Daft Punk – Random Access Memories – recensione

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DISCLAIMER: LA RECENSIONE E’ STATA SCRITTA SENZA AVER SENTITO L’ALBUM (NON ERA ANCORA USCITO)

A questo punto direi che possiamo anche fare la recensione del nuovo album dei Daft Punk, Random Access Memories. Sono bastati un minuto e 42 secondi per scatenare l’isteria collettiva. Perché i grandi gruppi fanno uscire prima un solo pezzo dell’album, il cosiddetto singolo. I grandissimi invece addirittura solo un minuto e mezzo di un pezzo dell’album, e quello basta: in poche ore decine di remix, video dei fan, loop da 10 minuti o più. Credo che manchino solo le cover a cappella ma è questione di ore. Dunque cosa dire di questo nuovo grande e attesissimo album dei Daft Punk? Per prima cosa che non delude, non delude affatto. E’ il giusto tributo al suono del futuro di Giorgio Moroder, e di questo non possiamo che esserne fieri dato che – per quanto ne sappiamo – siamo l’unico sito che festeggia ogni anno il Giorgio Moroder Day. Il tributo prima o poi doveva arrivare, per vari motivi, ma basterebbe quel “I feel love”, un pezzo di 36 anni fa che sembra fatto domani. Perfettamente integrati nel sound Daft Punk anche Chilly Gonzales, Pharrel, Julian Casablancas, il grande Nile Rodgers e Panda Bear.  Un mix di tutto ciò che è ed è stato il pop fin qui, frullato e remixato dai due robot francesi, sempre geniali nel loro essere inattuali: non seguire il suono del momento, ma imporre quello che sarà il suono del momento. E basta sentire pochi secondi per riconoscerli, soprattutto se indossano i caschi da robot.

20 thoughts on “Daft Punk – Random Access Memories – recensione”

  1. piccola nota che noi vecchi brontoloni non ci facciamo mai mancare: mi dispiace che molti spettatori del trailer al Coachella conoscano Pharrell Williams, che piace molto anche a me, ma non il grande Nile Rodgers!

  2. bè ora l’abbiamo ascoltato, pareri? il mio voto è bassino alquanto. ammetto (e linciatemi pure) che non li ho mai amati proprio alla follia (tranne che per alcuni pezzi dei primi due album) ma questo disco non mi ha regalato molte emozioni.

  3. A me piace, certo non sono i “classici” Daft Punk, ma il tempo passa per tutti e anche il modo di vedere la musica.

    Ecco una mia recensione:
    “Dopo il primo ascolto di “Ram”, il nuovo album dei Daft Punk, posso dire che è un viaggio nel mondo della musica degli ultimi 30 anni rivisitata in chiave Daft Punk. I due ragazzi sono cresciuti e si vede, scordatevi i ritornelli infiniti, qui ci sono momenti di grande classe pieni di suoni e voci misti a ritmi frenetici. Traccia che mi ha colpito la numero 3 “Giorgio by Moroder” con il grande Moroder, ma in genere tutte le tracce con i featuring sono belle. Album da riascoltare, chissà cosa ne uscirà con la vari remix che gli appassionati sicuramente inventeranno.”

  4. Nel precedente album dicevano di essere umani e questo album ne è la prova! stanno portando tutto ad un livello più reale, oramai di “robotico” è rimasto solo il timbro vocale nelle canzoni.
    Disco bellino ma non il capolavoro che ci si aspettava!

  5. a me piace molto.

    concettualmente lo trovo perfettamente in linea con i daft punk: sono sempre stati fondamentalmente (lo so, è il terzo avverbio in “ente” in poche parole) degli ascoltatori, degli appassionati di musica, che condividevano i loro amori. discovery era già questo: ecco la musica che ci piace, remixata da noi. qui invece di campionare – dato che nel frattempo hanno imparato a comporre la musica come si deve e sono diventati ricchi, potenti e famosi – hanno chiamato degli esseri umani, moroder, pharell, nile rodgers ecc. e viene fuori un bellissimo e ricchissimo diario/auotobiografia dei daft punk come ascoltatori e musicisti. c’è tutto: dal documentario su moroder alla malinconia electro, dal pop col ritornello irresistibile al musical, dal funk al delirio dance-noise finale. è un album che va sentito tante volte e tutto intero, dall’inizio alla fine. capolavoro? e boh, forse no, ma anche human after all a me all’inizio non convinceva, mentre oggi lo considero perfetto.

