Raime EP

già accennato a proposito dell’esplosione del dubstep e delle sue possibili derive, e adesso che il disco mi è finalmente arrivato, qualcosa va detto. Il self-titled dei Raime ha sollevato una breve ma intensa botta d’hype tra i blog di musica più influenti (Simon Reynolds, tra i primi, si dimostrò particolarmente interessato), e, cosa rara nella storia delle botte d’hype, questa volta un motivo c’è. In ambito dubstep, o almeno da quando il genere è assurto allo stato di next (?) big thing e come tale s’è consolidato, questo EP infatti è importante come Burial, se non addirittura di più. Segna la nascita di un dubstep che non è più solo veicolo emozionale, ma dotato dal principio di un preciso bagaglio emotivo. Virate in questa direzione erano già presenti nei lavori del già citato Burial, e di artisti come Distance e Shackleton, che hanno apportato al genere una maggiore carica soggettiva, senza mai distanziarsi troppo dai suoni, dall'”ideologia” e dall’eredità dubstep. I Raime, invece, hanno poco a che vedere con gli stereo da macchina e dalla drum ‘n’ bass che hanno influenzato Burial, così come col DMZ e col dancefloor in generale. La struttura e i tempi rimangono quelli; tutto il resto, quello che identifica un artista, sembra il figlio silenzioso e inquietante dell’ambient di Boyd Rice, dei ritmi solenni e romanticheggianti dei Death in June, dell’atmosfera oscura e angosciata dei Dead Can Dance e dei meandri oscuri della prima 4AD (è comparso anche il nome di Prurient nel mixtape più recente). Blackest Ever Black, l’etichetta che ha rilasciato l’EP, è molto chiara a proposito della sua filosofia: qui si parla di sensucht, di art, as opposed to engineering, di nichilismo, di pragmatismo, di romanticismo (e ci azzeccano pure la citazione throbbinggristlianoboydriceana alla fine, giusto perché non s’era capito) — non proprio argomenti da nightclub. Insomma, un’intenzione molto più seriosa dei fantasmi metropolitani di Burial e dei demoni di Distance, sorretta da uno scheletro dance.

Il risultato, quindi? Il risultato è dannatamente bello. Dionisiaco e apocalittico come solo il noise e l’industrial erano mai riusciti, ma meno corrosivo e più inquietante. Coinvolgimento del dubstep e straniamento della musica per adolescenti introversi. I suoni sono percussioni marziali, con qualche aggiunta di sawing e voci evocative sparse. Tracce (menzione d’onore al lato B) lunghe ed evanescenti che si snodano come pezzi post-punk ma all’osso restano dubstep. E’ un EP da avere sia per il suo valore ‘storico’, sia perché, cristo, oscuro + evocativo = wow. Due le controindicazioni: speriamo che i Raime non generino una schiera di simil- e imitatori nella maggior parte dei casi patetici (vedi: quello che è successo coi Salem), e speriamo che non si piglino troppo sul serio. Non vorranno mica finire come Prurient.

Raime – We Must Hunt Under the Wreckage of Many Systems

Raime – We Must Hunt Under The Wreckage Of Many Systems

Trotsky ed altri pasticci

Segnalazioni varie a pioggia e senza un criterio preciso o una volontà di trovare un nesso logico.

Traggo spunto dal blog di canzoni tristi ma che tanto ci piacciono, dove Andrea Girolami sceglie un bellissimo ma bellissimo ma bellissimo pezzo di John Frusciante e giustifica la scelta parlando di una scena del film La stanza del figlio di Nanni Moretti.

C’è questa scena nel film di Nanni Moretti, “La stanza del figlio”, in cui l’inconsolabile padre continua a riascoltare la stessa canzone. Neanche tutta per intero ma solo pochi secondi, un frammento mandato avanti e indietro in continuazione, il regista lascia intendere che sono ore che è lì davanti e ci rimarrà ancora per molto. Perché quando una cosa fa troppo male funziona così: la devi prendere poco alla volta, quindi repetita iuvant e se è una cosa breve tanto meglio, si possono moltiplicare le dosi.

Ricordo perfettamente la scena, riproposta qui sotto anche se brutalmente estratta da tutto l’importante contesto del film. E’ uno dei momenti più toccanti e potenti del film, e ricordo che quando mi capitò sott’occhi durante la visione, piansi come un deficiente e come un disperato. In pochi secondi Moretti ha filmato un concentrato di dolore, un essere pensieroso in posa che cerca una valvola di sfogo con piccoli gesti. Inoltre sarà sicuramente capitato a tutti di riascoltare una canzone o solo una parte di essa (a me capitava di brutto con i gruppi progressivi come i Dream Theater che hanno la frenesia di non farti gustare una melodia che subito dopo cambiano tutto). Il pezzo dentro l’Hi-Fi è Water Dances di Michael Nyman.

Ma passiamo ad un’altra primizia: twinsistermoon, il 50% puro maschio (anche se francese) già piacevolmente segnalato con un pendente annuncio dell’album in questione, ci ha soddisfatti: “Then Fell The Ashes” si può già ascoltare, in qualche modo.
Com’è? La prima traccia è ciò che io ho sempre chiesto dai Natural Snow Building, cioè droni pesanti, chitarre elettriche dilatate all’estremo e psichedelia che porta sull’orlo del baratro (difficile tutt’oggi dimenticarsi della traccia d’apertura segnalata tra i best 2009). Il resto è tutto sommato sulla falsariga dei precedenti, quindi, tradotto, è OK.

[audio: http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/09/01-Black-Nebulae.mp3]
TwinSisterMoon – Black Nebulae

[audio: http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/09/05-Desert-Prophecy.mp3]
TwinSisterMoon – Desert Prophecy

Il già segnalato Ducktails, sembra non essere apprezzabile esclusivamente tramite live che vengono rilasciati in forma gratuita, ma anche tramite album che vengono rilasciati in forma meno gratuita. Landscapes è pieno di tranquillità, pieno di armonie che vorresti ascoltare all’alba, o durante un viaggio di ritorno. Lui, una chitarra, alcuni effetti. Non si richiede molta strumentazione per stare bene.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/09/03-Roses.mp3]
Ducktails –  Roses

I Blue Sky Black Death li conosciamo, per Dio. Fanno soundtrack con tutto ciò che è commissionabile, i loro beats sono giunti al Wu Tang Clan, gli Hieroglyphics, Jean Grae ed parecchi altri. Ma l’ultimo album appena uscito è addirittura Pop, si Pop. Vabbè, intendiamoci, le basi son sempre quelle loro e facilmente riconoscibili, cambia solo il cantato. Questo mi porta quindi a pensare che non è da escludere, tra qualche anno, una base blue sky black death con un cantato death metal alla cannibal corpse. Qui il video del singolo.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/09/10-Scandal.mp3]
Blue Sky Black Death – Scandal

Poi c’è Kevin Drumm, oscuro uomo amante del rumore analogico. Personalmente lo piazzerei già nell’olimpo degli eletti, per il solo fatto di aver fornito all’umanità due album come Imperial Distortion e Imperial Horizon. Adesso va oltre, fa scaricare tramite Mediafire il suo ultimo lavoro! E’ intitolato “The Obstacles of Romantic Exaggeration”. Avvertenza: si denota la presenza massiccia di rumore.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/09/01-hang-the-hustlers.mp3]
Kevin Drumm – Hang The Hustlers

Altre piccole grandi cose:

e concludiamo con un classico intramontabile, che ci riporta ciclicamente a Moretti, il pasticciere trotzkista: