Peter 'Sleazy' Christopherson, 1955 – 2010

a leggere frasi del tipo “una di quelle persone che sembravano non poter morire mai”, pensi oh, guarda che stronzata e passi ad altro. Il più sentito degli elogi funebri non farà mai tanto effetto quanto i necrologi stampati, solenni concisi lapidari. Si è spento l’Ing./Dott./Cav., colleghi amici commilitoni conoscenti si uniscono al dolore dei parenti. That’s all, folks. Sans-serif e carta di bassa qualità, forse leggero fastidio per la pubblicità dei voli low-cost sulla pagina precedente o per l’articolo sull’ennesima trasmissione televisiva trash sbarazzina giovanile irriverente impegnata nella pagina successiva.

Però oggi è morto Peter Christopherson, Sleazy per i fan, gli amici, i colleghi, i recensori e i tizi pseudosnob vestiti di nero con la faccia permanentemente incazzata e le magliette piene di simboli strani che vivono nel seminterrato dei loro genitori. E quando muore qualcuno come Peter Christopherson, uno come minimo dovrebbe sedersi a pensare guardando il soffitto. Perché pure se non hai mai ascoltato i Throbbing Gristle, gli Psychic TV, i Coil, il Threshould HouseBoys Choir o Soisong, c’è un’alta probabilità che in qualcosa che ti è piaciuto c’entri Peter Christopherson.

Là nel freak show dei Throbbing Gristle, Christopherson mi è sempre sembrato il più ‘normale’, per usare un termine inadatto. Non aveva la facies inquietante di Chris Carter, non aveva lo spudorato tutto ciò che di spudoratamente bizzarro esiste che aveva Genesis P-Orridge, non aveva le tette e il culo di Cosey Fanni Tutti (direi). Alto, leggermente curvo, magro, talvolta esibiva un paio di baffi che lo facevano sembrare un tecnico radio o una spalla dei cattivi di quei film sulle spie russe degli anni Sessanta. E come ogni personaggio dalla faccia relativamente ordinaria che mantiene un basso profilo, Peter Christopherson si rivelava dannatamente importante. Sua era la quasi totalità dei found sounds usati nei pezzi dei TG, e insieme a Carter forniva le track tapes che costituivano l’ossatura della loro musica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/08-what-a-day.mp3]

Throbbing Gristle – What A Day

Ha collaborato, dopo lo scioglimento dei Throbbing Gristle nell”81, con gli Psychic TV, formazione musicalmente più pop e luminosa, ma per tutto il resto più strana e inquietante (vedi: simbologia processiana e più, testi, paraphernalia), dei suoi Coil, che portavano la allora giovane industrial music in direzione magico-occulta, quasi romantica e leggermente più melodica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/09-coil-horse-rotorvator-blood-from-the-air.mp3]

Coil – Blood From The Air

Durante e dopo i Coil, precisamente mentre era impegnato a invecchiare raggiungendo la complessione di un Enorme Capotribù Globale degli Zingari Oscuri, Christopherson fonda il Threshold HouseBoys Choir, emittente di industrial/elettronica/musique concrète disseminata di tutto quello che di disturbante e di semisconosciuto popolasse il mondo dei minorenni thailandesi, che sembra quasi un eruditissimo esercizio di shock-jocking. L’ultimo progetto di Sleazy è stato Soisong, enigmatico ed interessante come solo il suo punto d’arrivo poteva essere: un bizzarro ibrido di glitch music ed industrial minimalista, dimostra che chi riesce a segnare il corso della storia della musica non deve rimanere immancabilmente imbolsito nel suono e nelle posizioni che ha definito/che lo hanno definito.

Molto altro ci sarebbe da dire su Peter Christopherson, sulla sua vita e sul suo lavoro. Ma il presente post non ha tante pretese, che per essere esaudite richiederebbero una pagina monografica a loro esclusivamente dedicata. Per esempio, sapevate che Sleazy (lo stesso intimo di Genesis P-Orridge, lo stesso che con Genesis e altre due oddballs ha creato l’industrial music, lo stesso che negli ultimi anni, in tour intorno al mondo, allibiva hipster e simili bestie con immagini di violenze, lotte, rapporti sessuali tra adolescenti thailandesi), ha diretto diversi video per personaggi di ambienti totalmente insospettabili, come i Van Halen, Paul McCartney e gli Yes? Io non lo sapevo.

Il fatto è che, davvero, era difficile immaginare che Christopherson potesse morire. C’è questa sensazione, come se qualcosa che stavi aspettando e che non devi perdere ti fosse appena passata accanto molto velocemente, e quando ti giri sei già mezzo incazzato con te stesso e mezzo rancoroso verso la vita, l’universo, i Daft Punk e tutto quanto. Ecco, è quello che succede quando muore Peter Christopherson. Proprio adesso che, sembra, l’eredità dell’industrial viene portata sempre più avanti in direzioni davvero notevoli.

Insomma, RIP.

Blue

C’è il blu di Yves Klein, denominato International Klein Blue. Qui non c’è musica. Forse qualcuno non ricorda chi diamine sia ‘sto Yves Klein. Però se permettiamo al mondo di farlo spiegare da Fulvio Abbate, allora siamo davvero troppo democratici. Klein fautore di numerose azioni fatte in gallerie francesi, e autore di questa misteriosa foto, oggi molto più chiara.

Poi c’è il Blue di Derek Jarman. Il colore in questione non è altro che una tonalità del blu di Klein. Ultimo film che il regista inglese ha prodotto prima di morire. Opera liminare (e per qualcuno minimalista), immagine fissa blu per tutta la durata della pellicola, narrato e musicato. Nella tracklist di tutto rispetto troviamo brani come Triennale di Brian Eno, Disco Hospital dei Coil e l’immancabile prima Gnossiennes di Erik Satie.

Infine, molto meno conosciuto è l’ultimo album del giù citato 36 (Tape Series: Blue, qui interamente in ascolto). Che ha messo in vendita queste composizioni solo ed esclusivamente con 36 tape (cassette) a disposizione. Sono dieci remix che ha fatto su alcuni suoi brani; a differenza dei precedenti sono molto ma molto più dilatati, minimali ed ostinati. Seguiranno, a distanza di qualche mese, come ha annunciato sulla sua pagina FB, altri due album-colorati.

Che il blu inondi ad oltranza le giornate estive.