Musica dal mondo (vol. 2)

Vol. 1. Questa volta è stata la scoperta di alcune raccolte della sempre lodata Sublime Frequencies a fornirmi lo spunto per nuove ricerche che hanno portato alcuni succosi frutti e ancora ne porteranno, ne sono certo:

http://youtu.be/X8eSSybFb8o

e ora la danza:

ritornando verso est:

http://youtu.be/TQDS8tBqSAY

ora musica che richiede attenzione:

gli immancabili film indiano-pakistani (assolute chicche anche le immagini):

infine i musicisti di strada (nella cui ricerca è possibile perdersi innumerevoli volte):

e proprio l’ultimissima cosa in chiusura: suggerisco la ricerca di quest’album: My Friend Rain. Saludos Amigos.

Stati mentali senza confini

Qualche tempo fa parlando del disco Songs from Kadebostany scrissi che non si trattava di uno stato con la esse maiuscola ma di uno stato mentale dell’autore, una musica nazionale di se stesso. Ma ancora non ero venuto a conoscenza dell’attività dell’ungherese László Hortobágyi, che da qualche decennio fa dischi che, se proprio volete un’etichetta, possiamo definire di etnofusion, anche se a me piace di più definirle musiche tradizionali del suo cervello. Uno dei suoi dischi si chiama “Traditional music of Amigdala”, e l’amigdala, come saprete, non è un paese ma la parte del cervello che gestisce le emozioni. Hortobágyi dunque è forse il primo che si è messo a suonare le musiche tradizionali di paesi che non esistono se non nella sua immaginazione musicale.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/01.Anagatha.mp3]

László Hortobágyi – Anagatha

Nel 1967 Hortobágyi, come molti altri in quell’anno, va per la prima volta in India, registra suoni, voci e in particolare strumenti. Studia a fondo sitar, tabla, surbahar (in pratica il basso sitar, bellissimo suono) e la rudra vina. Nel 1980 fonda la società musicale “Gāyan Uttejak Mandal”, continuando ad approfondire la conoscenza delle musiche tradizionali, in particolare quelle indiane e islamiche, senza disdegnare i cori russi. Da solo, e con la Gaya Uttejak Orchestra (nel sito abbondano audio e video), fonde tutto questo con l’elettronica e i campionatori e il risultato sono una serie di dischi oscuri, tra la world- music e la new-age più dark e inquietante, che a volte sfiorano il kitsch – rischio prevedibile e inevitabile – ma che restano comunque unici e ammalianti.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/02.-Ayin-Al-Qaib-Eye-Of-The-Heart.mp3]

László Hortobágyi – Ayin Al Qaib

Si tratta di un genere di musica che davvero mette a dura prova anche orecchie pronte a tutto come le nostre. Esattamente in quale disposizione d’animo bisogna essere per ascoltare un disco intero di László Hortobágyi? Non saprei.  Alcuni titoli consigliati, se volete provare davvero qualcosa di diverso, oltre al già citato “Traditional music of Amigdala” (1991), sono “Ritual Music Of Fomal Hoot Al-Ganoubî” (1994), “6th All-India Music Conference” (1995) e “Songs From Hungisthán” (1996). Ce ne sono molti altri – e tutti con copertine bellissime – ma ancora non li ho sentiti.

L’idea di musica tradizionale globale (o quasi) mi ha ricordato Jon Hassell, che già alla fine degli anni 70 aveva iniziato a trafficare con trombe, strumenti tradizionali e sintetizzatori e a fondere tecniche orientali, minimalismo, elettronica e jazz, con l’intuizione di una musica del quarto mondo, che sarebbe la somma del terzo mondo con il primo. Occidente più India e Asia, ma non solo, ad esempio anche Africa. Una bella testimonianza dell’assenza di confini di Jon Hassell è questo video, un’esibizione con i Farafina, un gruppo del Burkina Faso con cui ha inciso il disco “Flash of the spirit” (1988):

Trombettista, collaboratore di Terry Riley e LaMonte Young e allievo di Pandit Pran Nath, Hassell applicò le tecniche dei raga alla sua tromba jazz, con risultati magici e innovativi, in dischi come il primo capolavoro “Vernal Equinox” (1977), “Dream Theory in Malaya” (1980) (il mio preferito), “Aka-Darbari-Java: Magic Realism” (1983) e “Possible Musics Fourth World” (1980) con Brian Eno, che poi si servirà dell’esperienza per il citatissimo e in qualche modo epocale “My Life In The Bush Of Ghosts” (1981) con David Byrne. Oltretutto, la tromba che sentite in Houses in Motion dei Talking Heads è proprio quella di Jon Hassell.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/Jon-Hassell-Dream-Theory-In-Malaya-03-Dream-Theory.mp3]

Jon Hassell – Dream Theory

Sempre di India e sempre di viaggi fisici ma soprattutto mentali si può parlare a proposito di Ghédalia Tazartès e del suo ultimo disco. Se conoscete Ghédalia Tazartès e sapete scrivere il suo nome con gli accenti giusti senza doverlo cercare su Google, sapete anche che è uno di quelli che, almeno musicalmente, sembrano provenire proprio da un altro mondo. Ed è per questo che ci piace tanto. E’ musica etnica, ma di quale etnia esattamente? World-music, ma di quale world?

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/03-Dire.mp3]

Ghédalia Tazartès – Dire

Ma stavolta, per questo suo nuovo viaggio, abbiamo dei confini precisi, più o meno. Si tratta in realtà di due viaggi, compiuti da Ghédalia in Kerala, nell’India meridionale, il cui risultato è Coda Lunga, cd più dvd con le immagini registrate nel 1995. Ma non aspettatevi niente di particolarmente “indiano”, come già detto è soprattutto un viaggio dentro la sua testa. E se ogni disco di Ghédalia Tazartès è un viaggio (basta ascoltarli o anche solo leggere i titoli nella sua discografia) questo lo è più di ogni altro. Meraviglioso e assolutamente consigliato se volete viaggiare e trascendere generi e confini, attraverso culture, tradizioni e stati mentali.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/07-Shy.mp3]

Ghédalia Tazartès – Shy

Buon 2009 da Guylum Bardot

Potrebbero seguire cose succulente, affinché il LOL possa governarci per tutto l’anno che viene e la musica possa guidarci verso riti orgiastici di dionisiaca memoria; magari la questione Ughi-Allevi dipanata con calma o artisti dello ’08 poco notati e scoperti col fluire delle incessanti classifiche. Nel frattempo, il singolo tratto dal nuovissimo album di Antony and the Johnsons, e tanti AUGURI DI BUON ANNO.