avevo letto come ‘ataturkliberal’ ed era premio per il miglior username, poi ho visto i suoi video e mi sono commosso), perché una reissue? c’è un seguito cultistico in Turchia che vuole scaricarseli? e io i dischi da dove li compro o li scarico? ma soprattutto, c’è qualcuno che ancora si accanisce su discogs?


Turkish Delight – Neit, Cabruhsma Ha Samahoi


Turkish Delight – Vrşna

Inc. – No World

inc no world

degli Inc. avevo scaricato anni addietro un paio di EP (Fountains/Friend of the Night3), mi aveva colpito l’abilità tecnica, la struttura jazzata dei primi pezzi, la posizione isolata di quasi-controtendenza verso le varie ‘next big things’ dell’epoca. No World, questo primo full-length pubblicato dalla gloriosa 4AD, porta avanti l’impronta R&B minimalista già evidente in 3 (e in effetti gli Inc. vengono sfottuti ovunque tirando in mezzo Prince), spostandosi su tracce più suadenti e meno ‘spezzate’, che combinate alla voce quasi ansimante ed eterea (se non fosse per Desert Rose (War Prayer) e Trust (Hell Below) arriverebbe anche a rompere il cazzo), risultano in un amatoriale filmato dagli Steely Dan con D’Angelo (sì, ho appena citato il negro melomane e palestrato che ha fatto un video nudo, tra poco ne nomino un altro anche migliore) e la tipa dei Cocteau Twins. evito l’inevitabile e presente riflessione sull’appropriazione dell’R&B da parte del sottobosco indie, esistono tesisti, giornalisti pubblicisti e snob di varia foggia appunto per questo — a me No World piace abbastanza perché, anche se probabilmente tra qualche mese o anno qualche traccia verrà trasmessa su qualche emittente lugubre o a qualche serata a Milano, resta comunque una cosa che Omar Little o le sue amiche banditesse lesbiche metterebbero sullo stereo mentre trivellano il/la proprio/a partner in un appartamento con le finestre sbarrate, un’R&B accessibile anche ai più sconvolti e malinconici.

[audio: http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2013/03/05-Inc.-Trust-Hell-Below.mp3]
Inc. – Trust (Hell Below)

[audio: http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2013/03/10-Inc.-Careful.mp3]
Inc. – Careful

per quanto riguarda le classiche cose più importanti: consiglio di tener d’occhio le reissues passate, presenti e future dell’ottima bureau bDeutschland, Deutschland über alles. passo e chiudo.

Dedicato a Scaramella, mixtape


è a Mario Scaramella che mi piace pensare di solito, quando tutto il resto dei possibili pensieri sembra misero. Forse Mario Scaramella è l’indispensabile speranza che a qualcuno possa ancora succedere qualcosa, forse Mario Scaramella è successo mentre non mi succedeva nient’altro.

[Sta di fatto che dal 2006 ad oggi, ho continuato a cercare informazioni e aggiornamenti in rete su Scaramella; abbastanza discontinuamente, devo ammettere — ma non ho mai smesso. Poco c’è stato nella sua vicenda di obiettivamente “interessante”, ciò che ha reso tutto quanto “interessante” per il sottoscritto era quel carattere a metà tra l’oscuro e il già visto/sentito: intangibile intreccio di secrets, accusations and lies da una parte e classico tentativo basso di attacco politico dall’altra. E il versante Scaramella dell’affaire Litvinenko non ha destato grande attenzione mediatica nei mesi e negli anni successivi ai fatti, quasi come un bengala gettato in un fuoco fatuo. Poca risonanza hanno avuto le accuse di diffamazione nei confronti di Talik, così come la presunta fabbricazione del curriculum, poco si è parlato di Scaramella oltre al rischio di esposizione alle radiazioni, al rimpatrio e all’arresto (unico a ri-tirare periodicamente in mezzo il nome di Scaramella è sempre stato Paolo Guzzanti).
Seguendo più da vicino Mario Scaramella, che di recente ha aperto un account Facebook che aggiorna regolarmente, emergono namedroppings musicali, informazioni personali, battute disinteressate, discussioni con sostenitori e detrattori confinate nelle gabbie dei commenti agli status, scan su scan di documenti, qualche fotografia molto bella, qualche altra fotografia meno riuscita. Salta poi fuori che Scaramella ha intenzione di pubblicare un libro, “Scaramella va alla guerra” (dal titolo di una canzone di Josquin Desprez, in cui Scaramella è il soldato buffone — canzone peraltro davvero godibile), e sta cercando un editore.]

