Tim Hecker & Daniel Lopatin – Instrumental Tourist

Sappiamo chi è Tim Hecker, e sappiamo che ogni gesto che porta a conclusione, con finalità musicali, viene prontamente riportato su Guylum Bardot. Daniel Lopatin non è altri che Oneotrix Point Never, nome in codice dell’autore che l’anno scorso aveva portato alla ribalta un album degno di qualche attenzione.
Questo album, invece, dalla copertina a metà tra l’onirico e l’effetto degli psicofarmaci, di sicuro possiede due particolarità: innanzitutto è una collaborazione interessante sotto molti punti di vista, in secondo luogo sembra farsi apprezzare ascolto dopo ascolto. Il tipo di collaborazione non rappresenta il solito tentativo di creare una copia conforme dello stile di Hecker e Lopatin poi ma, viceversa, di dar vita a una creatura dall’aspetto “nuovo”.
E qualcosa di insolito, in Instrumental Tourist, c’è. Non abbiamo possenti rumori o traversate ascetiche tipiche dell’ultimo Hecker ma un ambient corrotto da continue melodie (processate e rimaneggiate).

La sinteti frammentata si avverte dall’inizio così come i sintetizzatori psichelelici del russo Lopatin (Uptown Psycheledelia), non mancano all’appello tracce oscure ed ambientali (Vaccination (for Thomas Mann)), picchi di gran classe che solo professionisti del suono sanno donare (binomio Racist Done a Grey Geisha) e altre virate elettroniche heckeriane sparse come il prezzemolo.
Ci si poteva aspettare qualcosa di diverso, forse, seguendo la logica dei due autori, ma sicuramente ognuno trarrà le sensazioni che più ritiene appropriate a questo lavoro, come insegna un commento retwittato giorni fa dallo stesso Tim Hecker:

this tim hecker / daniel lopatin album is the most racist thing ive ever heard wow

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/10/09-Grey-Geisha.mp3]
Tim Hecker & Daniel Lopatin – Grey Geisha

San Valentino in CD-ROM

Piccola incursione, solo per dire che quest’anno, nel giorno di San Valentino, escono due album dell’amore: Tim Hecker – Ravedeath, 1972 e PJ Harvey – Let England Shake. Entrambi già disponibili dall’archivio della rete. Su Tim Hecker non mi pronuncio, perchè ognuno si deve gestire le emozioni come vuole, ed io talune non le descrivo. Su PJ Harvey invece digito giusto 30 battute in più di foglio word: è una bomba atomica, un cazzo di album che aspettavo da tempo perchè ho sempre odiato i suoi dischi d’esordio, e ho sempre pensato che “Stories From The City, Stories From The Sea” sia stato un grande passo avanti per l’artista. E’ un disco che, per quanto concerne il mio universo percettuale, rasenta la cazzo di perfezione.
Michael Stipe dei R.E.M. ebbe modo di dire: “PJ Harvey is one of those musicians you can’t match no matter what you do… she’s unique”.
Let England Shake” è anche un disco sulla guerra, perchè PJ Harvey, con il suo volto tra il bello e l’odioso, si è giustamente chiesta “so che ci sono i poeti di guerra e gli artisti di guerra. Quindi ho pensato: beh, e dove sono i compositori di guerra?”. Si ascolti per es. la traccia “The Glorious Land” per assaporare un effetto straniante e melodicamente stridente. Ma poi, ogni canzone è un potenziale singolo (Dio che dall’alto ci proteggi, perdona se pecco con “On battleship Hill”).
L’album si può ascoltare, anche liberamente.

A margine, si potrebbero citare almeno altre cinque uscite che meritano attenzione, però adesso no, perchè vado a fare l’amore.