Irmãos da Gorongosa, giovani alfieri del DIY in Mozambico

Siamo in Mozambico, Africa Orientale, uno stato dove si parla portoghese, e più precisamente ci troviamo nel parco nazionale di Gorongosa. Chitarre e batterie sono fatte a mano con materiale di recupero, insomma vero Do It Yourself. Per il resto ci sono cuore, noise e serpenti che passano indisturbati tra gli strumenti. Il gruppo protagonista di questi due video (anche se sembrano due gruppi diversi, non ho capito bene) sono gli “Irmãos da Gorongosa”, cioè i fratelli di Gorongosa. In realtà potrebbero essere anche i Muera, non sono riuscito a capirlo, comunque il chitarrista possiamo definirlo il Mizutani mozambicano. Alzate il volume e cliccate play.

A parte questi due video e la cronaca della giornata nel sito istituzionale del parco, non si trovano altre informazioni sulla “scena musicale” (!) dei gruppi di Gorongosa, ed è un peccato che qualcuno non sia andato a indagare, registrare e filmare qualcosa di più. All’inizio di questo secondo video si può vedere un serpente avvicinarsi all’amplificatore e poi scappare sotto la batteria.

Un altro loro pezzo si può sentire in questo video, sempre del parco nazionale del Gorongosa.

Il tutto ovviamente ci rimanda ad altre meraviglie passate, come i grandissimi e ben più famosi Konono N°1 – che costruivano ed elettrificavano i loro strumenti con parti di automobili e altri materiali di recupero – il cui album Congotronics qualche anno fa spalancò menti e orecchie di mezzo mondo (beh, più o meno).

Ma ci sono anche altri piccoli esempi. Molto più piccoli. A questo proposto ricordo i Thandabantu, ovvero due fratelli di 8 e 10 anni che suonavano nelle strade di Cape Town con strumenti fatti da loro e una tastiera comprata con i primi soldi guadagnati come musicisti.

Batteria fatta a mano da una band locale di Gorongosa

(grazie a onq per la preziosa segnalazione)

Giusto un po' di musica meravigliosa dalla Mauritania

“Saphire D’Or”, Nouakchott, Mauritania. Fanculo iTunes.

Nouakchott è la capitale della Mauritania. Ricordatevi come scrive se vi capita di fare cruciverba, perché non se ne parla molto spesso. E a Nouakchott c’è un negozio di dischi che non è proprio un negozio di dischi. Si chiama “Saphire D’Or” e il suo proprietario, Ahmed Vall, ha passato trent’anni a raccogliere una collezione piuttosto eclettica di musica dell’Africa occidentale. Vinili e cassette, pop, funk, afro-beat, musica del deserto e rarità di ogni genere. Non è proprio un negozio di dischi perché la musica non si compra: paghi e lui te la copia. Trenta centesimi di dollaro a canzone. Quindi molto meno di iTunes, e il posto è senza dubbio molto più figo. Oppure puoi stare lì, parlare con lui, cercare qualche disco e sorseggiare il tè. Tra i suoi clienti più entusiasti pare ci siano tassisti che copiano i dischi su memorie USB che poi usano per trasmettere la musica nei loro taxi.

C’è un articolo del Guardian che racconta un po’ la storia e poi questo bel post di Cristopher, il blogger autore di Sahelsounds, blog altamente consigliato se amate certe sonorità. Ma dato che si parla di Mauritania direi che è il momento di dire due parole sui miei dischi mauritani preferiti. Diciamo che si tratta più che altro di vere ossessioni.

Uno è “Moorish Music from Mauritania” di Dimi Mint Abba e Khalifa Ould Eide, moglie e marito. Lei vabbè, in teoria non avrebbe bisogno di presentazioni, ma non è vero, dato che finchè non ho intercettato del tutto casualmente un suo video nemmeno io la conoscevo. Detta “la diva del deserto”, è stata una figura importantissima della musica mauritana, anzi diciamo pure la più importante. E’ grazie a lei che il resto del mondo ha conosciuto il meraviglioso mix di sonorità arabe e africane tipiche della Mauritania. La Mauritania infatti fa parte dell’Africa araba: la popolazione è composta da arabi 30%, neri 30%, origine mista (arabo-nera) 40%, mentre il 99,84% degli abitanti professa la religione islamica (fonte: Wiki).