Questo mixtape vuole essere un mero documento della mia ricezione, e della mia affezione, per Scaramella. Robaccia personale, quindi: c’è musica che mi piace, ripetitiva o discontinua, evocativa o superficiale, misconosciuta o sputtanata, con una parvenza di narrazione — più atmosferica che lirica, eccezione fatta per le ultime due tracce (l’ultima in particolare, tragicamente indiemielosa, aiuta noi che ci identifichiamo, prima di tutto, come telespettatori [cit.] a pensare a un possibile lieto fine), abbastanza palesi nella loro collocazione & significato. Non mi sono messo a cazzare con fading, echi, riverberi e simili artifici: primo, non sono capace di farlo; secondo, voglio che le canzoni stiano lì, intonse. La durata è di un’ora, quasi come una cassetta (come tutti i mixtapers possibili e immaginabili, mi mantengo fedele agli standard di un mezzo che non ho mai usato in vita mia, già tecnologicamente obsoleto prima che io cominciassi ad andare a scuola, utile solo ai collezionisti di harsh noise), e forse potrei addurre la scusa della ‘fedeltà alla cassetta’ anche per la pressoché totale mancanza di editing. Invece, vi propongo tre constatazioni su Mario Scaramella:

  1. è, insieme a Medvedev, un sosia di Boyd Rice;
  2. assomiglia inoltre, come il collega finegarten faceva notare anni fa, al grandissimo Peter Lorre;
  3. nel 2001, registrava il record mondiale di velocità con un pattugliatore costiero destinato ai servizi speciali;

passo e chiudo.

dedicato a Mario Scaramella by lasernews

ASC – Conversations
Brian Eno – Foreign Affair
John Roberts – Went
Michael Bundt – La Chasse Aux Microbes
Delia Derbyshire – Pot au Feu
David Byrne & Brian Eno – A Secret Life
Shackleton – International Fires
Demdike Stare – Nothing but the Night 2
Senking – Breathing Trouble
Kraftwerk – Ohm Sweet Ohm
Philip Glass – Looking
David Byrne – What A Day That Was
Joanna Newsom – On A Good Day

Peter 'Sleazy' Christopherson, 1955 – 2010

a leggere frasi del tipo “una di quelle persone che sembravano non poter morire mai”, pensi oh, guarda che stronzata e passi ad altro. Il più sentito degli elogi funebri non farà mai tanto effetto quanto i necrologi stampati, solenni concisi lapidari. Si è spento l’Ing./Dott./Cav., colleghi amici commilitoni conoscenti si uniscono al dolore dei parenti. That’s all, folks. Sans-serif e carta di bassa qualità, forse leggero fastidio per la pubblicità dei voli low-cost sulla pagina precedente o per l’articolo sull’ennesima trasmissione televisiva trash sbarazzina giovanile irriverente impegnata nella pagina successiva.

Però oggi è morto Peter Christopherson, Sleazy per i fan, gli amici, i colleghi, i recensori e i tizi pseudosnob vestiti di nero con la faccia permanentemente incazzata e le magliette piene di simboli strani che vivono nel seminterrato dei loro genitori. E quando muore qualcuno come Peter Christopherson, uno come minimo dovrebbe sedersi a pensare guardando il soffitto. Perché pure se non hai mai ascoltato i Throbbing Gristle, gli Psychic TV, i Coil, il Threshould HouseBoys Choir o Soisong, c’è un’alta probabilità che in qualcosa che ti è piaciuto c’entri Peter Christopherson.

Là nel freak show dei Throbbing Gristle, Christopherson mi è sempre sembrato il più ‘normale’, per usare un termine inadatto. Non aveva la facies inquietante di Chris Carter, non aveva lo spudorato tutto ciò che di spudoratamente bizzarro esiste che aveva Genesis P-Orridge, non aveva le tette e il culo di Cosey Fanni Tutti (direi). Alto, leggermente curvo, magro, talvolta esibiva un paio di baffi che lo facevano sembrare un tecnico radio o una spalla dei cattivi di quei film sulle spie russe degli anni Sessanta. E come ogni personaggio dalla faccia relativamente ordinaria che mantiene un basso profilo, Peter Christopherson si rivelava dannatamente importante. Sua era la quasi totalità dei found sounds usati nei pezzi dei TG, e insieme a Carter forniva le track tapes che costituivano l’ossatura della loro musica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/08-what-a-day.mp3]

