Le lezioni di Lemmy

Sono passati tre anni dal post su Lemmy: the movie, uno dei primi di questo blog, dove si annunciava l’imminente uscita del documentario sul grandissimo imperatore dei Motörhead. Sono passati tre anni e se non l’avete ancora visto, fatelo.

(ah sì, scusa Lemmy per i sottotitoli in francese, ma è colpa di internet)

AGGIORNAMENTO (19/04): We have disabled the following material as a result of a third-party notification from LEMMY MOVIE LLC (Wes Orshoski and Greg Olliver) claiming that this material is infringing. Vabbè, ormai è impossibile mettere video su youtube.

Squarepusher – Solo Electric Bass 1

Non è il solito Squarepusher. E non mi riferisco – ovviamente – solo allo Squarepusher più tradizionalmente IDM/Drum’n’Bass dei tempi di “Hard Normal Daddy” o “Go Plastic“, ma anche al Tom Jenkinson della svolta elettroacustica, quello che avevamo imparato a conoscere a partire da “Hello Everything” del 2006, quando ha introdotto nelle sue composizioni proprio il basso elettrico, pur senza perdere le venature acide che lo contraddistingono.

No, questo Solo Electric Bass 1 è proprio un’altra cosa, ed esattamente ciò per cui era stato annunciato: un puro concerto solista per basso. Eseguito da un inglese dell’Essex che, porca miseria, con lo strumento ci sa proprio fare, altro che Flea. D’altronde gli appassionati avevano già conosciuto le sue talentuose velleità proprio con “Hello Everything”, ma questo album ne è sicuramente il più fulgido esempio. Impossibile tentare di individuare uno stile esecutivo preciso: lo Squarepusher passa con nonchalance e indicibili virtuosismi dal basso elettrico suonato come una chitarra flamenco ad arpeggi celestiali passando per incursioni acust-IDM ad un numero esagerato di BPM in un unico flusso continuo.
Questo è Solo Electric Bass 1, un flusso continuo di linee di basso da ascoltare ininterrottamente dall’inizio alla fine – e infatti si tratta di un concerto registrato integralmente – possibilmente senza annoiarsi. Anche per questo motivo è molto difficile isolare tracce migliori di altre.

In definitiva, un album non consigliato a chi cerca il classico Squarepusher tutto campionatori e Amen Break.
Consigliatissimo, invece, soprattutto a chiunque stia imparando a suonare il basso elettrico, affinché smetta una volta per tutte perché tanto nessuno potrà essere meglio di così.

Perchè ci piace la musica? (Parte 1)

(aggiornato il 25/5)

Con questa brevissima serie di post cercherò di affrontare lo sforzo immane di essere chiaro ed esplicativo circa le dinamiche sottese al nostro atavico piacere dell’ascoltare musica. Ometterò molti interessanti particolari teorici che, però, troveranno spazio magari in seguito o in testi segnalati.

Dunque, perchè ci piace tanto la musica?
Un paio di anni fa mi rimase impressa una notizia. Alla maratona di New York fu vietato l’uso di ipod o walkman. Questo perchè avevano notato che gli atleti che indossavano le cuffie, mediamente,  risultavano maggiormente performanti e rendevano di più. Continua a leggere Perchè ci piace la musica? (Parte 1)

Bat for Lashes – Two suns

Mettiamo subito in chiaro una personale prospettiva. Natasha Khan (dei Bat for Lashes) è bona come il pane. Mi correggo nell’essere teoricamente pedante: per ciò che afferisce al mio sentire e alla mia dimensione sensibile, ella è percepita come qualcosa di piacevole ed esteticamente ‘sensato’, motivo per cui preferisco non vedere sue foto, altrimenti la voglia di toccarla aumenta a dismisura. Pertanto meglio chiudere il capitolo.
Anzi, già che mi trovo chiudo anche il capitolo ‘musica’ limitandomi a dire che si potrebbe tentare l’ascolto, di cui sotto un paio di tracce.
Mi sembra sempre più difficile proferir parole su espressioni umane, rese fisiche tramite alcuni strumenti (registrazione audio), che sollecitano l’organismo. Come faccio, davanti ad un tipo che prova piacere nel farsi di cocaina, a dirgli “vedi che è brutta la cocaina, è banale, è mediocre, è senza idee, è commerciale!”?