Khalifa Ould Eide e Dimi Mint Abba
Khalifa Ould Eide e Dimi Mint Abba

Detto ciò, il suo “Moorish Music from Mauritania” è qualcosa di meraviglioso e indescrivibile, un disco da sentire e risentire. Io ad esempio non riesco a smettere di ascoltare questo pezzo: e ogni volta, quando dopo due minuti partono cori e percussioni, ho un sussulto al cuore.

[audio:http://www.harrr.org/guylumbardot/wp-content/uploads/2012/09/01-Waidalal-Waidalal.mp3]

Dimi Mint Abba & Khalifa Ould Eide – Waidalal Waidalal

Dimi Mint Abba è morta nel 2011 – come sicuramente ricorderete dalle prime pagine dei siti e dei giornali italiani, come no – all’età di 52 anni, a causa di un’emorragia cerebrale. Durante la sua carriera si è battuta per i diritti delle donne (sempre molto a rischio in Mauritania) e per quelli degli artisti, appartenenti alla casta degli iggawin, considerati agli ultimi posti nella società mauritana. Il suo successo iniziò con la canzone “Sawt Elfan” (“piuma dell’arte”), dai contenuti abbastanza scandalosi perchè nel ritornello diceva più o meno che è meglio fare musica che fare i guerrieri. Curiosità: il padre di Dimi Mint Abba è stato l’autore dell’inno nazionale della Mauritania. Comunque su Youtube sono presenti numerosi video grazie ai quali è possibile vederla in azione.

Lei invece è Ouleya Mint Amartichitt ed è un’altra di cui mi sono innamorato quest’estate. L’album che ho trovato – non senza difficoltà – è lo strepitoso “Praise songs”, che trovate su Soulseek oppure in cd usato su Ebay. Su di lei ho trovato poche, pochissime informazioni, ma per fortuna c’è il video che segue.

I due migliori concerti dell'estate: Speed Caravan e Mulatu Astatke

Sarà che sono diventato estremamente selettivo, o se preferite uno stronzo misantropo e accidioso, comunque ormai vado a pochi/pochissimi concerti, tanto che i due migliori di questa estate sono anche gli unici due a cui ho assistito, entrambi dietro casa, nel giro di 48 ore.

Speed Caravan a Nurachi, 2 agosto 2011

Quasi visto due anni fa, ascoltato spesso in questi due anni, finalmente sono riuscito a intercettare Speed Caravan, il progetto del mago dell’oud Mehdi Hadda, psichedelico, travolgente, indefinibile. E’ come se i Motorhead facessero dance araba. A un certo punto del concerto ha introdotto un pezzo dicendo che andava fatto “forte e veloce”, e ditemi voi se non vi ricorda qualcuno. Melodie ipnotiche che per comodità definiamo arabeggianti a cui però viene dato fuoco elettrico e amplificato, su imprevedibili basi dance: molto forte, molto veloce, MOLTO BELLO. Come sospettavo è musica che su cd o su youtube rende meno di un decimo di quanto rende dal vivo. Immancabile nel finale la cover di Galvanize e una Dady Lolo destrutturata e irriconoscibile, molto bella. Essere selettivi premia.

Mulatu Astatke a Oristano, 4 agosto 2011

Confesso, questo post ha richiesto più stesure, dato che nelle prime sembravo Paolo Brosio che parla della Madonna di Medjugorje. L’entusiasmo post-concerto può essere molto imbarazzante, per quanto, in questo caso, assolutamente motivato, dato che quello di Mulatu Astatke non è stato solo il concerto più bello di quest’estate e di quest’anno, ma anche uno dei più belli di sempre. E dico davvero. Scoprire musica così (anche se l’avevo già sentito in passato, ma non mi aveva sconvolto: com’è possibile?) e scoprirla dal vivo, diciamo in carne ed ossa e luci colorate, è stata un’esperienza psico-fisica di cui fare scorta per i mesi invernali. Sul palco Re Mulatu e sette musicisti uno-più-bravo-dell’altro. E voglio scrivere anche i loro nomi perchè se lo meritano: Byron Wallen, James Arben, Danny Keane, Alex Hawkins, John Edwards, Tom Skinner, Richard Olatunde Baker. Ma giustamente qualcuno potrebbe chiedersi chi è Mulatu. Dunque.

