Aborigeni e marziani

Dopo le dritte su Francis Bebey provo a molestare le vostre orecchie con uno spazio dedicato ai dischi dimenticati forse anche da chi li ha fatti. Chiediamocene il perché tutti insieme.

The 13th Tribe – Ping Pong Anthropology (1992)

Nonostante lo humour del titolo e della copertina, i componenti di questo progetto berlinese hanno l’aria di quelli che un po’ ci credono, dato che tengono a sottolineare nelle note del disco che non troverete traccia di elettronica o sampling. E non c’è nemmeno il didgeridoo, anche se sembrerebbe. Invece quei suoni lì provengono da flauti e clarinetti di plexiglass e PVC che Werner Durand si è costruito da sé dimenticandosi (di proposito) di farci dei fori, e che suona in un continuo botta e risposta assieme al norvegese Erik Balke (i due manco a dirlo sono studiosi, di musica indiana e iraniana il primo, di africana e balinese il secondo).
Da non cultore degli strumenti a fiato ringrazio anche la presenza della brasiliana Silvia Ocougne, che con la sua chitarra elettrica pizzicata e suonata col martelletto mette in mezzo un po’ di colpi ad effetto. Completano il campo da gioco varie percussioni, tra cui ossa e lattine.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/the-13th-tribe-03-khazar.mp3]
The 13th Tribe – Khazar

Organizzassero delle olimpiadi aborigene sarebbe il giusto background per infondere un po’ di sacro agonismo durante le competizioni di cannibalismo, circoncisione, lancio del boomerang e tiro dell’anello al naso. C’è anche la cerimonia (funebre?) di chiusura.

Un simpaticone su YouTube ha pensato bene di caricare un loro brano sovrapponendo alle racchette della cover una pallina in movimento (a dire il vero pare più una luna in miniatura). Se la osservate per più di 30 secondi finite sotto ipnosi, fate attenzione bambini.

Rimanendo nello stesso ambito segnalo un altro gruppo, stavolta formato nella San Francisco della New Wave, che ha provato ad inventarsi un’immaginaria world music, in questo caso ibridando però gamelan e musica elettronica.

Gli Other Music suonano scale microtonali che seguono la just intonation; cioè, provando a spiegarlo a un cane come me, se ogni metallofono che fa parte di un’orchestra gamelan è già di suo uno strumento microtonale, perché non ha ottave da 12 intervalli come gli strumenti più comuni, quelli che si son costruiti loro nello specifico ne hanno 14 diseguali (cioé non della stessa lunghezza) per ottava, e ognuna delle 14 note ha una frequenza che risulta semplicemente da frazioni di numeri interi, un po’ come voleva il buon Pitagora (che ora non posso evitare di immaginare con la faccia di Terry Riley). Combinandoli a un synth (il Prophet V) e ad altra roba tra cui sax, corno, violoncello, chitarra elettrica, e, nella traccia qui sotto, a un hammered dulcimer (cioè il salterio, chiamato in oriente santur), il risultato unico, a volte marziano più che indonesiano, a volte un po’ jazzy (l’incipit mi ricorda i Residents), è stato Incidents Out of Context (1983).

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/05-The-Spirit-Is-Willing.mp3]
Other Music – The Spirit Is Willing

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