Throbbing Gristle – What A Day

Ha collaborato, dopo lo scioglimento dei Throbbing Gristle nell”81, con gli Psychic TV, formazione musicalmente più pop e luminosa, ma per tutto il resto più strana e inquietante (vedi: simbologia processiana e più, testi, paraphernalia), dei suoi Coil, che portavano la allora giovane industrial music in direzione magico-occulta, quasi romantica e leggermente più melodica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/09-coil-horse-rotorvator-blood-from-the-air.mp3]

Coil – Blood From The Air

Durante e dopo i Coil, precisamente mentre era impegnato a invecchiare raggiungendo la complessione di un Enorme Capotribù Globale degli Zingari Oscuri, Christopherson fonda il Threshold HouseBoys Choir, emittente di industrial/elettronica/musique concrète disseminata di tutto quello che di disturbante e di semisconosciuto popolasse il mondo dei minorenni thailandesi, che sembra quasi un eruditissimo esercizio di shock-jocking. L’ultimo progetto di Sleazy è stato Soisong, enigmatico ed interessante come solo il suo punto d’arrivo poteva essere: un bizzarro ibrido di glitch music ed industrial minimalista, dimostra che chi riesce a segnare il corso della storia della musica non deve rimanere immancabilmente imbolsito nel suono e nelle posizioni che ha definito/che lo hanno definito.

Molto altro ci sarebbe da dire su Peter Christopherson, sulla sua vita e sul suo lavoro. Ma il presente post non ha tante pretese, che per essere esaudite richiederebbero una pagina monografica a loro esclusivamente dedicata. Per esempio, sapevate che Sleazy (lo stesso intimo di Genesis P-Orridge, lo stesso che con Genesis e altre due oddballs ha creato l’industrial music, lo stesso che negli ultimi anni, in tour intorno al mondo, allibiva hipster e simili bestie con immagini di violenze, lotte, rapporti sessuali tra adolescenti thailandesi), ha diretto diversi video per personaggi di ambienti totalmente insospettabili, come i Van Halen, Paul McCartney e gli Yes? Io non lo sapevo.

Il fatto è che, davvero, era difficile immaginare che Christopherson potesse morire. C’è questa sensazione, come se qualcosa che stavi aspettando e che non devi perdere ti fosse appena passata accanto molto velocemente, e quando ti giri sei già mezzo incazzato con te stesso e mezzo rancoroso verso la vita, l’universo, i Daft Punk e tutto quanto. Ecco, è quello che succede quando muore Peter Christopherson. Proprio adesso che, sembra, l’eredità dell’industrial viene portata sempre più avanti in direzioni davvero notevoli.

Insomma, RIP.

Sorveglianza novembrina

Sorveglianza

ovverosia: it’s hard to remember / what we did last november — un paio di segnalazioni para-danzerecce poco coerenti con le condizioni atmosferiche.

Della città di Chicago, che oggi evoca la becera indietudine contemporanea, dovrebbe essere soprattutto ricordata la maternità della house. Non serve parlare di come il genere abbia influenzato direttamente e indirettamente molta della musica che conosciamo e amiamo (vedi: Detroit, Salem, filiazioni e derivate moderne della dance). E di Chicago è la Mathematics Recordings, gestita da Jamal Moss (aka Hieroglyphic Being), che rilascia senza posa interessanti settepollici. Notevoli soprattutto gli Africans With Mainframes, indubbi vincitori del premio per il miglior nome di un’unità musicale, a cui piace combinare la house Chicagense della prima maniera con vocoder e percussioni terzomondiste; risultato è una piacevole commistione sperimentale che sa dei David Byrne e Brian Eno più africaneggianti mentre si fanno un giro nel midwest americano accompagnati dai Kraftwerk.

Altrettanto interessante è il vicino futuro della Aus Music, etichetta inglese le cui pubblicazioni dubstep e techno sono tra il meglio che c’è in circolazione: melodie velate e beat a frammentazione, suoni strani e potenza bassa, insomma tutto quello che ha reso interessante il dubstep à la Werk Discs. Nomi come Appleblim, Joy OrbisonAl Tourettes e Ramadanman sono da tenere d’occhio tassativamente per chiunque sia interessato a quell’area. La Aus Music vanta già remix di nomi del calibro di Actress, e ancora migliore sarà la partecipazione al prossimo(22 novembre) Void 23: niente meno che Carl Craig (per chi non conoscesse Carl Craig, questo e questo possono dare un’idea).

