Exuma, The Obeah Man


Uno dei miei dischi da isola deserta ha il nome di un’isola, o meglio di un arcipelago di isole delle Bahamas: le Exuma. In realtà non sono proprio deserte, anzi ci sono circa 7mila abitanti ai quali immagino si aggiungano molti turisti, dato che, a una rapida occhiata su Google Immagini, sembra uno di quei posti che si possono riassumere con l’espressione “paradiso terrestre”. Ma Exuma è anche il nome d’arte di Macfarlane Gregory Anthony Mackey, che però era nato in un’altra isola delle Bahamas, Cat Island. Il suo omonimo disco d’esordio è del 1970 ed è la risposta alla domanda “cosa succede se un musicista delle Bahamas va a vivere a New York e unisce magia, atmosfere e ritmi caraibici con musica folk, psichedelia anni 70 e rock americano?”. La risposta è Exuma. Sette canzoni perfette. Da portare su un’isola deserta, appunto.

Quando l’ho scaricato per la prima volta, del tutto casualmente, mi aveva colpito la serie di tag: calypso, reggae, folk, african, psychedelic, country. L’anonimo uploader aveva avuto qualche problema nel definirlo, ma aveva anche stimolato la mia curiosità. Quando poi mi sono trovato di fronte a una copertina naif (disegnata dallo stesso Exuma), che mi ricordava il primitivismo di Basquiat, e alla voce di un pazzo che salutava tutti dicendo di essere The Obeah Man – cioè una specie di stregone dei Caraibi – la mia curiosità si è trasformata velocemente in gioia e contentezza di fronte alla meraviglia della scoperta.

In sintesi: consigliato e straconsigliato, così come i successivi Exuma II (ancora più fuori di testa) e Do Wah Nanny. La discografia continua, ma io per ora mi sono fermato là, anche perché mi ci sono voluti due mesi solo per uscire dal primo, dove però ritorno spesso e volentieri. Ci sarebbe molto altro da dire, ma è uno di quei casi in cui è meglio semplicemente schiacciare play e partire. E anche se Exuma è morto nel 1999, condivido quello che dicono in questa pagina: Musician, painter and poet, Exuma lives!


James Blackshaw – Holly Ep

Giovane chitarrista poco conosciuto, mai ascoltato prima. Con ciò però son due giorni e passa che questo EP, di due tracce, ha sottomesso tutto il resto della musica mentre lavoro e studio, quindi un qualche merito dovrebbe averlo. Ah è Experimental, folk. Lo scrivo perchè a volte dimentico di mettere i tag.
Scoperto tramite un blog da seguire a partir dal nome: Dronea Dronea.

Link per la prova.

Agalloch – Marrow of the Spirit

Noi siamo qui, magari ci divertiamo, chessò parliamo di politica, ci facciamo un caffè, tentiamo di lavorare, tentiamo di guadagnare, tentiamo di affrontare la vita amorosa, facciamo cose, vediamo gente…
E intanto gli Agalloch (non servirebbe neanche il link), senza che MTV lo dica, fanno uscire il loro ennesimo album con i controcoglioni da sotto (6 lunghe tracce, stupende tutte).
E noi intanto che facciamo? Ci divertiamo, parliamo di politica…

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/02-Into-the-Painted-Grey.mp3]
Agalloch – Into the Painted Grey


Buone nuove: United Nations e TwinSisterMoon

Ricordo un’intervista emblematica fatta a Jackson Pollock (è raccolta nel libro Lettere, Riflessioni, Testimonianze, ho caricato qui un frammento dal film di Ed Harris):

Pollock, a suo avviso qual è il significato dell’arte moderna?
Per me l’arte moderna non è altro che l’espressione degli ideali (e le tensioni) dell’epoca in cui viviamo.

Ci sono state molte polemiche e commenti sul suo metodo pittorico. Vuole dirci qualcosa in proposito?
Penso che nuove esigenze richiedano nuove tecniche. E gli artisti moderni hanno trovato nuovi modi e nuovi mezzi per affermare le loro idee. Mi sembra che un pittore moderno non possa esprimere la nostra epoca, l’aviazione, l’atomica, la radio, nelle forme del Rinascimento o di un’altra cultura passata. Ogni epoca ha la propria tecnica.

E’ importante, qui, specificare solamente come la terminologia “moderno” assuma un significato differente in America rispetto alla scansione temporale che gli storici dell’arte hanno praticato in italia (da noi, pressappoco dalle avanguardie ad oggi, l’arte viene chiamata “contemporanea”).
Tutto ciò può far balzare agli occhi una cosa: di come l’espressione musicale, malgrado differente nei mezzi rispetto ad altre forme, sia più lenta ad agganciare i cambiamenti epocali, e lo dimostrano gli strumenti che si adoperano. Allo stesso tempo è facile notare come la cultura del tempo (o il Kunstwollen, per citare dottamente quel bacucco di Riegl) incida meno e in maniera più arrancata sulla forma della musica.
Ma gli strumenti evolvono, come il mondo in cui ci troviamo, e Beethoven non avrebbe mai potuto usare le chitarre scatenate degli United Nations o i droni malinconici dei Natural Snow Buildings. Che sicuramente rappresentano, anche se in maniera apparentemente eterogenea nelle forme, lo spirito del nostro tempo.

