Crystal Castles – II + Anteprima Nachtmystium

Qui, per segnalare il nuovo album dei Crystal Castles. Precisiamo che non sono passati mai inosservati. Non siamo insensibili a quei suoni computerizzati e robotizzati, così come alle melodie allucinate e malinconia come se piovesse. Personalmente il primo album mi sembrò un capolavoro a primo impatto, però dopo un mesetto circa ho dovuto cestinarlo, perchè, probabilmente, la “violenza” di quei suoni a lungo andare mi ha sfiancato (intendo qui tecnicamente il “timbro” dei suoni), pur essendo le melodie assolutamente apprezzabili ed apprezzate.
Ma questo secondo potrebbe durare molto più di un mese. Le tracce non hanno perso quell’appeal dell’inorganico e quella propensione a esperire connotazioni robotiche, ma c’è quel nonsochè di etereo che rilassa un pò di più (si veda per esempio “Violent Dreams”, un vero tappeto rilassante per aspiranti suicidi, straziante ritornello).
Il disco è da ascoltare tutto, ogni traccia restituisce qualcosa. Alcune cose da notare:

  • La copertina sembra essere partorita direttamente da un gruppo metal oscuro gotico. Ed emo, già che ci siamo.
  • Il duo si vide censurare una copertina con questa immagine. Queste cose non si fanno. Ma loro imperterriti continuano a vendere la loro presuntuosa e violenta maglietta.
  • Sembrano due drogati in stato terminale. Ma lei è il male.

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Crystal Castle – Baptism

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Crystal Castle – Intimate

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Crystal Castle – Violent Dreams

Ma adesso spalancate occhi e orecchie. Spalancate per bene.
Di seguito l’anteprima del disco Addicts: Black Meddle Pt. II dei Nachtmystium. E’ un trailer. Io non dico niente, voglio essere imparziale: facciamo che dico solo che questi ragazzi debbono vivere finchè morti non mi separi da questa Terra, e che non vedo l’ora che esca ‘sto cazzo di disco. Ecco.

Pat Metheny e il musicista nell'era della sua riproducibilità tecnica


Concerto di Pat Metheny a Bari per il suo Orchestrion Tour. La delegazione pugliese di Guylum Bardot (il sottoscritto) c’era e ha assistito all’esibizione del celeberrimo chitarrista jazz, accompagnato da un’orchestra di svariati elementi, dei quali nessuno umano.

Ma andiamo con ordine: il concerto si è aperto con un paio di pezzi per chitarra classica, sempre motivo di grande sollazzo per il nervo acustico, per poi passare a “The Sound of Water” eseguita con la famosa Pikasso Guitar, che ha fatto andare in orbita il livello totale di endorfine del teatro.

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Pat Metheny – The Sound of Water

A circa mezz’ora dall’inizio, ecco la roba pesante: i teli rossi che fino ad allora avevano fatto da sfondo per il Capellone Nostro si alzano e svelano l’attrattiva della serata, un carrozzone pieno di strumenti di accompagnamento (due pianoforti, un vibrafono, due chitarre, infinite percussioni, fiati e chincaglierie varie) che verranno poi suonati da un computer. Non sintetizzatori e campioni, ma solenoidi e meccanismi pneumatici. Per le successive due ore, insomma, sembrava di guardare una versione jazz-fusion di Monkey Drummer, beatamente ambientata nella uncanny valley. Grandiosi e folli poi i vari momenti di duetto, in cui Metheny si alternava di volta in volta con un diverso strumento/robot suscitando fra gli spettatori diversi “WTF?” compiaciuti.
E a un certo punto, quando credevamo di aver visto tutto, ecco il colpo di grazia: Pat inforca la sua chitarra e con essa suona altri strumenti: il pianoforte, il vibrafono, le percussioni, un’altra chitarra, costruendo progressivamente per overdub la base sui cui poi improvvisare. La reazione del pubblico al termine della sessione è stata – come dire – devastante, ed era prevedibile.
Sul finale di serata, tanto per gradire, un altro dei suoi assi nella manica: la mitica Roland GR300, sempre accompagnata dall’orchestra robot, che ha teletrasportato tutti quanti in un meraviglioso delirio MIDI d’altri tempi.

Ma oltre tutti questi gingilli strumentali, al di là dell’apparato scenografico e dell’intelligenza artificiale, c’era la musica. Sulla qualità della musica in sé non mi pare sia il caso di dilungarsi troppo, mi basterà dire: Pat Metheny, cazzo.

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Pat Metheny – Orchestrion Improvisation

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Pat Metheny – Sueño Con Mexico

Per concludere, le note negative della serata, e cioè: 1) il tizio dietro di me che continuava a tenere il tempo sulle sue gambe nonostante i ripetuti improperi della di lui fidanzata (“hai cacato il cazzo”, cit.) e 2) un improvviso effetto Larsen che ha obbligato il Pat a concludere prematuramente un brano, ma che io ho comunque apprezzato come lampo noise in un concerto già perfetto. Il resto del pubblico non pareva essere del mio stesso avviso.

(“Orchestrion” è disponibile anche come album registrato in studio, ma è scontato sottolineare come non renda affatto giustizia a ciò che è avvenuto ieri sera. Va un po’ meglio con questo bootleg dal quale sono tratti i brani inseriti qui, ma sia sempre maledetto nei secoli dei secoli chiunque registri in FLAC.)

Giorgio Moroder, i robot di Battlestar Galactica e le origini dei Daft Punk

direi che sulle origini dei daft punk, almeno per le scelte estetiche, a questo punto non ci sono più dubbi. stesso casco. stesso scintillio. stessa voce. guardando i cylon, i robot di battlestar galactica, sembra di guardare il video di robot rock. osservate questa foto, non sembrano loro?

e sentite la loro bellissima voce…

sì, credo che i due daft abbiano visto almeno una puntata della versione originale di battlestar galactica (del 1978; poi hanno fatto il remake nel 2003).

e non dimentichiamo che l’autore delle musiche è Sua Maestà il Commendatore Giorgio Moroder, che sicuramente ha influenzato, fra i tanti, anche il sound dei due robot francesi che tanto amiamo. e infatti a seguire due grandiosi pezzi (il secondo soprattutto) tratti dalla colonna sonora di battlestar galactica firmata dal Maestro, Sua Santità, Sua Totalità Giorgio Moroder. durano entrambi circa 15 minuti.