Sorveglianza novembrina

Sorveglianza

ovverosia: it’s hard to remember / what we did last november — un paio di segnalazioni para-danzerecce poco coerenti con le condizioni atmosferiche.

Della città di Chicago, che oggi evoca la becera indietudine contemporanea, dovrebbe essere soprattutto ricordata la maternità della house. Non serve parlare di come il genere abbia influenzato direttamente e indirettamente molta della musica che conosciamo e amiamo (vedi: Detroit, Salem, filiazioni e derivate moderne della dance). E di Chicago è la Mathematics Recordings, gestita da Jamal Moss (aka Hieroglyphic Being), che rilascia senza posa interessanti settepollici. Notevoli soprattutto gli Africans With Mainframes, indubbi vincitori del premio per il miglior nome di un’unità musicale, a cui piace combinare la house Chicagense della prima maniera con vocoder e percussioni terzomondiste; risultato è una piacevole commistione sperimentale che sa dei David Byrne e Brian Eno più africaneggianti mentre si fanno un giro nel midwest americano accompagnati dai Kraftwerk.

Altrettanto interessante è il vicino futuro della Aus Music, etichetta inglese le cui pubblicazioni dubstep e techno sono tra il meglio che c’è in circolazione: melodie velate e beat a frammentazione, suoni strani e potenza bassa, insomma tutto quello che ha reso interessante il dubstep à la Werk Discs. Nomi come Appleblim, Joy OrbisonAl Tourettes e Ramadanman sono da tenere d’occhio tassativamente per chiunque sia interessato a quell’area. La Aus Music vanta già remix di nomi del calibro di Actress, e ancora migliore sarà la partecipazione al prossimo(22 novembre) Void 23: niente meno che Carl Craig (per chi non conoscesse Carl Craig, questo e questo possono dare un’idea).

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Al Tourette’s & Appleblim – Mr Swishy

In uscita a novembre è anche il nuovo EP dei Raime, If Anywhere was here he would know where we are/This Foundry (Regis version), che si spera bello come il primo, sempre per Blackest Ever Black — da qualche tempo in quelle zone si è interrotto il costante flusso di link a oscuri pezzi post-punk e dark ambient. Indice di lavori in corso?

Chiudo, dopo la breve sequela di ritmi, con una delle mie canzoni novembrine preferite, nonché una delle più belle cover di tutti i tempi. Perché le novità e l’aspettativa possono andare anche bene, ma le sigarette sotto la pioggia, le mani fredde, la solitudine e il grigiore restano sempre meglio.

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Junior Boys – When No One Cares

Raime EP

già accennato a proposito dell’esplosione del dubstep e delle sue possibili derive, e adesso che il disco mi è finalmente arrivato, qualcosa va detto. Il self-titled dei Raime ha sollevato una breve ma intensa botta d’hype tra i blog di musica più influenti (Simon Reynolds, tra i primi, si dimostrò particolarmente interessato), e, cosa rara nella storia delle botte d’hype, questa volta un motivo c’è. In ambito dubstep, o almeno da quando il genere è assurto allo stato di next (?) big thing e come tale s’è consolidato, questo EP infatti è importante come Burial, se non addirittura di più. Segna la nascita di un dubstep che non è più solo veicolo emozionale, ma dotato dal principio di un preciso bagaglio emotivo. Virate in questa direzione erano già presenti nei lavori del già citato Burial, e di artisti come Distance e Shackleton, che hanno apportato al genere una maggiore carica soggettiva, senza mai distanziarsi troppo dai suoni, dall'”ideologia” e dall’eredità dubstep. I Raime, invece, hanno poco a che vedere con gli stereo da macchina e dalla drum ‘n’ bass che hanno influenzato Burial, così come col DMZ e col dancefloor in generale. La struttura e i tempi rimangono quelli; tutto il resto, quello che identifica un artista, sembra il figlio silenzioso e inquietante dell’ambient di Boyd Rice, dei ritmi solenni e romanticheggianti dei Death in June, dell’atmosfera oscura e angosciata dei Dead Can Dance e dei meandri oscuri della prima 4AD (è comparso anche il nome di Prurient nel mixtape più recente). Blackest Ever Black, l’etichetta che ha rilasciato l’EP, è molto chiara a proposito della sua filosofia: qui si parla di sensucht, di art, as opposed to engineering, di nichilismo, di pragmatismo, di romanticismo (e ci azzeccano pure la citazione throbbinggristlianoboydriceana alla fine, giusto perché non s’era capito) — non proprio argomenti da nightclub. Insomma, un’intenzione molto più seriosa dei fantasmi metropolitani di Burial e dei demoni di Distance, sorretta da uno scheletro dance.

Il risultato, quindi? Il risultato è dannatamente bello. Dionisiaco e apocalittico come solo il noise e l’industrial erano mai riusciti, ma meno corrosivo e più inquietante. Coinvolgimento del dubstep e straniamento della musica per adolescenti introversi. I suoni sono percussioni marziali, con qualche aggiunta di sawing e voci evocative sparse. Tracce (menzione d’onore al lato B) lunghe ed evanescenti che si snodano come pezzi post-punk ma all’osso restano dubstep. E’ un EP da avere sia per il suo valore ‘storico’, sia perché, cristo, oscuro + evocativo = wow. Due le controindicazioni: speriamo che i Raime non generino una schiera di simil- e imitatori nella maggior parte dei casi patetici (vedi: quello che è successo coi Salem), e speriamo che non si piglino troppo sul serio. Non vorranno mica finire come Prurient.

Raime – We Must Hunt Under the Wreckage of Many Systems

Raime – We Must Hunt Under The Wreckage Of Many Systems