    un’ultima cosa, che dico non per vanteria ma per informarvi delle mie doti paranormali: dopo aver previsto, in un post di anni fa, la collaborazione tra kenye west e bon iver, circa due mesi fa ho segnalato l’ottimo thomas bloch (http://www.guylumbardot.com/thomas-bloch/) senza ancora sapere che sarebbe stato presente in diversi pezzi di RAM dei daft punk.

    che dire?

    quando volete sapere novità sulle uscite discografiche del 2018 chiedete pure.

    (e ora linciamo l’infedele mckenzie)

  6. Oh veggente finegarten mi scudiscio da solo, ha ragione! Provo però ad aggiusto un po’ il tiro: diciamo che per questioni forse anche anagrafiche non ricordo direttamente l’arrivo sulle scene dei daft e quindi non erano nelle mie “possibilità d’ascolto” allora, poi all’epoca di human ero troppo impegnato ad ascoltare cose lontanissime come stile ecc. e quindi ecco perché son rimasto per molti anni con questa “pecca”. quando li ho “recuperati” però avevo ormai sdoganato nei miei ascolti di tutto: dance, elettronica, il pop, il funk. Ho questo pensiero: se li avessi scoperti prima di questo forse mi sarebbero sembrati davvero degli angeli che mi portavano il Verbo, ora mi sembrano dei chirichetti molto bravi e devoti che sanno fare e faranno bene messa. e le messe non hanno l’appeal dei sabba, notoriamente. non so se ho reso l’idea.
    prendo il gatto a sette code.

  7. hai reso l’idea eccome. ma in realtà mi trovo d’accordo con te e con l’immagine dei chierichetti. loro (i daft) sono sempre stati una specie di tributo robotico-vivente a ciò che gli piaceva: penso al pezzo “teachers” di secoli fa, nel loro primo album. ma diciamo che anche il chierichetto diventa adulto e a un certo punto può celebrare la santa messa, se vuole. a me sembra che i daft con questo album abbiano dimostrato di essere diventati adulti. è chiaro che delle discoteche non gliene frega più niente. e a questo proposito preciso che nemmeno io all’epoca conoscevo i daft punk, sempre per ragioni anagrafiche e anche perchè in quel periodo ascoltavo cose lontanissime (ho un ricordo vago di around the world ovunque, nei supermercati, al luna park, ecc. e per un po’ credo di averla odiata, come tutti). la mia venerazione per il loro suono e per la loro maestria tecnica è nata parallelamente alla venerazione per il commendatore moroder. pensai: ecco, c’è qualcuno che porta avanti il messaggio del commendatore! quindi, come puoi immaginare, sono fra quelli che hanno quasi pianto sentendo “my name is giovanni giorgio but everybody calls me giorgio”.

  8. ecco forse l’unica delusione è che nell’album – che è una sorta di summa di tutti i loro suoni – non ci sia grande spazio per quella durezza e potenza di homework e human after all. ma così, lo dico da fan rompicoglioni. sono adulti, non è che possono fare sempre le stesse cose. questo mi ricorda i fan degli slayer che ancora oggi aspettano “un altro reign of blood”.

  9. Giorgio è l’effige Divina e i Daft da chirichetti son diventati sacerdoti di quel Verbo. abbiamo creato un ordine religioso vero e proprio 😀 bellissimo!!
    mancano le agiografie. propongo l’idea.

  10. La mia vi suonerà come la bestemmia più inaudita, ma non essendo mai riuscito ad apprezzare Moroder non riesco neanche a finire una traccia dei Daft Punk, ho crisi di rigetto. Tanto poi mi piace il vocoder di Cups degli Underworld, quanto non sopporto quello dei DP.

    Escludo dal discorso Homework, scoperto quando uscì, che mi indirizzò verso la musica degli Illuminati.

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