I Justice sono rock'n'roll

“A Cross the Universe” è un documentario sul tour in America dei Justice, non so se li conoscete. Riassunto: sono due francesi e sono pazzi, nel senso di malati.
Nel video la componente musicale è del tutto secondaria, e la maggior parte delle riprese si concentra su loro che, costantemente ubriachi o strafatti (ma possibilmente entrambe le cose), si impegnano nel fare quanti più danni è possibile, con una decadenza che non si vedeva da tempo e un perenne KILL THE ENTHUSIASM stampato sui loro volti.
Vediamo infatti i Nostri compiere svariate imprese tra cui:
– scoreggiare durante le interviste e rispondere fissando insistentemente le tette dell’intervistatrice
– dare pasticche agli scoiattoli nel parco
– comprare abbastanza armi da radere al suolo tre licei e un college (salvo poi farsi beccare dalla polizia mentre le sventolano in un ristorante)
– sposare a Las Vegas una groupie appena conosciuta presentandosi in chiesa in occhiali da sole & bottiglia
– rovesciare alcool sui capelli di una fan cretina sì da poterli agevolmente dare alle fiamme

– interrompere un live set mandando a fanculo il tecnico del suono per non si sa bene quale motivo (ma probabilmente solo perché loro possono)

La loro epica raggiunge però il culmine con un finale veramente d’altri tempi che li consacra definitivamente ad eroi, ma che la redazione lascia volentieri scoprire al Gent.mo Lettore.
I Justice dunqe possono piacervi o no, ma sappiate che in loro scorre vigoros lo Spirito del rock’n’roll.
Il documentario dura solo un’ora e merita di essere visto.

“A Cross the Universe” ve lo potete comprare (ahahah) qui ma se ne detenete già una copia regolarmente acquistata nel pieno rispetto delle normative sul copyright, lo potete prendere anche da qui.

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Sul rumore. E sulla musica.

Ho sempre pensato che le persone che fanno uso smodato di parole e del linguaggio verbale, o, più semplicemente, sono immerse a tempo pieno in uno scenario costellato dal cosiddetto dialogo interpersonale, siano manchevoli di musica e di musicalità.
Il senso dell’udito non ipostatizza la dimensione dell’esterno corporale, perchè ogni suono e rumore è trattato come un ‘corpo’ carico delle conseguenze ambientali. In breve, nella dimensione uditivo-sonora la soglia relazionale con il suo carico di minaccia e promessa che assegna prospettiva futura al presente, si imprime il grimaldello che l’uomo, nel pieno dell’antropocentrismo, ha utilizzato per suscitare la massima eccitazione del senso. La musicalità, così, trova la sua espressione nella creazione fittizia dell’evento, nell’eccitamento derivante dal carico esperienziale delle conseguenze dei suoni, dell’indicizzazione ed ostensione dei rumori uditi. Continua a leggere Sul rumore. E sulla musica.

La corda tesa

Brano composto utilizzando i suoni di Windows Xp e 98:

[..] Ciò che si è detto in generale sulla capacità di un’arte di prendere un materiale grezzo, naturale, e di convertirlo, mediante selezione e organizzazione, in un medim intensificato e concentrato per la costruzione di un’esperienza, si applica con particolare forza alla musica. Attraverso l’uso di strumenti il suono viene liberato dalla definitezza che ha acquisito con l’associazione con la parola. Esso torna così alla sua qualità passionale primitiva. Acquista generalità, distacco da oggetti ed eventi particolari. Al tempo stesso l’organizzazione del suono effettuata attraverso la gran quantità di mezzi di cui dispone l’artista – una gamma forse tecnicamente più ampia di quella di qualsiasi altra arte eccetto l’architettura – sottrae al suono la sua usuale tendenza immediata a stimolare una particolare azione evidente. Le reazioni diventano interne e implicite, e così arricchiscono il contenuto della percezione invece di disperdersi in uno sfogo evidente. “Siamo noi in persona adesso la corda tesa, pizzicata e vibrante”, come dice Schopenhauer. (John Dewey)