La Eco di Ripatti

[avvertenza: questa è una lunga monografia, perché quest’uomo la merita] 

Sasu Ripatti è un nome parecchio bruttino, involontariamente divertente, non trovate? Così di primo acchito lo assocerei ad un comico, e quindi capisco la scelta del musicista finlandese intenzionato a fare musica elettronica sostanzialmente scura e ambientale di accantonare il nome di battesimo per crearsene uno nuovo di zecca; il punto è che la cosa gli è piaciuta così tanto da crearsene almeno 4 o 5 di nomi. Ma cominciamo dal principio: il primo fu Delay, Vladislav Delay, molto più freddo in effetti, direi azzeccatissimo. E poi scegliersi come “cognome” il famoso effetto eco (ecco il piacione gioco di parole nel titolo) fu cosa buona e giusta. Siamo nel 1999, Sasu ha 23 anni.

Delay pubblica un primo album di fredda elettronica, ma le cose non sono ancora perfettamente al loro posto; tempo pochi mesi e il nostro, stacanovista fino al midollo, se ne esce con quattro album ognuno recante un moniker differente! e una differente declinazione della sua musica:

1) con il nome di Sistol pubblica un album omonimo che rigira su una minimal-techno in voga in quegli anni; 2) è poi la volta di Uusitalo con l’album Vapaa Muurari nel quale stavolta la techno si fa molto più ghiacciata e ambientale; 3) un secondo album a nome Delay, Multila e qui l’odore è già quello del capolavoro: l’atmosfera è sostanzialmente fredda e dub-techno, la cavalcata è Huone; 4) l’anno non fa in tempo a finire che Sasu ci mostra un ennesimo suo aspetto, quello di consumato uomo da club (il nostro è nato su una piccola isoletta finlandese ma nel 2000 viveva già da qualche anno a Berlino) con Luomo, l’album è Vocalcity, il pezzo che lo porta alla “ribalta” Tessio, e non so voi, ma io ascoltandolo non riesco a non figurarmi in uno di quei mega-club berlinesi a dimenarmi dolcemente.

Insomma un annus mirabilis per il nostro che dimostra di essere non solo prolificissimo ma anche su una strada lastricata d’oro; e il bello è che siamo solo all’inizio. Continuiamo:

in quel preciso momento Delay avrebbe potuto schiacciare sull’acceleratore e puntare al “successo” ma invece, da uomo in costante ricerca artistica quale è, fa un passo indietro e pubblica due album di non facile presa col suo moniker principale, Entain e Anima; il primo è freddissimo (ma ci regala un dolce congedo), il secondo, altro capolavoro, è una lunga traccia di bhò, vediamo: glitch, dub, techno-house al rallentatore e suoni vari, ma diamine quanto prende!

http://youtu.be/RbAxbvWCSOQ

Il 2002 lo vede in giro per il mondo a mietere consensi nelle due vesti di sperimentatore elettronico e dj (raffinato). Ed è infatti con Luomo che torna nel 2003, album The Present Lover, dove si fa più piacione e sessuale, ma provate a non muovere le natiche e a dondolare la testa e poi mi fate sapere. Dopo questa che sembra essere una sbornia di topa (o passera che si dir si voglia) come spesso accade il nostro mette la testa a posto concedendoci spazio anche per il gossip: si innamora e mica di una qualsiasi! nientepopodimeno che di Antye Greie, in arte AGF, un’altra prolifica sperimentatrice elettronica, insomma proprio pappa e ciccia. Eccoceli quindi subito lavorare insieme e pubblicare l’album Explode:

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/12/03-All-Lies-On-Us.mp3]

AGF/Delay – All Lies On Us

Come si può evincere non è musica per tutti i palati, un’elettronica particolarmente scarna e ficcante ma incredibilmente, grazie alla calda voce di Antye, anche molto avvolgente. L’album è davvero bello, come anche quello che lo seguirà, The Dolls, nome del progetto nel quale la coppia si avvale di un terzo membro, il pianista Craig Armstrong, che con il suo tocco aggiunge quel pizzico di trip-hop che rende il tutto forse ancora più unico. Grazie alla moglie quindi (ah sì, nel frattempo si sposano, hanno una bambina e rincasano al natio ghiaccio finlandese) il nostro ritorna su binari molto prossimi alla sperimentazione e decide di rispolverare (siamo nel 2006) il suo vecchio aka meno vendibile, Uusitalo; gli album saranno due, ma nel secondo Sasu ci miscela un po’ di Delay e un po’ di Luomo; il risultato è ancora una volta bhò, forse una dance per igloo.