Nuovo EP per quel gruppo che indossa maschere di Reagan e tendono ad avere problemi di censura. Presenti in questa classifica in buona compagnia. 4 tracce che consiglierei di ascoltare anche al mio nemico.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/06/01-Pity-Animal.mp3]
United Nations – Pity Animal

Vediamo di seguito cosa c’entrano i Natural Snow Buildings. Cercando in rete qualche primizia sul duo transalpino, congiuntamente a qualche foto porno e alla conferenza di Marcello Lippi sulla partita di oggi, mi sono accorto di aver tralasciato un lavoro importante e maestoso pubblicato durante il loro cammino. Sto parlando di The Snowbringer Cult. Composto da due cd, prodotti da tre gruppi che in realtà sono della stessa parentela. Il primo è quello della metà femminile dei Natural Snow, in arte Isengrind. Nulla di speciale, e neanche il suo ultimo lavoro purtroppo mi ha fatto ricredere, per cui una volta e per tutte le consiglio di accoppiarsi in maniera definitiva col suo maschio nelle vicinanze.
Il resto della raccolta però è tutta bellissima. Mi son genuflesso come facevano nel medioevo davanti ad un Cristo triumphans. E la scoperta son stati i Twinsistermoon, in realtà è l’altra metà del gruppo. Si, stiamo in casa insomma, non si capisce che cazzo facciano ‘sti due in casa, ma comunque siano sempre lodati.
Psichedelia, drone, ambient, folk, marce funebri e tardo medioevo. Bellissimo anche tutto l’album del 2009.
Insomma, il duo francese è prolifico, ed è da tenere d’occhio (non mi dilungo, ma chi non ha mai ascoltato l’eterno The Dance Of The Moon & The Sun, è meglio che interrompa immediatamente cosa stia facendo e ripari al danno), anche in vista dell’annuncio di un prossimo. Per cui scaricate pure, ed acquistate, se volete vedere tra i più bei packaging e artworks per cd (corredati talvolta di fumetti, ad opera della stessa Isengrind). Per altri dettagli e approfondimenti rimando, e purtroppo devo farlo stavolta, alla scheda della rivista Sentireascoltare.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/06/09-Amantsokan.mp3]
Twinsistermoon – Amantsokan

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/06/12-SPells.mp3]
Twinsistermoon – SPells

Bat for Lashes – Two suns

Mettiamo subito in chiaro una personale prospettiva. Natasha Khan (dei Bat for Lashes) è bona come il pane. Mi correggo nell’essere teoricamente pedante: per ciò che afferisce al mio sentire e alla mia dimensione sensibile, ella è percepita come qualcosa di piacevole ed esteticamente ‘sensato’, motivo per cui preferisco non vedere sue foto, altrimenti la voglia di toccarla aumenta a dismisura. Pertanto meglio chiudere il capitolo.
Anzi, già che mi trovo chiudo anche il capitolo ‘musica’ limitandomi a dire che si potrebbe tentare l’ascolto, di cui sotto un paio di tracce.
Mi sembra sempre più difficile proferir parole su espressioni umane, rese fisiche tramite alcuni strumenti (registrazione audio), che sollecitano l’organismo. Come faccio, davanti ad un tipo che prova piacere nel farsi di cocaina, a dirgli “vedi che è brutta la cocaina, è banale, è mediocre, è senza idee, è commerciale!”?

Autotune, cuori infranti e solitudine pre-classifica

bon iver è quello che ha registrato il disco in una casa in mezzo a un bosco e tutti ci tengono a ricordare questa cosa, chissà perché. dov’è la stranezza? c’è chi ci abita e ci caga, in mezzo a un bosco. la canzone, comunque, è molto bella, ed è tratta dall’EP blood bank. kanye west invece è più conosciuto come “dio negro dei beat spaccaculi”, forse ne avrete sentito parlare. il nuovo album (808s and Heartbreak – già il titolo è Amore), tutto autotune, drum machine e anima tormentata è decisamente dark e quelli che dicono erameioprima non capisconoproprioniente. il video del singolo love lockdown è ormai già Storia,  e inoltre, per gli appassionati delle curiosità: sapevate che la madre di kanye è morta mentre si faceva ridurre le tette? pensateci mentre lo ascoltate.

Get Well Soon – Rest Now, Weary Head! You Will Get Well Soon

tedesco, canta in inglese, ha una bella voce profonda e l’aspetto da emo. dentro l’album c’è: pop-rock-folk epico, radiohead, trombe, violini, uccellini, emozionanti cavalcate finali, un po’ di zingari tristi e ubriachi di passaggio, tristezza & malinconia  e anche altri sentimenti non definibili, e soprattutto la cover più bella mai sentita (nonchè l’unica) di born slippy degli underworld (sì, davvero). decisamente decisamente consigliato.

suo sito: youwillgetwellsoon.com

Iron & Wine – Le braccia di un mariuolo

Quest’uomo, per chi scrive, ha tanta barba quanto talento malinconico. Dai primi LP irradiava già una certa vis da incompreso eremita (da ascoltare le prime registrazioni su nastro pubblicate), ma con “The Shepherd’s Dog” è stato completamente sdoganato. In molti hanno storto il naso per la grande distribuzione ma, onestamente, con la sua barba, a mio modico avviso, lui può tutto. Non mi offenderei se mi trombasse la ragazza. Giuro.

L’ultimo arrivo di casa è l’EP che prende le mosse dalla canzone “Lovesong of The Buzzard”. Prontamente incollo le due ed uniche canzoni successive. Se potete, acquistate.

Concerto completo su Fabchannel

A L C U N E F O T O in cui sono visibili barba e capelli

Rings – Black Habit

Stessa etichetta per cui incidono Animal Collective e Panda Bear.
Non un capolavoro, nel senso che nell’album ho trovato qualcosa di trascurabile. Ma si sà, è lo scotto da pagare quando si ascolta cosiddetta musica “sperimentale” o pseudo tale.
Ad ogni modo, in un periodo ove le donne che contaminano ambienti a noi limitrofi si rendono più antipatiche di un rullo compressore con il ciclo, le Rings cadono a pennello.