The Bunny Boy, ultima grande fatica dei Residents.
Difficile definirlo, come del resto è difficile definire molte delle realizzazioni dei bulbi oculari meno famosi della Louisiana. Intreccio audiovisivo che s’ammanta di un background fin troppo ermetico? Ennesimo sguardo monoculare sul terrificante e crudo tema dell’infanzia? Necessario compagno di Tweedles nella musicalizzazione di perfette dissociazioni e di deliziosi disturbi della personalità? Definitiva dimostrazione che i Rez si sono ammosciati?
Everyone is crazy, in a one man show.
Stando al booklet, The Bunny Boy sarebbe stato ispirato dalla richiesta d’aiuto di un ex-colleague dei Residents, alla ricerca di un suo fratello scomparso presumibilmente nell’isola di Patmos, nel Dodecaneso. L’ex-colleague, conosciuto come Bunny, avrebbe spedito al gruppo una serie di DVD (intitolata Postcards from Patmos) che documentavano la sua ricerca, pregando di aiutarlo a caricarli nel vasto Internets. Prevedibilmente, quando i preoccupati Residents tenteranno di risalire a Bunny, non ne troveranno traccia. The Bunny Boy rappresenterebbe la trasposizione in musica di Postcards of Patmos — a detta dei Residents troppo tecnicamente rozzo persino per essere fatto circolare su YouTube. Un concept, insomma, vago ed oscuro, pieno di rimandi pressoché impossibili da seguire, in poche parole, in perfetto stile residentsiano.
Every now and then I dream I killed my brother Harvey
Anche nelle tematiche dell’album troviamo alcuni tòpoi delle opere principali dei Rez. Primo fra tutti, un’abile satira verso il pop; diretta e graffiante in The Third Reich ‘n Roll e in Petting Zoo, in The Bunny Boy è annunciata “per iscritto”¹ e viene poi a svilupparsi nella successione delle tracce: Boxes of Armageddon e Rabbit Habit sembrano avere un insolito coefficiente di catchiness, di orecchiabilità, che ricorda quasi WB:RMX e il Commercial Album (altri due capolavori di decostruzionismo pop), neanche i testi sembrano essere particolarmente inquietanti o complicati. Ma da I’m Not Crazy² in poi si discende lentamente verso i Residents “classici”, facendo scomparire l’abito pop: Pictures From a Five Year Old e I Killed Him riprendono lo stile narrativo di River Of Crime e di Tweedles — riuscendo, credo, più spaventose dei due album messi insieme — mentre Secret Message, It Was Me e I’m Not Crazy ricordano la vis paranoide-aggressiva di pezzi come Secrets.
When I was a little boy, I didn’t have a dad
So I built a miniature butcher shop instead
Un altro tema caro alle palle d’occhi centrale in The Bunny Boy è quello dell’infanzia: l’album ha una marcata impronta intimistica, sia il booklet che la serie di video sono pieni d’immagini della cameretta di Bunny — vedi Secret Room. Butcher Shop, Bunny Boy e The Black Behind raffigurano l’inadeguatezza, la tristezza e le paure di ogni bambino. Se poi qualche particolare bambino appende un’anatra morta nella sua cameretta e custodisce gelosamente an eyeball that can sing, noialtri dobbiamo solo essere contenti.
The Golden Guy had a voice like Elvis.
E i Residents sono riusciti a farci stare anche Elvis. Un pensiero ad Elvis, che la gente spesso chiamava il “Re”.
Ci sarebbe molto altro da dire su The Bunny Boy, inoltre — principalmente (anorgasmiche) masturbazioni mentali. E’ senza dubbio uno degli album più importanti dei Rez, raffinato ed autoconsapevole, un classico dalla nascita perché maturo. Proprio per questo ci si potrebbero costruire sopra decine di teorie, scorgere tanti segnali, risolvere misteri, svelare identità… Il mio personale consiglio in merito è di fottersene: sono i Residents, un po’ d’enigmistica occultista sulle loro releases è ok, ma i calcoli babilonesi coi copyright, le location, le mamme e le sorelle sembrano solo cretinate da feticisti e investigatori privati delle corna. Chi mi capisca, mi capisca.
E non fatevi vedere al concerto.
1. The Bunny Boy booklet, pag. 2
2. Io all’inizio avevo letto I’m not Craxi e m’ero messo a ridere come uno scemo.
UPDATE: e al concerto di roma c’eravamo.