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/10/AUS1028-Al-Torettes-Appleblim-Mr-Swishy.mp3|titles=Mr Swishy]

Al Tourette’s & Appleblim – Mr Swishy

In uscita a novembre è anche il nuovo EP dei Raime, If Anywhere was here he would know where we are/This Foundry (Regis version), che si spera bello come il primo, sempre per Blackest Ever Black — da qualche tempo in quelle zone si è interrotto il costante flusso di link a oscuri pezzi post-punk e dark ambient. Indice di lavori in corso?

Chiudo, dopo la breve sequela di ritmi, con una delle mie canzoni novembrine preferite, nonché una delle più belle cover di tutti i tempi. Perché le novità e l’aspettativa possono andare anche bene, ma le sigarette sotto la pioggia, le mani fredde, la solitudine e il grigiore restano sempre meglio.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/10/1-When-No-One-Cares.mp3|titles=When No One Cares]

Junior Boys – When No One Cares

Raime EP

già accennato a proposito dell’esplosione del dubstep e delle sue possibili derive, e adesso che il disco mi è finalmente arrivato, qualcosa va detto. Il self-titled dei Raime ha sollevato una breve ma intensa botta d’hype tra i blog di musica più influenti (Simon Reynolds, tra i primi, si dimostrò particolarmente interessato), e, cosa rara nella storia delle botte d’hype, questa volta un motivo c’è. In ambito dubstep, o almeno da quando il genere è assurto allo stato di next (?) big thing e come tale s’è consolidato, questo EP infatti è importante come Burial, se non addirittura di più. Segna la nascita di un dubstep che non è più solo veicolo emozionale, ma dotato dal principio di un preciso bagaglio emotivo. Virate in questa direzione erano già presenti nei lavori del già citato Burial, e di artisti come Distance e Shackleton, che hanno apportato al genere una maggiore carica soggettiva, senza mai distanziarsi troppo dai suoni, dall'”ideologia” e dall’eredità dubstep. I Raime, invece, hanno poco a che vedere con gli stereo da macchina e dalla drum ‘n’ bass che hanno influenzato Burial, così come col DMZ e col dancefloor in generale. La struttura e i tempi rimangono quelli; tutto il resto, quello che identifica un artista, sembra il figlio silenzioso e inquietante dell’ambient di Boyd Rice, dei ritmi solenni e romanticheggianti dei Death in June, dell’atmosfera oscura e angosciata dei Dead Can Dance e dei meandri oscuri della prima 4AD (è comparso anche il nome di Prurient nel mixtape più recente). Blackest Ever Black, l’etichetta che ha rilasciato l’EP, è molto chiara a proposito della sua filosofia: qui si parla di sensucht, di art, as opposed to engineering, di nichilismo, di pragmatismo, di romanticismo (e ci azzeccano pure la citazione throbbinggristlianoboydriceana alla fine, giusto perché non s’era capito) — non proprio argomenti da nightclub. Insomma, un’intenzione molto più seriosa dei fantasmi metropolitani di Burial e dei demoni di Distance, sorretta da uno scheletro dance.

Il risultato, quindi? Il risultato è dannatamente bello. Dionisiaco e apocalittico come solo il noise e l’industrial erano mai riusciti, ma meno corrosivo e più inquietante. Coinvolgimento del dubstep e straniamento della musica per adolescenti introversi. I suoni sono percussioni marziali, con qualche aggiunta di sawing e voci evocative sparse. Tracce (menzione d’onore al lato B) lunghe ed evanescenti che si snodano come pezzi post-punk ma all’osso restano dubstep. E’ un EP da avere sia per il suo valore ‘storico’, sia perché, cristo, oscuro + evocativo = wow. Due le controindicazioni: speriamo che i Raime non generino una schiera di simil- e imitatori nella maggior parte dei casi patetici (vedi: quello che è successo coi Salem), e speriamo che non si piglino troppo sul serio. Non vorranno mica finire come Prurient.

Raime – We Must Hunt Under the Wreckage of Many Systems

Raime – We Must Hunt Under The Wreckage Of Many Systems

Sistema di supporto vitale per l'estate agonizzante

Fortunatamente le temperature stanno scendendo. Le persone, scomparse per le ferie, scompariranno ancora nei posti di lavoro e nelle aule. Un giorno in Pretura di nuovo in televisione.