Etiope, ha studiato e vissuto a Londra, New York e Boston, dove è stato il primo studente africano al Berklee college of music. Polistrumentista, specializzato in vibrafono, piano e conga, è conosciuto come “godfather of ethio-jazz”, che sarebbe jazz però con elementi della musica popolare etiope, ritmi latini, venature psichedeliche, melodie malinconiche e stregate. E cioè? Appunto. Durante il concerto ogni tanto capitava di sentire qualche suono che non si capiva che suono fosse e soprattutto da dove provenisse. E in quel momento, a bocca aperta, alla ricerca di una spiegazione, guardavo Mulatu che non suonava ma dirigeva gli altri musicisti con espressioni di soddisfazione e godimento. Ogni tanto poi attendeva un suono e quando il suono arrivava Mulatu annuiva convinto e soddisfatto, come a dire: “Perfetto, lo volevo esattamente lì, esattamente così”. E’ l’ethio- jazz. Lui sa cos’è.

Quali dischi comprare? Cominciamo col dire che il disco Mulatu of Ethiopia, anno 1977, porta il marchio dell’Ethiopia Airlines ed è stata la colonna sonora ufficiale in aerei e aeroporti etiopi. Ma probabilmente Mulatu sarebbe rimasto una leggenda per pochi esperti di giàs, se non fosse stato riscoperto qualche anno fa grazie alla colonna sonora del film Broken Flowers di Jim Jarmusch – inutile negarlo, è per questo che noi lo conosciamo – dove tre dei suoi brani più belli e ipnotici venivano ripetuti più volte. Qualche anno dopo poi è arrivato il disco che ha conquistato i cuori di tutti, quello con gli Heliocentrics, Inspiration Information, consigliatissimo.

Ma il disco fondamentale da avere e consumare è senza dubbio Éthiopiques, Vol. 4: Ethio Jazz & Musique Instrumentale, antologia del periodo 1969/1974. Fondamentale perchè contiene tutti i classici. Nel 2010 poi è uscito l’ultimo Mulatu Steps Ahead, di cui su internet gira una versione promo con la voce di Mulatu che interviene durante i pezzi, introducendoli o sovrapponendosi con frasi tipo “Questo è Mulatu Astatke, e voi state ascoltando il mio nuovo album”. L’idea della casa discografica era di inserire un elemento di disturbo in modo da scoraggiare la pirateria, dato che il feticista della musica, e in particolare quello del giàs, come prima cosa nella sua vita mette la qualità dell’ascolto. Prima di tutto, anche prima della salute della mamma e dei figli. Peccato però che questa versione, come ha giustamente notato qualcun altro prima di me, ha finito per impreziosire il disco, con la voce calda di Mulatu che sembra quella di un dj di una radio blaxploitation, praticamente perfetto. Quindi il consiglio è di acquistare il disco originale, ok, ma anche di scaricare la copia promo con la voce di Mulatu. E insomma mi sembra di aver detto tutto, forse anche troppo. Ah, qui alcuni video dello storico concerto.

Nota: Entrambi i concerti facevano parte del Dromos Festival, bellissimo festival di musica bellissima, quasi sempre dietro casa mia, che diventa ancora più bello quando offre prezzi, diciamo così, “popolari”. Comunque ringrazio di cuore gli organizzatori per le ottime scelte. L’anno prossimo magari portatemi dietro casa anche Omar Souleyman e i Group Bombino, così mi farete ancora più felice.

Altra nota: se fra chi legge c’è qualcuno che usa Wikipedia, vi prego, cambiate l’orribile foto che campeggia nella pagina dedicata a Mulatu. 

Aaaaaa! Jalla jalla! Ghisibene aella! A-aaaaa bree! (dice più o meno così)

Amici, fumatori d’oppio, capitani coraggiosi e furbi contrabbandieri macedoni, è tempo di aggiornarci sulle nuove meraviglie giunte dai deserti africani e dal vicino oriente. Ad esempio: Guitars From Agadez Vol. 2 di Group Bombino, Niger, un paese dove morire è molto facile (di fame, di guerra, di uranio) ma dove si fa musica che scalda il cuore. Si passa da pezzi acustici tuareg blues, a vero garage lo-fi desertico e polveroso spesso con registrazioni di bassa qualità che non fanno altro che aumentarne la bellezza. Consigliato a chi è alla ricerca di musica bellissima.