Da questo momento in poi (mi) è sempre più difficile catalogare o spiegare la musica del nostro che davvero pare assurgere (meritatamente) a maestro intoccabile che può fare quello che vuole, e così, tornando al suo nome “famoso”con Whistleblower, crea cose di questo tipo:

Inizia il 2009 è sarà un altro anno intensissimo: 1) secondo album a nome AGF/Delay, ancora un potpourri di roba: synth-pop, avant-elettronica, techno-dub

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/12/09-Symptoms.mp3]

AGF/Delay – Symptoms

2) arriva su disco un progetto cominciato on stage l’anno prima a nome Moritz Von Oswald Trio; l’idea è la seguente: tre smanettoni dell’elettronica (il primo non ha bisogno di presentazioni e guida il terzetto, l’altro è Max Loderbauer) che si mettono a suonare come un trio jazz, quindi improvvisando parecchio. Inoltre il nostro torna anche al suo strumento originario, la batteria, ovviamente campionando e processando i suoni; l’album è Vertical Ascent e merita sicuramente un ascolto; 3) ancora un album a nome Delay e, vi dirò, più difficile che mai, Tummaa, questo il suo nome. Si sentono anche degli strumenti “veri” per la prima volta in un suo solo-album, ma sono trattati quasi in maniera industrial; insomma robetta difficile ma almeno un gran bel pezzo c’è:

Il 2010 scorre sopratutto lavorando dal vivo in giro per il mondo, sia da solo che con gli ultimi amichetti del MvOT. Ci sarà un’unica pubblicazione, stranamente a nome Sistol, On The Bright Side, che ancor più stranamente è più house-oriented anche de Luomo, comunque il lavoro scorre più che piacevolmente e lo renderà ancor più stimato nel settore club (è uscita anche una versione remixata dell’album da parte di altri producer). Personalmente ho goduto davvero non poco con la dance-hypnagogica di questo brano/video:

Il 2011, ci si può non credere ma, come il 2000, è ancora un anno-boom da quattro uscite/quattro nomi:

1) debutta il Vladislav Delay Quartet; è palese che il nostro c’ha preso gusto con il MvOT e ripropone gli stessi stilemi, salendo però in cattedra; sul suo sito la presenta così: VDQ is an expansive and multifaceted listening experience, consisting of Vladislav Delay (drums and percussions), Mika Vainio (electronics), Lucio Capece (bass clarinet and soprano sax) and Derek Shirley (double bass). Per chi non lo ricordasse Mika Vainio è uno dei due Pan-Sonic, quegli altri finlandesi autori di diversi capolavori (un’esperienza di vita è ascoltare il loro mostro in 4 cd Kesto). Ancora una volta vi posso dire che l’ascolto non è tanto facile; il pezzo che mi piace di più è assai kosmico.

2) seconda uscita del Moritz Von Oswald Trio, Horizontal Structures, migliore del precedente; meno ostico, con addirittura echi di chitarre e bassi funky. Qui la seconda struttura, anche questa molto kosmica, ma con reminescenze di antiche tribalità ormai microprocessate.

3) torna anche Luomo con l’album Plus e stavolta il tutto è molto soul e quindi non si può che sognare Chicago. Da godere senza troppo pensare.

