Tutti pazzi per il Lorke

Che sia curda o armena ancora non sono riuscito a capirlo, ma ciò che credo di aver scoperto con assoluta convinzione è che da quelle parti amano parecchio la canzone Lorke (o Lorke Lorke a seconda dei casi). Penso sia per queste popolazioni una specie di mega-evergreen tipo ‘O sole mio + Nel blu dipinto di blu.

E’ andata così: stavo buttando parole a caso nel motore di ricerca di You Tube; ho quindi iniziato a seguire una linea che mi ha condotto ad alcuni cantanti turchi degli anni ’70 e ’80 e infine è saltata fuori lei: Lorke!

Questa dovrebbe essere, se ho intuito bene, una versione più fedelmente folk del pezzo, che però attenzione! si chiude con una coda di chitarra elettrica dal magistrale sapore classic-rock con tocco d’arabia. Inoltre si avvalora dell’interpretazione di quello che potrebbe essere un cantante di fama e spessore in patria (lo si può dedurre dai diversi video che si possono trovare di lui, anche datati). E già qui mi stavo perdendo in quei magnifici meandri a noi tanto cari, dove il kitsch (involontario) regna sovrano.

Ma questo video mi ha riportato sulla retta via:

un’amabile banda, presumibilmente zingaresca, di strani musici con pastore panzone che si dimena, cosa chiedere di più?

Da lì in poi sono state un’paio d’ore di Lorke tra versioni di tutti i tipi; alcune delle quali avrebbero potuto vincere addirittura l’Eurovision Song Contest se il Kurdistan fosse stato un paese europeo. Ma sono sicuro chiederebbero un’annessione solo per poter cantare la loro canzone al mega festivalone della kitsch music.

Segnalo ancora la versione di questa cantante che si chiama come la nota marca d’abbigliamento in un programma stile top of the pops e questa versione dance da classifica di un simil gigi d’agostino.

 

Volutamente per ultima ho lasciato la versione che più mi è piaciuta: base elettronica, tastierone kasio a palla e voci beduine; il tutto ovviamente riconducibile all’indiscusso Maestro Omar.

Un grosso difetto, lo so, è che il brano si interrompe sul finale, ma ho voluto citarlo perché da qui ho iniziato ad avventurarmi nel mondo di quest’altro grande artista: Naser (o Nasir) Rezazi, con nuovo profluvio di perle. Buona ricerca anche a voi e viva Lorke, qualunque cosa essa sia.

 

Unoverdoselungaseiore

tutti vi ricordate dell’ulisse di joyce vero quel memorabile testo scritto senza punti e virgole che doveva rappresentare un intero flusso di coscienza dell’autore e probabilmente vi starete già rendono conto che citandolo sto anche provando ad adottarne lo stile e certamente vi state chiedendo il perché il perché è semplice credo di aver trovato un degno parallelismo tra quell’opera novecentesca e quest’altra duemilesca che ho ascoltato di recente un flusso di coscienza in musica musica non qualsiasi ovviamente ma un vero mostro catalizzatore un rigurgito bavoso e ultracomprensivo di quarant’anni di musica psichedelica la treccani del trastullorock qualcosa che potremmo definire il trip definitivo ma saremmo ancora troppo lontani dalla realtà dei fatti una bombazza che mi ha sconquassato le cervella che mi ha fatto vomitare di gioia e canticchiare per la pena di chi mi era vicino il mantra i found a star on the ground uno sconquasso di sei ore sei che mi ha ricordato quando ancora avevo coscienza di me tutto il krautrock che ho amato alla follia tutti i grateful dead live della storia ma anche gli animal collective un concerto grandioso degli akron family dove mi ruppi la testa e mille altri rivoli orgiastici metteteci che il packaging di questo mostro è assolutamente all’altezza del contenuto con un giochino popart per flasharsi durante l’ascolto che durante le sei ore vengono letti dal gruppo ah già non ho detto che sto parlando dei flaming lips tutti i nomi di coloro che hanno comprato sto gioiello da collezione dannato me che non lo sapevo tipo centinai di nomi letti e metteteci anche che oltre a questo satanasso sonoro ci sono anche altre due canzoncine psichedeliche tutt’altro che riempitivi e potete capire perché sto a tentare di dirvi di fare sta megafollia che ho testato sulla mia psiche benedico ogni singolo neurone morto vaffanculo

Che Banca!, mi hai un pò rovinato la giornata.