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Group Bombino – Imuhar

Jazeera Nights. Inutile spendere troppe parole, bastino quelle già spese in passato. La speranza è che la riserva segreta di cassette nel caveau della Sublime Frequencies non finisca mai. Faccio notare che la copertina è esattamente la stessa del disco precedente, il che dovrebbe farci intuire quali differenze ci siano in questa nuova compilation di pezzi di Omar Souleyman: NESSUNA. Quindi: 1) abbassare il finestrino, 2) alzare al massimo il volume dell’autoradio e 3) dichiarare guerra agli infedeli.  (tra l’altro…)

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Omar Souleyman – Hot Il Khanjar Bi Gleibi

Altra recente perla Sublime Frequencies: Omar Khorshid, il re dell’arabic-surf guitar.  Sulla leggitimità della sua monarchia non osiamo avanzare dubbi. Ipnotico e psichedelico, questo è il sito a lui dedicato. Egiziano di nascita, ha introdotto lo stile chitarristico occidentale nella tradizione araba e di ciò gli saremo tutti eternamente grati (gli è sicuramente grato Sir Richard Bishop dei Sun City Girls, dato che l’ha omaggiato ed emulato nell’album Freak of Araby).

In questa raccolta ci sono le cose più tradizionali e arabeggianti registrate in Libano tra il 1973 e il 1977, ma prima di morire nel 1981 a 36 anni in un incidente d’auto Omar Khorshid ha fatto anche deliziose cover di pezzi come Popcorn. Aggiungo che dall’altra parte del mondo “the king of the surf guitar” era considerato l’americano Dick Dale, che però era per metà libanese (e lo zio suonava l’oud, bello come tutto torna, no?).

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/05/A1-Guitar-El-Chark-Guitar-of-the-Orient.mp3|titles=A1 Guitar El Chark (Guitar of the Orient)]
Omar Khorshid – Guitar El Chark

Ten Ragas To A Disco Beat, disco del 1982 di Charanjit Singh composto da raga che si trasformano subito in semplice ed elementare acid-house con synth e TR-808 a indicare la luna. Il Guardian indaga sulla misteriosa morte e l’altrettanto misteriosa rinascita di questo disco e sulla probabilità che il bollywoodiano Charanjit Singh sia il vero pioniere dell’acid house, dato che i primi pezzi rappresentativi del genere solitamente vengono considerati quelli della Chicago della seconda metà degli anni 80.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/05/01-charanjit_singh-raga_bhairav-dps.mp3|titles=01-charanjit_singh-raga_bhairav-dps]
Charanjit Singh – Raga Bhairav

In tema di raga tradizionali invece consiglio il bellissimo raga blog, sito che mette a disposizione tonnellate di ottimi trip per cuocere a fuoco lento i vostri neuroni. A causa di altri impegni tipo vivere non sono riuscito ancora a sentirli tutti, ma tra quelli che sono riuscito a sentire fin’ora segnalo in particolare i dischi della famiglia Dagar, maestri del canto dhrupad, tutta roba che prenderà il vostro cervello e lo farà passare attraverso i vari stati della materia. Qui simpatiche foto di famiglia e anche l’invidiabile albero genealogico della Dagar Family.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/05/02-Bairagi-Dhamar.mp3|titles=02 – Bairagi, Dhamar]
Dagar Brothers – Dhamar

Beat Konducta – Madlib Medicine Show

Beat Konducta, aka Madlib, e cioè Mind Altering Demented Lessons In Beats, ovvero Otis Jackson Jr., che sarebbe anche Quasimoto e metà Madvillain, ormai è ai livelli di Merzbow o Sun Ra: nel 2010, per la serie “Medicine Show”, farà uscire un album al mese. Il gioco è il solito: saccheggia tonnellate di vinili più o meno conosciuti di un certo paese o continente e poi ci fa un disco con 30/40 pezzi di collage & hip-hop strumentale. E’ appena uscito il terzo volume: Madlib Medicine Show #3: Beat Konducta in Africa, dove oltre all’ovvio afro-beat spuntano fuori anche cose meno definibili.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/03/33-umi-life.mp3|titles=33 umi (life)]
Madlib – Umi (life)

Il mio preferito però è un disco più vecchio, Beat Konducta in India, del 2007: Bollywood, sitar e tablas, ma anche Ennio Morricone. Sublime tamarrata, oro puro.

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Madlib – Movie finale