4) Vantaa a nome Delay, ormai ennesimo grande album: ambient, glitch, dub, il tutto ovattato e liquido. E a proposito di liquido ho scovato questo in rete, un altro italiota che (forse) ama Delay, da Burano:

Nell’anno che sta ormai per terminare e con il quale, come sappiamo, terminerà l’umanità tutta il nostro ci ha regalato ancora una buona prova con il Moritz Von Oswald Trio, Fetch e, freschissima di pubblicazione, l’ultima fatica a nome Delay, Kuopio che ho finito di ascoltare proprio pochi istanti fa. Commenti a caldo:

Sasu è oramai un guru dell’elettronica, c’è poco da dire, sta imparando a miscelare molto sapientemente tutte le sue diverse anime, ma senza strappi nell’ascolto; me l’immagino suonare ad occhi chiusi; è sempre più emozionale ma anche sempre più incatalogabile (e sappiamo tutti che questo è un bene). Il più recente dei capolavori, ma sicuramente non l’ultimo.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/12/04.-Vladislav-Delay-Kellute.mp3]

Vladislav Delay – Kellute 

Lunga vita.

Postilla (e poi giuro che smetto): VD lo conoscevo da un paio d’anni, ho rischiato di vederlo dal vivo l’anno scorso e ne avevo ascoltato qualche album, poi, come spesso accade, l’uscita del suo ultimo disco me l’ha riportato alla mente e ho deciso di approfondirne le gesta e mi sono lasciato coinvolgere in alcune settimane d’ascolto. Alla fine è sempre inevitabile chiedersi (almeno per persone come me): perché l’ho fatto? ne è valsa la pena? ovvero: siate certi che, a meno di enormi imprevisti qualitativi, avrei portato comunque a termine la mia “missione”, cioè ascoltare tutti i suoi album; sono un completista, un fissato, ma so di non essere l’unico: ho letto di casi del genere nel libro (che vi consiglio tanto) di Reynolds Retromania. Insomma voglio andare a parare al punto che con Delay la missione la posso ritenere non solo portata a termine ma anche con risultati positivi (anche se ci sarebbe da fare tutta un’altra discussione su quando sia più il caso di ascoltare musica del genere, se ci sia un umore giusto e così via), ma alle volte le cose non vanno così e mi ritrovo ad aver ascoltato musica che poi mai più ho la voglia di riascoltare. Delle volte è frustrante perché pensi che ti stai perdendo altri ascolti, ma sopratutto perché pensi, se “da grande” non lavorerò in radio o farò il catalogo umano che me ne faccio di tutta questa roba? e: il mio cervello andrà in pappa prima o poi? e: qual è il senso della vita?

GAS

Possibile che da mesi a questa parte tutti i miei post abbiano qualcosa a che fare con The Field, ancora lui?
Ebbene sì. Il fatto è che di recente il nostro idolo svedese ha compilato una Top 5 di alcuni dei suoi brani preferiti, e con piacere ho notato che fra questi ne compare anche uno di tale Gas, musicista tedesco che, se fossi un giornalista di una rivista alla moda, definirei seminale nel campo della musica ambient. A dire il vero la sua presenza tra le influenze di The Field è abbastanza ovvia: in primis perché Gas, al secolo Wolfgang Voigt, è il titolare della celebre etichetta berlinese Kompakt di cui fa parte anche il Nostro, ma soprattutto perché effettivamente il suo stile compositivo ha anticipato di molto ciò che The Field ha poi sviluppato negli album che tutti noi amiamo, ovvero: cassa dritta, loop infiniti, suoni spettrali (e lo dice lui stesso).
La differenza fra “maestro ed allievo” sta però nel particolare tipo di atmosfere più rarefatte ed impalpabili, rispetto alla sublime ricchezza di The Field, che Gas è riuscito a creare: la sua intenzione, come disse in questa intervista, era quella di “bring the forest to the disco, or vice-versa”. Ed effettivamente non saprei come descrivere la sua musica se non come la colonna sonora di un incubo claustrofobico ed angosciante (o di un rilassante trip drogato da acidi, a seconda dei casi) ambientato in una foresta tedesca, di notte. Ascoltare per credere.