Brutti stronzi! Bastardi! Pezzi di merda! Forse sto esagerando, ma alcune cose non si fanno, eh no!
Questa è stata la mia reazione appena ho visto l’ultimo spot pubblicitario di CheBanca!
Cioè, mi sveglio, faccio colazione tenendo come sempre la tv in sottofondo. Improvvisamente sputo quel poco di latte parzialmente scremato e mi avvicino all’apparecchio catodico vecchio modello, per scoprire che questa banca (dal nome abbastanza orrendo o quantomeno poco creativo) ha usato per il suo spot Piano Fire degli Sparklehorse, eh allora cazzo, devo o non devo mandarli affanculo?

Tra un mesetto si presenta anche l’anniversario della morte di Mark Linkous, che ci ha lasciati il 6 marzo di due anni fa. Compositore e one-man-band degli Sparklehorse, tra gli autori più solitari e disincantati di sempre, cantore dell’utopia dei cavalli, che con pochi album ha tracciato un solco indelebile nella musica rock/lo-fi. Toccante questo commento di un utente su youtube alla canzone Piano Fire (cantata anche da PJ Harvey): “this song speaks in symbolism. it’s pretty cool. This is the one of the only things that got me through a prison sentence”.
Tutto sommato, però, forse è inutile essere tanto iroso e fare querimonia. Sul web ho letto diverse persone chiedere quale fosse la canzone dello spot, quindi magari è una opportunità per chi non conosceva la band, e, in ultimo, anche occasione mia per dedicare qualche riga ad un gruppo musicale e ad una persona che ho sempre adorato.
A questo punto, sapete cosa facciamo per depurarci da questo incentivo mediaticamente offuscato? Innanzitutto possiamo risentirci la rumorosa quanto perfetta ed intoccabile versione da studio, e poi la seguente, meno conosciuta, più delicata e senza chitarre elettriche:

Le tracce che hanno definito il mio 2010

Si consolida la tradizione delle (personali) tracce che, in un modo o nell’altro, hanno definito l’anno che ci lasciamo alle spalle. Rispettando i dogmi della setta guylumbardonesca, la classifica è per sua natura eclettica come solo un blog eclettico ospitante può essere.
Tutto sommato, sono in molti in rete che scrivono di musica, recensioni, riflessioni, paragoni, storia etc., ma, infine, quel che conta è quella dannata e non trascurabile roba che troviamo nei lettori mp3 che ci trasciniamo dietro, e che ci porta più volte a premere PLAY and REWIND.
Ho evitato di citare ulteriormente, per quanto possibile, gli album già eletti, con eccezioni troppo eclatanti per fare degli omissis. La mole elencabile possiamo ritenerla sterminata (soprattutto se contiamo ascolti estemporanei mai più ripescati o trovati), ma quelli che seguono sono in qualche modo i pezzi che più hanno colonizzato i programmi di riproduzione e gli ipod, con un occhio di riguardo verso qualche sonorità trascurata dal panorama. Ma solo un occhio però, perchè poi c’è Rihanna.

The Knife – Colouring of Pigeons: è qui un oltraggio, inserire solo questa canzone, dal misterioso e sperimentale lavoro che i Knife hanno fatto su commissione per un opera teatrale. L’avevamo prontamente segnalato, perchè ci è parso troppo The Knife, troppo The Residents, troppo corale, troppo ambizioso e il fatto che sia stato poco notato poco importa. Il piacere è il nostro. Da ascoltare durante una battuta di caccia.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/12/The-Knife-Colouring-of-Pigeons.mp3]

The Irrepressibles – In this shirt: l’album degli Irrepressibles non ha soddisfatto tutte le papille gustative. Non so, è quel barocco che dopo due ascolti incomincia a cacare il cazzo e a infastidirti data la sovrabbondanza. Ma ci sta. “In this shirt” rimane un buon singolo, che conduce verso il baratro con il crescendo di archi e sinfonie di fine mondo. Ascolto consigliato allegando il video musicale tra un Fellini e un Lynch.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/12/The-Irrepressibles-in-this-shirt.mp3]

Rosetta – Je n’en Connais Pas la Fin: i sempre operativi Rosetta, gruppi ed anche singoli componenti con progetti laterali, sfornano un album apprezzato dai seguaci ma che non riesce a portare tanto buon vento come ci si aspettava. “Je n’en connais pas la fin” è breve manifesto rappresentativo del loro sludge, nella sua tremenda semplicità e lettura. E la sua chiusa è indubbiamente tra le migliori sulla piazza dell’anno. Un utente scrive: “This song builds a house in my heart. And then tears it down. There are no survivors”.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/12/Rosetta-je-nen-connais-pas-la-fin.mp3]

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Peter 'Sleazy' Christopherson, 1955 – 2010

a leggere frasi del tipo “una di quelle persone che sembravano non poter morire mai”, pensi oh, guarda che stronzata e passi ad altro. Il più sentito degli elogi funebri non farà mai tanto effetto quanto i necrologi stampati, solenni concisi lapidari. Si è spento l’Ing./Dott./Cav., colleghi amici commilitoni conoscenti si uniscono al dolore dei parenti. That’s all, folks. Sans-serif e carta di bassa qualità, forse leggero fastidio per la pubblicità dei voli low-cost sulla pagina precedente o per l’articolo sull’ennesima trasmissione televisiva trash sbarazzina giovanile irriverente impegnata nella pagina successiva.