Nessuna ragione, quindi, per rianimare i trascorsi mesi di clima terrazzante, sudore, energia dispersa, ore di sonno che come conditio sine qua non avevano la compresenza di un condizionatore. Ma nella malaugurata eventualità in cui voleste allontanare l’inesorabile e solenne morsa del freddo, del lavoro, delle bollette/rate/tasse, questi due titoli “estivi” potrebbero fornire un valido aiuto.

Here Lies Love è qualcosa di possibile solo grazie allo sforzo combinato di due nomi da coppola a terra della musica: David Byrne, ex frontman dei Talking Heads, ciclista urbano, genio paranoide e post-tuttoilgesùcristoimmaginabile, e Fatboy Slim, affermato raìs del trip-hop e del big beat. Con una schiera di collaborazioni $superlativo_assoluto_di_aggettivo_iperbolico (e. g. — abbastanza per far eiaculare sia gli hipster che gli amanti delle femmine cantanti — St. Vincent e Tori Amos), hanno messo insieme due cd pieni di sud-est asiatico, amore, povertà, disagio politico, relazioni internazionali.

E’ la storia di Imelda Marcos, first lady delle Filippine dal ’65 all”86, nella sua ascesa al potere-periodo di governo-caduta, raccontata attraverso un’atmosfera musicale deliziosamente clubby e anni Settanta combinata a un apparato di testi introspettivi che, concatenati, riescono a trasmettere la fotografia aerea di un’intero paese. Tristezza? Ambizione? Femmine? Trionfo? Disperazione? You’ve got it. Fatboy Slim salta come se nulla fosse da sequenze tranquille e basso profilo, a beat epici o a esplosioni tersicoree. Nei testi troviamo quelle figure che resero i Talking Heads così interessanti: elenchi, nebulosa immedesimazione, attenzione al frammento, tutti rimodellati con grazia in un corpus più catchy.

David Byrne & Fatboy Slim – Here Lies Love

Florence + The Machine – Here Lies Love

David Byrne & Fatboy Slim – Never So Big (feat. Sia)

Sia – Never So Big

David Byrne & Fatboy Slim – Order 1081 (feat. Natalie Merchant)

Natalie Merchant – Order 1081

Ah, ed è anche ricomparso Moodymann (non che fosse propriamente scomparso, ma). Moodymann, al secolo Kenny Dixon Jr., è facilmente identificabile come un santo dell’elettronica. La storia della sua esistenza è quella di un nigga vecchio stile e cazzuto che, incurante del mondo là fuori, keeps it real. Sempre vissuto a Detroit, ha dato vita a una house piena di sampling d’alto livello, evocativa e chilled out, influenzata dalle meccaniche del suono dei maestri detroitiani. Necessario per tutti gli amanti di Detroit, o della house, è il suo Silentintroduction del ’97 (ascoltare I Can’t Kick This Feelin’ When It Hits per capire a che mi riferisco quando parlo di sampling d’alto livello).

E a maggio è uscito il 12″ Ol’ Dirty Vinyl, raccolta di tracce che spazia dagli anni Novanta al duemilanove. Ritroviamo le atmosfere malinconiche e il groove lento ed inarrestabile di Moodymann, entrambi in qualche modo potenziati. Fatta eccezione per l’ultima The Hacker, Ol’ Dirty Vinyl è permeato da un alone di lontananza, rimpianto, distacco. La scelta accurata di campioni dolci e malinconici o evanescenti, il ritmo discontinuo, distorsione, rumori statici sparsi sapientemente; tutto dà l’impressione di un disco per qualche dopo imprevisto pieno di misantropia, isolamento e indolenza.

Forse proprio un disco da fine estate, soprattutto per noi che d’estate decidiamo che vivere è comunque tempo perso.

Moodymann – Ol’ Dirty Vinyl (U Used to Know)

Moodymann – Ol’ Dirty Vinyl (U Used to Know)

Moodymann – It’s 2 Late 4 U and Me

Moodymann – It’s 2 Late 4 U and Me

Hot Summer Dance Compilation '09

summercomp

Che estate sarebbe senza una bella compilation per farci dimenare, aspirare borotalco e scopare cessi pieni di batteri all’interno di cessi pieni di batteri? Un’estate del cazzo, ecco cosa sarebbe! Perciò, cari lettori che non potete stare fermi neanche un minuto, Guylum Bardot celebra l’ondata di adrenalina che lo ’09 ha pompato su per le nostre vene con questo nuovissimo mix di tracce. Direttamente per voi dagli Stati Uniti d’America gli ultimi ritmi, le ultime tendenze che hanno animato gli eventi più cool di quest’anno — il nono dall’inizio del millennio.