Tra gli appassionati del genere gode di ottima fama, tanto che la sua celebre quadrilogia Gas/Zauberberg/Königsforst/Pop è stata per anni un cimelio raro da cifre astronomiche su eBay, prima che fortunatamente venisse ripubblicata nella raccolta Nah und Fern del 2008.

E’ di Gas anche un altro pilastro fondamentale (eufemismo) dell’ambient moderna, e cioè “Microscopic”, dallo stile però decisamente diverso rispetto al resto della sua produzione e scaricabile a gratis da qui.
Altre informazioni interessanti su Wikipedia.
Mi scuso inoltre se i brani sono pesantucci da scaricare.

Lindstrøm + Lindstrøm & Prins Thomas

The Field ci ha fatto ritornare la voglia di kosmische musik. Quale occasione migliore, dunque, per rispolverare un classico della “nuova” kosmische, quella con incursioni dance, la cosiddetta “space disco“, e cioè l’album Where You Go I Go Too, capolavoro del 2008 del norvegese Lindstrøm. Premetto che mi è difficile allegare dei brani completi: l’album è composto da tre tracce, rispettivamente di 29, 10 e 16 minuti, per cui mi permetto di inserire solo alcuni estratti comunque abbastanza rappresentativi. La lunghezza dei brani ricorda un po’ le suite elettroniche degli anni ’70 e ’80, quei viaggi spaziali di Jean-Michel Jarre, Vangelis, Moroder. E infatti si sentono tutti questi signori nelle sonorità di Lindstrøm, insieme appunto ai maestri del kraut-qualcosa (Kraftwerk, Popol Vuh per dirne due) e a tutta la tradizione sintetizzatronica della ambient techno. L’album è meraviglioso, ma è inutile dire altro, se non: recuperatelo immediatamente e fatevi quest’oretta di discoteca intergalattica.

Tra l’altro a fine Maggio uscirà il nuovo album di Lindstrøm, II, in collaborazione con Prins Thomas, un altro astro nascente della dance sperimentale.
(Purtroppo ci tocca sottolineare che dei delinquenti senza rispetto l’hanno già diffuso in rete, ma ricordiamo anche che Guylum Bardot si proclama fedele a San Pio, la Madonna di Medjugorje e i dischi originali)
II è forse più classico nell’impostazione (brani più corti anche se – per fortuna – sempre prolissi, mai sotto i 6 minuti), nei suoni e nelle melodie, tanto che alcune tracce (For Ett Slik Og Ingenting e Note I Love You + 100) hanno qualcosa addirittura degli Air. Non per questo però meno originale, e il contributo di Prins Thomas si fa sentire soprattutto nella sua specialità: i ritmi tribali (se pensate che bonghi e moog non vadano d’accordo, ricredetevi immediatamente). Insomma, forse non regge il confronto con la pietra miliare da solista di Lindstrøm, ma per quanto mi riguarda finisce dritto dritto nella Top 20 del 2009.

Scopro anche che Lindstrøm ha suonato al Dissonanze 2009. Un peccato essersi persi un concerto a cui comunque non sarei mai andato.
Nella foto, da sinistra: Lindstrom e Prins Thomas

The Field – Yesterday and Today

the-field-yesterday1come annunciato, ci siamo. il nuovo disco di the field.

dai, diciamolo subito: a un primo ascolto lascia un po’ confusi perché non è come From Here We Go Sublime, che in effetti era l’unico modo che aveva il nostro caro amico Campo per non deluderci: rifare quel disco tale e quale, senza variare nulla. direi che avrebbe dovuto solo cambiare la copertina se non fosse che la copertina è più o meno la stessa. ma il disco invece è un po’ diverso. più strumentale, più progressive, come promesso. e richiede maggiore pazienza.

io l’ho ascoltato tutto fino a sequenced, pezzo kosmische musik che non vedevo l’ora di sentire, e poi sono andato a correre.

al ritorno, stanco, sudato e pieno di endorfine, yesterday and today si è rivelato lentamente bello. quindi da fan sarò fedele al primo comandamento che riguarda i nuovi dischi dei nostri idoli, ovvero:

se il nuovo disco non ti convince, sei tu che stai sbagliando.