Però oggi è morto Peter Christopherson, Sleazy per i fan, gli amici, i colleghi, i recensori e i tizi pseudosnob vestiti di nero con la faccia permanentemente incazzata e le magliette piene di simboli strani che vivono nel seminterrato dei loro genitori. E quando muore qualcuno come Peter Christopherson, uno come minimo dovrebbe sedersi a pensare guardando il soffitto. Perché pure se non hai mai ascoltato i Throbbing Gristle, gli Psychic TV, i Coil, il Threshould HouseBoys Choir o Soisong, c’è un’alta probabilità che in qualcosa che ti è piaciuto c’entri Peter Christopherson.

Là nel freak show dei Throbbing Gristle, Christopherson mi è sempre sembrato il più ‘normale’, per usare un termine inadatto. Non aveva la facies inquietante di Chris Carter, non aveva lo spudorato tutto ciò che di spudoratamente bizzarro esiste che aveva Genesis P-Orridge, non aveva le tette e il culo di Cosey Fanni Tutti (direi). Alto, leggermente curvo, magro, talvolta esibiva un paio di baffi che lo facevano sembrare un tecnico radio o una spalla dei cattivi di quei film sulle spie russe degli anni Sessanta. E come ogni personaggio dalla faccia relativamente ordinaria che mantiene un basso profilo, Peter Christopherson si rivelava dannatamente importante. Sua era la quasi totalità dei found sounds usati nei pezzi dei TG, e insieme a Carter forniva le track tapes che costituivano l’ossatura della loro musica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/08-what-a-day.mp3]

Throbbing Gristle – What A Day

Ha collaborato, dopo lo scioglimento dei Throbbing Gristle nell”81, con gli Psychic TV, formazione musicalmente più pop e luminosa, ma per tutto il resto più strana e inquietante (vedi: simbologia processiana e più, testi, paraphernalia), dei suoi Coil, che portavano la allora giovane industrial music in direzione magico-occulta, quasi romantica e leggermente più melodica.

[audio:http://www.guylumbardot.com/wp-content/uploads/2010/11/09-coil-horse-rotorvator-blood-from-the-air.mp3]

Coil – Blood From The Air

Durante e dopo i Coil, precisamente mentre era impegnato a invecchiare raggiungendo la complessione di un Enorme Capotribù Globale degli Zingari Oscuri, Christopherson fonda il Threshold HouseBoys Choir, emittente di industrial/elettronica/musique concrète disseminata di tutto quello che di disturbante e di semisconosciuto popolasse il mondo dei minorenni thailandesi, che sembra quasi un eruditissimo esercizio di shock-jocking. L’ultimo progetto di Sleazy è stato Soisong, enigmatico ed interessante come solo il suo punto d’arrivo poteva essere: un bizzarro ibrido di glitch music ed industrial minimalista, dimostra che chi riesce a segnare il corso della storia della musica non deve rimanere immancabilmente imbolsito nel suono e nelle posizioni che ha definito/che lo hanno definito.

Molto altro ci sarebbe da dire su Peter Christopherson, sulla sua vita e sul suo lavoro. Ma il presente post non ha tante pretese, che per essere esaudite richiederebbero una pagina monografica a loro esclusivamente dedicata. Per esempio, sapevate che Sleazy (lo stesso intimo di Genesis P-Orridge, lo stesso che con Genesis e altre due oddballs ha creato l’industrial music, lo stesso che negli ultimi anni, in tour intorno al mondo, allibiva hipster e simili bestie con immagini di violenze, lotte, rapporti sessuali tra adolescenti thailandesi), ha diretto diversi video per personaggi di ambienti totalmente insospettabili, come i Van Halen, Paul McCartney e gli Yes? Io non lo sapevo.

Il fatto è che, davvero, era difficile immaginare che Christopherson potesse morire. C’è questa sensazione, come se qualcosa che stavi aspettando e che non devi perdere ti fosse appena passata accanto molto velocemente, e quando ti giri sei già mezzo incazzato con te stesso e mezzo rancoroso verso la vita, l’universo, i Daft Punk e tutto quanto. Ecco, è quello che succede quando muore Peter Christopherson. Proprio adesso che, sembra, l’eredità dell’industrial viene portata sempre più avanti in direzioni davvero notevoli.

Insomma, RIP.

Come as you are

Giorni fa, un certo Ramoncìn, cantante spagnolo, tenta una cover disastrosa di “Come as you are” dei Nirvana. La notte stessa dicono che al cimitero dove giace Kurt Cobain nessuno si è rivoltato dentro la bara, ma solo perchè Kurt aveva assunto eroina per dormire meglio.
Giorni appresso la catastrofica esecuzione, ‘sto Ramoncino si accorge di cosa ha fatto (qui un video dove risponde alle critiche). Non ho ben capito la caratura del personaggio, ma credo sia un cantante e attore abbastanza “pop”, ossia di genere popolare.

Ad ogni modo Kurt Cobain non ha aspettato molto, ed appena si è ridestato ha pubblicato su youtube, questo è quello che si racconta, un video dove lui imita il Ramoncino. Ma, aggiungo io, pur imitandolo, la sua versione è molto meglio di una distanza siderale:

A questo punto, già che ci troviamo nel seminato, mettiamo fine qui, su questo blog, la leggenda o cospirazione che vedrebbe Kurt Cobain non suicida bensì ucciso da non si sa bene chi il 5 Aprile 1994.
Liquido la questione subito ed immediatamente: io non so con sicurezza se Cobain sia morto per suicidio o per colpa di mano altra, ma so di per certo che una fauna ragionevole dovrebbe fidarsi ciecamente di un uomo come Dylan Carlson (leader degli Earth, padre del drone):

mettiamola così: se davvero fossi convinto che Kurt sia stato ucciso, insomma, se pensassi che Courtney o altri fossero coinvolti sarebbero tutti morti adesso. Perchè li avrei uccisi io.

A margine, non so se avete notato che Dylan compone musica proprio con lo stesso stile di come parla.
Ah, quella che si ode prima dell’intervista è Crooked Axis For String Quartet. Tra i più bei viaggi sonori mai prodotti dal genere umano.

E concludiamo, per non lasciare l’amaro in bocca, con la famosa e bellissima versione Live acoustic Unplugged in New York di “Come as you are” (qui con HD):

The samples fascination pt.1

Ho sempre avuto una passione nello scandagliare le canzoni che più mi piacciono. Tentare di capire come sono state composte e che mezzi sono stati usati per arrivare a tale magico risultato, una sorta di decoupage applicato ai suoni o di decostruzione più terrena e mondana. Oggi, ove buona parte della musica ascoltata è elettronica (uso di synth, laptop, softwares etc.), i samples sono un sicuramente un oggetto portante nel caso si voglia analizzare e capire come un pezzo “esce fuori”.

Così ho trovato il modo a canalizzare le mie piccole e brevi indagini con un video (alcune ricerche son semplici, altre più complesse, e coinvolgono anche l’interrogazione dell’artista stesso); questo è il primo forse di una serie, o almeno si spera (da perdonare la qualità youtube e il primo sputtanato sample, si accettano consigli):

Blue

C’è il blu di Yves Klein, denominato International Klein Blue. Qui non c’è musica. Forse qualcuno non ricorda chi diamine sia ‘sto Yves Klein. Però se permettiamo al mondo di farlo spiegare da Fulvio Abbate, allora siamo davvero troppo democratici. Klein fautore di numerose azioni fatte in gallerie francesi, e autore di questa misteriosa foto, oggi molto più chiara.

Poi c’è il Blue di Derek Jarman. Il colore in questione non è altro che una tonalità del blu di Klein. Ultimo film che il regista inglese ha prodotto prima di morire. Opera liminare (e per qualcuno minimalista), immagine fissa blu per tutta la durata della pellicola, narrato e musicato. Nella tracklist di tutto rispetto troviamo brani come Triennale di Brian Eno, Disco Hospital dei Coil e l’immancabile prima Gnossiennes di Erik Satie.

Infine, molto meno conosciuto è l’ultimo album del giù citato 36 (Tape Series: Blue, qui interamente in ascolto). Che ha messo in vendita queste composizioni solo ed esclusivamente con 36 tape (cassette) a disposizione. Sono dieci remix che ha fatto su alcuni suoi brani; a differenza dei precedenti sono molto ma molto più dilatati, minimali ed ostinati. Seguiranno, a distanza di qualche mese, come ha annunciato sulla sua pagina FB, altri due album-colorati.

Che il blu inondi ad oltranza le giornate estive.